Nuovi rimedi per tenere sotto controllo la glicemia

Finora l’insulina veniva iniettata sotto forma di iniezione, e si doveva ripetere l’operazione più volte al giorno, in quanto la sua autonomia, sperimentata su modello murino, era di sole 9 ore. Ora, sono ben due le ricerche che sono state fatte a tal proposito, ed i risultati sembrano essere ottime alternative alla vecchia siringa: si parla di uno spray nasale e di un inalatore.

Per quanto riguarda il primo caso, come si può leggere da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Biomaterials Science”, i ricercatori dell’Università del Sunderland, in Gran Bretagna, hanno sperimentato uno spray nasale che potrebbe sostituire, nel giro di poco tempo, l’iniezione. I dettagli, illustrati on-line, sembrano dimostrare che un solo spruzzo, secondo i risultati, sarebbe sufficiente per tenere a bada gli zuccheri per un’intera giornata. Lo spray nasale, infatti, una volta applicato, a causa del contatto con il calore umano, si trasforma in una specie di gel appiccicoso ed acquisisce la viscosità necessaria per far sì che il suo effetto duri ben 24 ore.

Hamde Nazar, coordinatore dello studio, spiega: “I nostri dati evidenziano il potenziale di questa formulazione con dosaggio giornaliero attraverso il naso. Tuttavia, perché sia usato sugli uomini, dovrà prima essere testato clinicamente”.

Nel secondo caso, invece, la società “MannKind Corporation” ha offerto una nuova forma di insulina vaporizzata, la “Technosphere”. Il  prodotto, che consente l’inalazione, si basa su un principio di essiccazione e polverizzazione dell’insulina e, come illustrano i ricercatori dell’azienda: “Il farmaco può essere ‘caricato’ sulle particelle e quando il paziente inala un piccolo quantitativo della polvere, questa si dissolve istantaneamente e viene subito assorbita nel flusso sanguigno. L’assorbimento è ultrarapido, e in alcuni casi è vantaggioso rispetto all’iniezione”.

Questa nuova forma di insulina è stata studiata appositamente per essere assunta prima dei pasti, in modo da poter avere un migliore controllo del tasso di glucosio nel sangue. In attesa che la “Food and Drug Administration” dia l’approvazione necessaria per mettere sul mercato l’inalatore, i medici tengono a precisare che, nel resto della giornata, la scelta consigliata rimane sempre e comunque l’iniezione.

Krizia Ribotta
14 novembre 2012

 

Addio catrame e maleodore, la nuova moda è la sigaretta elettronica

Il consumo di sigarette elettroniche sta aumentando rapidamente in tutta Italia. I franchising aperti negli ultimi mesi crescono a vista d’occhio, e i clienti, incuriositi dal fatto che si ha diritto ad una prova gratuita, entrano, per poi uscire solo dopo aver acquistato il prodotto. I commercianti sono molto soddisfatti degli affari, come testimonia uno dei venditori della catena “Smooke”: “Si tratta di un mercato in espansione perché funziona. Smooke è dappertutto in Italia, e i clienti variano dai 16 anni agli 80 anni”.

Le sigarette elettroniche sono dispositivi contenenti liquidi aromatizzati che possono essere scelti dal fumatore in base ai suoi gusti, come ad esempio il cioccolato, il biscotto, la crema, il caffè, per non contare quelli alla frutta, che lasciano in bocca un ottimo sapore e non quel forte derivante dalla combustione. Sono disponibili sia le sigarette con una percentuale di nicotina che quelle senza, affinché il cliente possa scegliere quale percorso intraprendere: se quello più “easy”, quindi iniziando con quelle che contengono nicotina per passare progressivamente a quelle senza, oppure se dare un taglio netto e smettere così, di punto in bianco, di inspirare sostanze nocive per la salute.

Secondo quanto dichiarato un punto a favore di questo prodotto è il suo costo possibilmente inferiore alle sigarette tradizionali: il mantenimento, infatti, può arrivare a costare un minimo variabile dai 26 ai 30 euro settimanali il che vuol dire che un fumatore assiduo che consuma normalmente un pacchetto al giorno, potrebbe spende meno di 150 euro al mese. Un’ottima convenienza, oltre al fatto che vengono eliminati, oltre al vizio di fumare, anche la combustione, la carta ed il catrame.

La gente sembra aver trovato in questa soluzione innovativa una vera e propria alternativa alla sigaretta normale, tant’è che a Genova, sono stati installati i primi distributori al mondo di liquidi, in modo che le ricariche possano essere comprate in qualsiasi momento. Elena Ferrea, titolare di “Ovale Genova”, spiega: “Dal macchinario si possono acquistare ricariche compatibili con qualsiasi sigaretta elettronica, e sono disponibili tutti e 14 i liquidi Ovale in commercio”.

Questa nuova sigaretta si presenta in un design elegante, adatto sia a lui che a lei, ed è disponibile in diversi colori e kit, in modo che ognuno possa trasmettere la sua personalità anche dal modo in cui fuma.

Krizia Ribotta
12 novembre 2012

Cellule umane: scoperta a Bologna la “macchina del tempo” per farle ringiovanire

Dall’Università di Bologna arriva una buona notizia che potrebbe offrire la speranza di curare le malattie generative. Dallo studio condotto da Carlo Ventura, professore di Biologia Molecolare, e pubblicato on-line sulla rivista americana “Cell Transplantation”, risulta infatti che da un lembo di pelle si potranno ottenere le cellule cardiache, e si potrà così curare un cuore malato.

Si tratta di una specie di “macchina del tempo” in grado di riprogrammare le cellule umane, come se si trovassero nuovamente allo stadio embrionale, e di trasformarle in altri tipi di cellule utili a riparare quegli organi o tessuti danneggiati.

La scoperta, annunciata ieri nell’Ateneo dallo stesso Ventura, in realtà è un’evoluzione del lavoro dei due premi Nobel Shinya Yamanaka e John Gurdon, a lungo impegnati nella ricerca scientifica. Il primo, di origini giapponesi, è riuscito ad ottenere le cellule staminali senza dover toccare gli embrioni, mentre il secondo è considerato il padre storico della clonazione.

“Questo lavoro costituirà un punto di riferimento nel dibattito scientifico su un tema in cui è bene parlino gli esperti”, ha commentato il rettore Ivano Dionigi, complimentandosi con l’equipe bolognese che, in team con i ricercatori degli istituti di Firenze e Sassari, è riuscita a giungere ad una scoperta tale da dare speranza a chi, ormai, sembrava rassegnato.

La tecnologia d’avanguardia usata è stata la Reac, che in grado di riprogrammare le cellule adulte  “grazie all’uso di una emissione a bassissima intensità di un campo radioelettrico e non con l’utilizzo di ingegneria genetica o con l’uso di vettori virali, esattamente come già sperimentato da Yamanaka” hanno spiegato gli studiosi.

Ventura, molto soddisfatto del suo lavoro, che verrà subito sperimentato a livello nazionale, ha sottolineato: “Anziché far tornare le cellule adulte indietro nel tempo abbiamo fatto prendere a queste stesse cellule altre strade, come se si partisse già da staminali embrionali, indirizzandole verso cellule di tipo cardiaco, muscolare-scheletrico e neuronale”.

Le staminali adulte, ricavate anche dal tessuto adiposo, rappresentano il futuro sempre più concreto per la cura di malattie degenerative. “Cercheremo di validare quanto scoperto in vitro in modelli animali- conclude Ventura- per essere poi pronti all’utilizzo terapeutico”.

Krizia Ribotta
10 novembre 2012

Fertilità: quella della figlia dipende dall’entrata in menopausa della madre

Un interessante studio sulla fertilità delle donne, condotto dal Copenhagen University Hospital, sembra dimostrare che la fertilità della figlia dipenda da quando la madre è entrata in menopausa. Come si legge dalla ricerca pubblicata sulla rivista scientifica “Human Reproduction”, la fertilità è stata stimata dagli scienziati in base al calcolo della riserva ovarica, che è stata misurata attraverso due modalità: la prima, prendendo in considerazione i livelli di ormone antimulleriano (Amh), e la seconda analizzando il conto dei follicoli antrali (Afc).

L’Amh è la proteina prodotta dalla granulosa dei follicoli ovarici che inizia a formarsi intorno alla 36esima settimana di vita fetale e continua, ininterrottamente, fino alla menopausa. La sua misurazione è utile per vedere quanta riserva ovarica ha una donna con storia di menopausa precoce in famiglia, in modo che possa regolarsi nel caso voglia avere un figlio. I follicoli antrali, invece, sono dei piccoli follicoli che si trovano all’interno delle ovaie e che possono essere misurati attraverso un’ecografia ginecologia transvaginale. La conta dei follicoli, ad oggi, è uno degli strumenti più efficaci per stimare la riserva ovarica femminile e per verificare la possibilità di ottenere una gravidanza con fecondazione assistita.

Lo studio, che ha coinvolto 527 donne di età compresa tra i 20 e i 40 anni delle quali si conosceva l’età della menopausa naturale della madre, ha dimostrato che la riserva ovarica di una donna è direttamente proporzionale all’età in cui la madre è entrata in menopausa. Coloro le cui madri hanno avuto una menopausa prematura, cioè prima dei 45 anni, infatti, hanno più difficoltà di avere figli rispetto a coloro le cui madri sono entrate dopo i 55 anni,  in quanto il numero delle uova depositate nelle ovaie sembra diminuire più rapidamente.

La dottoressa Janne Bentzen, tra gli autori della ricerca, ha spiegato: “Attraverso la sonografia vaginale è stato conteggiato il numero dei follicoli antrale, perchè la nostra ricerca supporta l’idea che la riserva ovarica è influenzata da fattori ereditari”, suggerendo che la fertilità può essere un fattore genetico.

Altro dato importante emerso da queste analisi è che i livelli di Amh e di Afc sono molto più bassi nelle donne che usano contraccettivi orali rispetto a quelle che non ne usano.

Krizia Ribotta
9 novembre 2012

Cellule staminali per combattere l’infertilità dovuta ai trattamenti contro i tumori

Uno degli effetti collaterali della chemioterapia e della radioterapia è il rischio di infertilità. Nel caso degli uomini, il problema è presto risolto, visto che, prima di sottoporsi al trattamento, possono far congelare lo sperma depositandolo presso la banca dello sperma. Per i ragazzi che non sono ancora entrati nel periodo della pubertà, invece, la situazione è leggermente più complicata, ma un nuovo studio sembra aver trovato la soluzione.

I ricercatori dell’Università di Pittsburgh sono riusciti a dimostrare come, attraverso la crioconservazione delle staminali spermatogoniali ed il loro successivo trapianto, sia possibile ottenere dello sperma in grado di fertilizzare ovociti. Gli adolescenti non sono ancora in grado di produrre sperma, ma sono dotati di cellule staminali che si trovano nel loro tessuto testicolare e che sono già pronte per iniziare a produrre lo sperma durante la pubertà.

Il dottor Kyle Orwing, professore associato del Dipartimento di Ostetricia, Ginecologia e Medicina della Riproduzione, della Facoltà di Medicina dell’Università Pittsburgh, nonché ricercatore presso il “Magee-Womens Research Institute”, insieme al suo team, ha voluto verificare se fosse possibile ripristinare la fertilità utilizzando queste cellule. Per fare ciò, sono state prelevate e congelate le cellule di maschi di macaco, e le scimmie sono poi state trattate con agenti chemioterapici che danneggiano la fertilità.

Pochi mesi dopo il trattamento, i ricercatori hanno reintrodotto le cellule staminali di ogni scimmia nei testicoli. Lo sperma trapiantato ha fecondato con successo  ben 81 uova, che si sono sviluppate e sono state impiantate nell’utero della madre.

“Si tratta del primo studio in assoluto che dimostra che trapiantare cellule staminali di questo tipo può funzionare perfettamente anche nei primati. Un enorme passo avanti verso la cura della sterilità maschile, anche per gli esseri umani” ha dichiarato Orwig quando ha presentato la ricerca pubblicata su “Cell Stem Cell”.

Dall’America arriva quindi un lavoro che potrebbe davvero rappresentare una pietra miliare nel lungo percorso clinico che potrebbe aiutare i giovani che si sottopongono alla chemioterapia ad avere, in futuro, un figlio.

Krizia Ribotta
4 novembre 2011

Realizzata in America la prima cella solare interamente in carbonio

Cella solare costituita da uno strato fotoattivo, inserito tra due elettrodi, che assorbe la luce solare.

Com’è risaputo, il carbonio è in grado di offrire prestazioni di altissimo livello a basso costo, e proprio per questo gli scienziati dell’Università di Stanford, in California, hanno lavorato a lungo per costruire la prima cella solare realizzata interamente in carbonio.

Si tratta di un’ottima alternativa ai costosi materiali che normalmente vengono usati negli attuali dispositivi fotovoltaici, come ha dichiarato Zhenan Bao, professore di ingegneria chimica che ha partecipato allo studio, aggiungendo che “forse in futuro si potrebbe guardare ai mercati alternativi in cui le celle solari flessibili di carbonio coprirebbero la superficie degli edifici, le finestre o i veicoli per generare elettricità”.

Solitamente gli elettrodi sono costituiti da metalli conduttivi e dall’ossido misto di indio (comunemente indicato con la sigla ITO) e stagno, materiali che al giorno d’oggi sono sempre più rari e di conseguenza più costosi, “a causa della domanda di celle solari, di pannelli tattili e di altri dispositivi elettronici nel mercato. Il carbonio, invece, è a basso costo e molto abbondante sulla Terra” ha spiegato Bao, sottolineando che attualmente l’equipe sta sperimentando i nanomateriali di carbonio in grado di assorbire una maggiore luce in un range più vasto di lunghezze d’onda.

“I nanotubi di carbonio hanno una straordinaria conducibilità elettrica e la proprietà dell’assorbimento di luce”, hanno illustrato gli scienziati, i quali hanno sostituito l’argento e e l’ossido misto di indio con degli elettrodi convenzionali con grafene, ovvero i fogli di carbonio 10.000 volte più stretti di un capello umano.

Per quanto riguarda lo strato attivo, invece, il team ha utilizzato il materiale creato dai nanotubi di carbonio e dai cosiddetti atomi di carbonio localizzati ai vertici di un particolare poliedro semiregolare, il cui nome scientifico è “buckminsterfullereni”.

I risultati di questo studio americani sono stati pubblicati nell’edizione on-line della rivista “ACS Nano”, e possono essere consultati nel caso si voglia approfondire meglio l’argomento.

Krizia Ribotta
3 novembre 2012

Sgombro e sardine aiutano a prevenire l’ictus

Raffigurazione di un arteria cerebrale. In caso di occlusione o emorragia in un vaso si verifica l’Ictus (ischemico o emorragico) che determina deficit locale o globale (coma).

Mangiare pesce grasso, come sgombro e sardine, aiuta a prevenire l’ictus. E’ quanto risulta dallo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Cambridge che, insieme ad altri colleghi internazionali, hanno scoperto come il regolare consumo di pesce ad alto contenuto di omega 3 riduca il rischio della malattia cardiovascolare.

Il team, guidato da due maestri d’eccezione, il dottor Rajiv Chowdhury dell’Università di Cambridge e il professor Oscar Franco dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam, ha esaminato ben 38 casi, che hanno coinvolto in totale circa 800.000 persone di 15 diverse nazionalità. Non sono stati presi in considerazione solo i pazienti colpiti dall’ictus, ma anche coloro che sono considerati a basso rischio e chi non era malato, in modo da poter identificare e successivamente minimizzare i cosiddetti “bias”, ovvero gli elementi distorsivi del campione.

A tutti i partecipanti è stato chiesto di registrare sia il consumo di pesce che quello di acidi grassi attraverso un questionario alimentare, per poter identificare i marcatori di omega 3 presenti nel sangue e per verificare se gli integratori di olio di pesce avessero lo stesso effetto. Durante il periodo dei test, si sono verificati 34.817 eventi cardiovascolari, e i risultati sono stati i seguenti: coloro che avevano mangiato dalle 2 alle 4 porzioni di pesce alla settimana, presentavano un rischio moderato, con una probabilità di ictus inferiore del 6% rispetto a chi aveva mangiato 1 sola porzione. Per chi invece riusciva ad assumere pesce 5 volte alla settimana, il rischio era inferiore del 12%.

In base a quanto dichiarato nella ricerca, che è stata pubblicata sul “British Medical Journal”, il pesce è un ottimo alleato della salute vascolare, in quanto se lo si consuma, si evita di mangiare, ad esempio, la carne rossa, che risulta essere più dannosa. 

Krizia Ribotta
2 novembre 2012