Uno studio condotto dalla Università di Yale e pubblicato su Nature Climate Change spiega come mai, nonostante la consapevolezza fornita dai dati scientifici, l’opinione pubblica resti in realtà abbastanza apatica nei confronti dei grandi cambiamenti climatici in atto.
Secondo lo studio, infatti, la alfabetizzazione scientifica in realtà non porta ad una maggiore interessa, ma porta piuttosto le persone a valutare in maniera diversa, e a dividersi di conseguenza, i rischi che il cambiamento climatico comporta.
Lo studio è stato svolto in America, su un campione sufficientemente ridotto di popolazione, che potrebbe non essere rappresentativo di altro se non della opinione pubblica americana, ma pone tuttavia spunti di notevole interesse.
All’interno del campione di 1500 individui adulti, infatti, lo studio finanziato dalla National Science Foundation ha verificato quale delle due ipotesi trovasse rispondenza nella popolazione, ovvero se il limitato interesse dipendesse da una scarsa conoscenza o se invece dipendesse dalla opposizione di valori culturali diversi. Il risultato è stato, all’interno del campione, assai netto: la apatia non dipende affatto da una mancanza di conoscenze scientifica, anzi.
Nello studio viene utilizzata la “cognizione culturale” per differenziare la percezione dei rischi dei cambiamenti climatici dalla conoscenza dei dati e dei fattori scientifici che attestano questi rischi.
Il campione non manca quindi di cognizione scientifica, ma di una cognizione culturale comune, ovvero la percezione effettiva dei possibili danni, in questo come in altri campi, si suddivide a seconda dei diversi gruppi culturali, in maniera del tutto omogenea tra la popolazione con competenze scientifiche e popolazione che di tali conoscenze è più carente.
Questo vale per molte altre questioni e potrebbe suggerire una via migliore per rendere la popolazione consapevole dei dati di fatto scientifici, indipendentemente dalla appartenenza ad un gruppo culturale o politico rispetto ad un altro, che si distinguono, secondo lo studio, l’uno per l’enfasi sull’egualitarismo, l’altro per l’enfasi sull’individualismo anche se ovviamente non necessariamente questa appartenenza culturale rispecchia fino in fondo il vero essere delle persone ed è proprio su questo che si deve, secondo lo studio, lavorare per permettere una cognizione culturale che sia il più possibile diffusa.
Informare realmente, quindi, va al di là della mera presentazione dei dati scientifici che per essere pienamente compresi devono essere inseriti in un contesto culturale adeguato.
Giulia Orlando
15 febbrao 2013