Il Land Grabbing può essere considerato la nuova, triste frontiera del colonialismo attuato in Africa e nei paesi in via di sviluppo, che ha avuto una crescita esponenziale nell’ultimo decennio. Questo fenomeno riguarda l’accaparramento di terre nei paesi del terzo mondo ad opera di grandi multinazionali straniere, per produrre colture alimentari destinate all’esportazione oppure a fini meramente speculativi. In questo modo la terra viene considerata una merce di scambio tra governi accondiscendenti e gruppi privati senza scrupoli che non riconoscono l’importanza socio-culturale e ambientale del territorio di cui si impadroniscono. Gli accordi tra queste due parti in causa spesso sono poco trasparenti, agli investitori non vengono imposti vincoli sull’uso del terreno ed i canoni di affitto sono mantenuti bassi per attirare nuovi investimenti esteri. Tutto ciò è possibile perché in molti stati africani non esistono vere e proprie leggi sulla proprietà privata, e la terra viene considerata una proprietà pubblica, così i governi hanno il diritto di gestirla e venderla a discapito di chi in quei luoghi vive da generazioni.
Un recente rapporto di Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief) sostiene che in soli dieci anni, la compravendita di terreni ha coinvolto un’area grande circa sette volte l’Italia e, si stima che in Africa circa 24 milioni di ettari siano attualmente oggetto del Land Grabbing.
Questo triste fenomeno è tornato all’attenzione della stampa internazionale dopo che il governo della Tanzania ha annunciato la creazione di una nuova area per la “conservazione”, nella terra del popolo Maasai, il villaggio di Lolindolo, situato nel Distretto di Ngorongoro nel nord del paese, vicino al confine con il Kenya.
Il Ministro del Turismo locale, Khamis Kagasheki, afferma di voler istituire un “corridoio verde” di 1.500 km quadrati, che faciliterebbe il passaggio degli animali selvatici tra il Parco Nazionale del Serengeti in Tanzania e quello del Maasai Mara in Kenya. In realtà l’area è stata ceduta in affitto dal 1992 ad una società che organizza safari di caccia grossa, la Ortello Business Corporation (OBC). Questa società ha legami con le famiglie reali degli Emirati Arabi Uniti e detiene l’esclusiva dei safari e dei diritti di caccia a Loliondo. Recentemente a questa società è stato attribuito lo status diplomatico, rendendo così impossibile il controllo sullo spazio in cui opera.
Quest’area è la terra tradizionale dei Maasai, ma le battute di caccia grossa hanno gravemente compromesso l’accesso della popolazione ai pascoli per il bestiame e al loro approvvigionamento alimentare, provocando crescenti tensioni tra le comunità e la OBC.
Da anni i gruppi delle comunità locali si oppongono alla svendita della loro terra. Nel marzo 2013, per l’ennesima volta è stato intimato ai Maasai di abbandonare le loro case e di andarsene con il loro bestiame. Tutto questo nel nome di una millantata conservazione che invece sembra celare gli interessi di pochi ricchi stranieri, appassionati di una crudele pratica ancora erroneamente definita sport, la caccia da trofeo, costoso massacro in termini economici e sopratutto ecologici!!
Già nel 2009 il Presidente della Tanzania in persona, Jakaya Kikwete, emanò un ordine di sfratto nei confronti dei Maasai della zona. Ci furono forti scontri e la comunità locale venne allontanata dalle autorità per far spazio alle battute di caccia grossa. I villaggi furono rasi al suolo, il bestiame disperso, e molte donne denunciarono ai mass media locali i soprusi e le violenze subite. In quell’occasione circa 200 abitazioni vennero incendiate e quasi 20 mila Maasai vennero travolti dalle violenze e lasciati senza cibo né un luogo in cui abitare.
Oggi la decisione del Ministro del Turismo tanzano mette a rischio la vita di circa 30 mila persone che da decenni conducono attività di pascolo all’interno dei 44 mila km quadrati del distretto di Loliondo. A questa gente verrebbe negato persino il passaggio attraverso il cosiddetto “corridoio verde”, poiché la OBC sarebbe l’unica autorizzata ad utilizzarlo per trasportare i turisti – cacciatori. Per giustificare la sua decisione, il Ministro Kagasheki dichiara che le attività di pascolo delle popolazioni residenti, avrebbero un impatto ecologico negativo sull’area, che invece dovrebbe essere tutelata. A tali motivazioni risponde Samwel Nangiria, portavoce di un gruppo costituito da diverse Ong locali, sostenendo invece che lo stile di vita Maasai sarebbe in piena armonia con la natura e che in realtà il governo non apprezzerebbe l’eccessiva libertà di cui gode la comunità, giudicata poco produttiva per l’economia del paese.
L’ordine di sfratto emanato dal Presidente Kikwete nel 2009, venne ritirato dopo che la comunità internazionale si mobilitò con una petizione firmata da circa un milione di persone, dimostrando che l’opinione pubblica ha ancora un ruolo importante nelle decisioni dei governi locali. Oggi sembra che la situazione sia più complessa, perché il tentativo del governo è quello di motivare le sue scelte cavalcando l’onda della conservazione e della tutela delle risorse naturali nel sud del mondo.
Per cercare di fermare questo ennesimo sopruso ai danni delle popolazioni locali e degli animali selvatici, l’opinione pubblica internazionale ha deciso di mobilitarsi nuovamente, organizzando una raccolta firme diffusa da Avaaz.org . La petizione ha già raccolto circa un milione e mezzo di adesioni, ma non bastano.
Dai il tuo contributo aderendo a questa importante iniziativa, ed aggiungendo la tua firma alla lista.
E’ un’operazione che richiede pochi secondi ma che ha già dimostrato in passato di poter fare la differenza, per rendere dignità e diritti al popolo Maasai e all’ecosistema della Tanzania.
https://secure.avaaz.org/it/stand_with_the_maasai_loc/?bTtyNab&v=23519
Elisabetta Carlin
17 aprile 2013