Stalattiti in Siberia: un termometro naturale per l’evoluzione del clima

Il permafrost è un terreno perennemente ghiacciato per almeno due anni consecutivi, caratteristico  delle zone artiche, ma che può trovarsi anche in alta montagna, al di sopra dei 2600 metri di quota. L’acqua interstiziale funge da collante nella matrice, sia essa costituita da detriti o da frammenti di roccia fratturata. Durante la stagione estiva la porzione più superficiale può fondersi parzialmente. Lo strato basale, che nelle regioni siberiane può estendersi fino a 1500 metri, non si è più scongelato dall’ultima Era glaciale, circa 10mila anni fa.
Il permafrost è un terreno perennemente ghiacciato per almeno due anni consecutivi, caratteristico
delle zone artiche, ma che può trovarsi anche in alta montagna, al di sopra dei 2600 metri di quota. L’acqua interstiziale funge da collante nella matrice, sia essa costituita da detriti o da frammenti di roccia fratturata. Durante la stagione estiva la porzione più superficiale può fondersi parzialmente. Lo strato basale, che nelle regioni siberiane può estendersi fino a 1500 metri, non si è più scongelato dall’ultima Era glaciale, circa 10mila anni fa.

Osservazioni e studi di alcune grotte in Siberia fanno ritenere che l’aumento di 1,5 gradi della temperatura media globale potrebbe causare il disgelo del permafrost, il terreno perennemente ghiacciato presente su vaste aree di quella regione, minacciando il rilascio nell’atmosfera di carbonio e metano dal suolo, fatto che comporterebbe notevoli danni per l’ambiente e per l’uomo.

Di fatto, sta mettendosi in moto un meccanismo “perverso”: il riscaldamento globale sta sciogliendo il ghiaccio dal suolo. Nel permafrost sono intrappolati carbonio e metano che, con il disgelo, possono venir liberati nell’atmosfera, facendo aumentare i gas-serra e quindi la temperatura globale.

Per dirla in breve, è un cane che si morde la coda.

E’ stato calcolato che il disgelo del permafrost potrebbe rilasciare più di 1000 giga-tonnellate di anidride carbonica e  di metano nell’atmosfera, con il conseguente rialzo termico, come si è detto.

Le conclusioni provengono da uno studio internazionale condotto da scienziati dell’Università di Oxford, che ha visto la partecipazione anche di altri ricercatori provenienti da Gran Bretagna, Russia, Mongolia e Svizzera.

Una relazione sulla ricerca è stata pubblicata su Science Express.

Gli studiosi hanno esaminato stalattiti e stalagmiti nelle grotte situate lungo la “frontiera del permafrost”, il limite oltre il quale il terreno inizia ad essere gelato in permanenza e il cui spessore oscilla da qualche decina a diverse centinaia di metri, man mano si sale di latitudine.

Le stalattiti e le stalagmiti si accrescono solo quando la neve fonde, sgocciolando nelle grotte, e queste formazioni di ghiaccio hanno registrato 500mila anni di cambiamenti delle condizioni del permafrost, legati a periodi più caldi, simili al clima attuale.

I dati di un periodo particolarmente caldo, il cosiddetto “stadio isotopico marino 11”, che si è verificato circa 400mila anni fa, indicano che un innalzamento della temperatura globale di 1,5 gradi rispetto all’attuale è sufficiente a causare un notevole scioglimento del permafrost situato a nord del suo attuale limite meridionale.

Gli stadi isotopici marini o MIS (acronimo inglese di Marine Isotope Stages) sono 103 periodi caldi e freddi del clima terrestre che si sono alternati per 5 milioni di anni, dedotti dalle variazioni del rapporto fra gli isotopi O16 e O18 dell’ossigeno nei sedimenti marini e che sono stati numerati progressivamente. Lo stadio MIS 11, datato 400mila anni fa, come detto sopra, pare essere il più simile, nelle temperature, all’attuale.

Grotta della Siberia sul lago Baikal. Dalla volta pendono le suggestive stalattiti di ghiaccio la cui crescita  viene alimentata da acqua piovana (scarsa, però, in queste zone) o da acqua di fusione del ghiaccio che gocciola a seguito di rialzi della temperatura atmosferica (da: Sciencedaily)
Grotta della Siberia sul lago Baikal. Dalla volta pendono le suggestive stalattiti di ghiaccio la cui crescita viene alimentata da acqua piovana (scarsa, però, in queste zone) o da acqua di fusione del ghiaccio che gocciola a seguito di rialzi della temperatura atmosferica (da: Sciencedaily)

“Le stalattiti e le stalagmiti di queste grotte sono un modo di guardare indietro nel tempo per vedere come periodi caldi simili al nostro clima attuale influenzino di gran lunga la formazione del permafrost che si estende su gran parte della Siberia”, ha detto il dott.Vaks Anton, del Dipartimento di Scienze della Terra presso la Oxford University, Regno Unito, che ha guidato la ricerca. “Dato che il permafrost copre il 24% della superficie terrestre dell’emisfero settentrionale, un suo significativo scongelamento potrebbe interessare vaste aree e consentire il rilascio di giga-tonnellate di carbonio nell’atmosfera”.

Il fenomeno minaccia enormi ripercussioni non solo sugli ecosistemi, ma anche sulle attività umane. Si pensi agli impianti di gas naturale della regione, le linee elettriche, le strade, le ferrovie e gli edifici, a tutto quanto è stato costruito sul permafrost.

Le infrastrutture verrebbero sicuramente danneggiate dal disgelo del suolo e le conseguenze economiche sarebbero notevoli.

Il team di studiosi ha utilizzato tecniche di datazione radiometrica per quantificare la crescita delle formazioni di ghiaccio delle grotte (stalattiti e stalagmiti). I dati della Grotta Lenskaya Ledyanaya, vicina alla città di Lensk, alla latitudine di 60° Nord, nella regione più fredda, hanno dimostrato che l’unico periodo in cui è avvenuta la crescita delle stalattiti è stato circa 400mila anni fa, durante il periodo di cui si è detto sopra.

Nei precedenti periodi in cui la Terra era di solo 0,5-1 grado più calda di oggi non si è registrata alcuna crescita di stalattiti in questa grotta, situata così a Nord. E questo fa ritenere che la differenza di 1,5 gradi di temperatura in più dell’attuale sia il “punto di svolta”, la soglia oltre cui il permafrost delle regioni più fredde comincia a scongelarsi.

“Anche se non era l’obbiettivo principale della nostra ricerca” – afferma il Dr Vaks – “il nostro studio suggerisce che in un mondo più caldo dell’attuale di soli 1,5 gradi, ma abbastanza caldo da sciogliere il permafrost più ghiacciato, le regioni adiacenti quest’area subirebbero cambiamenti climatici significativi, tali che la regione che oggi ospita il deserto di Gobi in Mongolia sarebbe molto più piovosa di quanto non sia attualmente e, anzichè essere estremamente arida com’è oggi, somiglierebbe invece alle attuali steppe asiatiche”.

Leonardo Debbia
4 marzo 2013