Evoluzione: laboratorio del possibile

Scritto da:
Marco Ferrari
Durata:
1 minuto
Il sito di Burgess Shale. (Credit W. Marler)
Il sito di Burgess Shale. (Credit W. Marler)

Burgess Shale, nella Columbia Britannica canadese, è una vecchia cava di ardesia, che si trova nel Parco Nazionale di Yoho. E’ famosa nel mondo dei paleontologi per ospitare un importante sito di fossili a corpo molle, appartenenti al periodo Cambriano (dai 570 ai 500 milioni di anni fa). Il periodo fu caratterizzato da una notevole profusione di forme di vita che ci hanno lasciato numerosi reperti fossili. 

Ora molti di noi sono abituati a considerare l’evoluzione come “la sopravvivenza del più adatto” e a credere che nuove forme di vita si possano rintracciare soltanto in giro per l’universo. Le cose non stanno proprio così: come vedremo il passato ci rivelerà esseri sorprendenti, assolutamente inimmaginabili ma sicuramente terrestri, che paiono realmente provenire da un altro pianeta. E spesso l’evoluzione è anche questione di fortuna oltre che di adattamento e molti degli esseri che vedremo, in condizioni ambientali più favorevoli, avrebbero potuto riscrivere la storia evolutiva a loro favore, rimandandoci nell’elenco delle forme di vita estinte o mai esistite.

Charles D. Walcott (Credit: Smithsonian Institution)
Charles D. Walcott (Credit: Smithsonian Institution)

Corre l’anno 1909 quando Charles D. Walcott, paleontologo statunitense, rintraccia i primi fossili nelle argilloscisti di Burgess, fossili che arriveranno alla notevole cifra di 65.000 tra cui molti esemplari decisamente unici. Walcott raccoglie i fossili rintracciati nello Smithsonian Institution di Washington, dove è curatore e si occupa della nomenclatura. Come vedremo la galleria delle creature è stupefacente ma all’epoca non viene riconosciuta tale. Soltanto negli anni ’70 le scoperte di Walcott vengono rivalutate nella loro sorprendente varietà evolutiva.

I reperti risultarono così strani che a volte i paleontologi non avevano idea se si trattasse di organismi interi o di parti staccatisi, alcuni avevano cinque occhi e per alcuni non era chiaro quale fosse la parte anteriore e quella posteriore. Dubbi anche se fossero organismi ancorati al substrato o se potessero nuotare. Uno venne addirittura “ribaltato”.

Ma sbirciamo quindi nel Cambriano:

Opabinia (Credit Wikicommons)
Opabinia (Credit Wikicommons)

Opabinia è davvero un enigma affascinante: cinque occhi sul capo, un rostro flessibile che termina con una chela (forse anche con funzione di aspirazione), l’apparato boccale in posizione ventrale e raggiungibile dalla chela, i segmenti caudali che si organizzano in un timone, ogni segmento ha dorsalmente una doppia branchia respiratoria. Walcott pensò di trovarsi davanti un antico artropode o forse ad un anellide. Gould in un suo scritto afferma“nessuno ci ha insegnato tanto sull’evoluzione come Opabinia”. Estinto.

Anomalocaris (Credit Wikicommons)
Anomalocaris (Credit Wikicommons)

Il più impressionante mostro cambriano (quasi un metro di lunghezza) era stato inizialmente interpretato da Walcott come tre esseri diversi, per via della frammentazione dei resti fossili. Il nome deriva dall’ipotesi di trovarsi al cospetto di un insolito gambero, ma vi erano state viste anche caratteristiche tipiche degli echinodermi (il cetriolo di mare per citarne uno) e pure delle meduse. Con gli occhi peduncolati e appendici boccali protese in avanti si scoprì essere imparentato con Opabinia. Gli studi correnti sono concentrati sull’ipotesi di un numero limitato di specie, con dimorfismo sessuale degli apparati boccali, facenti parte del gruppo Dinocarida. Anche questo essere, che dominò i mari per milioni di anni, si estinse senza discendenza alcuna.

Hallucigenia (Credit Wikicommons)
Hallucigenia (Credit Wikicommons)

Hallucigenia un nome adatto per la creatura forse più enigmatica di Burgess Shale. Walcott l’aveva classificato come un verme polichete e l’aveva chiamato in origine Canadia sparsa.

Qui la classificazione era proprio un campo minato, l’essere dotato di sette coppie di spine le usava per camminare o erano difensive per cui la deambulazione era delegata ai sette tentacoli molli dall’altra parte del corpo? Era quindi il caso di ribaltare il punto di vista? Il capo poteva essere la globosità all’estremità? Un vero guazzabuglio. Negli studi degli anni ’70 Conway Morris, revisore delle conclusioni di Walcott, giunse a collocare l’essere nel gruppo degli attuali onicofori ma solo negli anni ’90 si decise di “ribaltare” l’essere, ribattezzato in Hallucigenia sparsa dal precedente studioso, anche grazie ad alcuni ritrovamenti comparativi delle modalità di ambulazione. Alcuni esperti, visto che i resti sono lunghi circa tre centimetri, ipotizzano che gli stessi siano parti di un organismo più grande non ancora rintracciato, un po’ come capitò a Walcott coi resti frammentati di Anomalocaris. Estinto.

Wiwaxia (Credit Wikicommons)
Wiwaxia (Credit Wikicommons)

 Wiwaxia  dall’aspetto ovale somiglia ad una conchiglia ben armata. Ma non c’è guscio calcareo, solo un organismo molle ricoperto di scleriti protettive, che si muoveva grazie a brachiopodi (corti organi di movimento ventrali). Qui è stato necessario creare un phylum ad hoc nuovo di zecca. Estinto.

E fino a qui alcuni di quelli che, per condizioni avverse, non ce l’hanno fatta. Presentiamo ora un paio dei fortunelli della lotteria evolutiva.

Aysheaia (Credit Wikicommons)
Aysheaia (Credit Wikicommons)

Aysheaia è dai più considerato il presunto antenato di tutti gli insetti. Walcott lo classificò come un verme anellide. Dopo svariate discussioni lo si colloca oggi tra i lobopodi ovvero proprio gli antenati più o meno diretti degli artropodi e degli onicofori (tra cui si ricordano i peripatidi).

Pikaia (Credit Wikicommons)
Pikaia (Credit Wikicommons)

Anche Pikaia venne da Walcott inserita negli anellidi. In realtà Conway Morris, verifico che gli anelli erano fasce muscolari tipiche dei cordati. La notocorda che si intravede è l’antenata della colonna vertebrale. L’animale, che è simile all’odierno anfiosso, è con ogni probabilità antenato dei vertebrati e dei mammiferi e pertanto anche nostro.

Alcune considerazioni escono da queste note; la vita è in continua e incessante evoluzione e pare evidente che non siamo certo noi l’apice del processo, il caso e l’imprevedibilità degli eventi (un grosso asteroide o l’ignorata prevedibilità di certi disastri ambientali) potrebbero anche favorire strade evolutive alternative e quindi esseri diversi.

Abbiamo inoltre origini umili, un verme di fondale. Dovremmo quindi quantomeno abbandonare atteggiamenti di presunzione e orgoglio e guardare al mondo con umiltà sempre rinnovata, con l’impegno di capire e tutelare, ma anche con un grande senso di gratitudine per essere parte di questo meraviglioso spettacolo.

http://burgess-shale.rom.on.ca/en/index.php