Allucinazioni olfattive, poco discusse ma presenti nella popolazione, capiamo cosa sono:

L’olfatto  è uno dei sensi  che rende possibile la percezione della concentrazione, della qualità e dell’identità di molecole volatili oltre che di gas presenti nell’aria. queste molecole sono chiamate odoranti. L’olfatto è connesso in maniera funzionale con il gusto, come si può dimostrare quando un raffreddore appunto congestiona le nostre vie aeree, compromettendo appunto la funzione olfattiva e facendo in modo che i vari cibi abbiano più o meno tutti lo stesso sapore.

alluc.olfat

La fantosmia consiste nella percezione di un odore per il quale, nell’ambiente circostante, non è presente alcuna molecola. Viene comunemente indicata come : “allucinazione olfattiva” e può essere causata da disfunzioni del sistema nervoso centrale o essere sintomo di un presunto tumore cerebrale sviluppato sulla corteccia olfattiva o una malattia psichiatrica comune a tutti come la schizofrenia. In genere sappiamo che si presenta successivamente a un trauma cranico e dopo un’infezione. In genere gli odori che vengono percepiti sono sgradevoli.

La fantosmia viene quindi classificata come una specifica patologia dell’olfatto, si presenta come una classificazione erronea degli odori dell’ambiente circostante. Si distingue dalla parosmia (identificazione errata dell’odore) e, soprattutto, dalla cacosmia (percezione degli odori ripugnanti) con le quali viene invece spesso confusa.

Sappiamo appunto che le allucinazioni olfattive, sono molto rare e generalmente presenti in correlazione ad alcune forme di epilessia.

Le allucinazioni olfattive possono essere ascrivibili a:

  • neoplasie della base dell’encefalo
  • crisi epilettiche parziali o complesse
  • schizofrenia (sensazioni molto spiacevoli come odore di carne putrefatta)
  • depressione psicotica (congrue con il tono dell’umore)
  • demenza di Alzheimer

Le allucinazioni gustative si possono accompagnare anche a quadri deliranti con tematiche di avvelenamento, con: paura o convinzione che il proprio corpo emani odori sgradevoli percepibili dagli altri; si rileva in episodi depressivi o talvolta nel DOC.

Florinda Saverino
29 aprile 2014

Gioco d’azzardo, eccessivo divertimento o patologia?

Il fenomeno del gioco d’azzardo patologico (GAP) si presenta particolarmente sfuggente e di difficile classificazione.

Quindi l’elaborazione di un contributo che abbia come tematica la ricerca empirica nel gioco d’azzardo non può che discutere degli aspetti problematici ancora irrisolti e denunciarne i limiti. Punti centrali del disturbo da gioco d’azzardo sono il discontrollo e l’impulsività nel soggetto dipendente.

gioco d azzardo

I criteri per identificare la patologia sono:

  1. Presenza di episodi di gioco d’azzardo, due o più in un anno
  2. Episodi prolungati, nonostante la sofferenza personale
  3. Necessità di giocare e incapacità di smettere con uno sforzo di volontà
  4. Soggetto spesso alle prese con idee o immagini connesse al gioco

Questi criteri segnalano aspetti sia di antisocialità, di psicopatia e di ossessività, oltre che ansia, depressione ecc.

Uno dei fattori di rischio più importanti, risulterebbe l’alessitimia, i soggetti con ridotte capacità di utilizzare le loro emozioni e i loro pensieri nel guidare i loro comportamenti, potrebbero far ricorso al gioco per risolvere i loro problemi economici e finanziari.

Inoltre viene evidenziata la maggiore probabilità che un soggetto diventi giocatore patologico, in relazione al precoce inizio con il gioco. Gli ultimi studi infatti dimostrano, come la maggior parte dei giocatori patologici maschi, abbia iniziato a giocare prima dei 20 anni, mentre l’aver giocato d’azzardo prima dei 15 anni, sembrerebbe predisporre la predisposizione al gioco d’azzardo patologico. Infine altri studi hanno dimostrato la presenza di maltrattamenti infantili nella storia dei soggetti, oggi dipendenti dal gioco d’azzardo, soprattutto di sesso femminile.

Il trauma, sia emotivo che fisico o sessuale è associato ad una più alta frequenza di tentativi di suicidio, di dipendenza da alcool o farmaci e infine una forte predisposizione al gioco con una crescente gravità dei problemi a esso connessi.

Le diverse forme di gioco, variano in funzione delle caratteristiche socio demografiche?

Gli scommettitori alle corse di cavalli sono prevalentemente maschi e mediamente anziani con associati disturbi di memoria o difficoltà nel controllare il proprio comportamento.

I giocatori di scommesse sportive invece, risulterebbero ragazzi più giovani con conseguenti disturbi anche di alcool. Sono invece prevalentemente donne piuttosto anziane giocatrici di slot machine, esse iniziano a giocare in età avanzata con forti rischi di problemi economici.

Florinda Saverino

La violenza nelle relazioni di coppia

La letteratura internazionale sull’Intimate Partner Violence (IPV), evidenzia come la violenza di coppia, sia un fenomeno estremamente diffuso, aldilà del contesto sociale o etnico. L’IPV è definito, come un pattern di comportamenti aggressivi e coercitivi che possono includere danni fisici, violenza sessuale, violenza psicologica, stalking, intimidazioni e minacce. Tali comportamenti sono agiti da un soggetto definito anche come offender, che ha avuto una relazione con la vittima, e che con questi atteggiamenti hanno il compito di tenere il potere e il controllo sulla stessa.

litigio-coppia

Si possono distinguere diversi tipi di violenza all’interno delle relazioni di coppia:

– Violenza fisica
: Tutti i maltrattamenti fisici esercitati su un’altra persona: spintonare, costringere nei movimenti, sovrastare fisicamente, rompere oggetti come forma di intimidazione, sputare contro, dare pizzicotti, mordere, tirare i capelli, gettare dalle scale, picchiare, schiaffeggiare, privare di cure mediche, privare del sonno, sequestrare, impedire di uscire o di fuggire, strangolare, pugnalare, uccidere.

– Violenza sessuale
: Imposizione di pratiche sessuali non desiderate, essere insultati umiliati o brutalizzati durante un rapporto sessuale, essere obbligati a ripetere delle scene pornografiche.

– Violenza psicologica: 
Accompagna quasi sempre la violenza fisica e in molti casi la precede. Si tratta spesso di atteggiamenti che si insinuano gradualmente nella relazione e che finiscono con l’essere accolti dalla vittima al punto che spesso essa non riesce a vedere quanto siano dannosi e lesivi per la sua identità. Svalorizzazione, eccessiva attribuzione di responsabilità, indurre senso di privazione, distorsione della realtà oggettiva, comportamento persecutorio (stalking), indurre una paura cronica.

– Violenza economica
: Ogni forma di privazione e controllo che limiti l’accesso all’indipendenza economica di una persona. Privare delle informazioni relative al conto corrente e alla situazione patrimoniale e reddituale del partner, non condividere le decisioni relative al bilancio familiare, costringere a fare debiti, tenere in una situazione di privazione economica continua, impedire di lavorare e sminuire il lavoro del partner.

Questi diversi tipi di violenza possono presentarsi isolatamente, ma spesso sono combinati insieme. Per anni diversi studiosi, nel trattare il tema della violenza di coppia, hanno prevalentemente preso come oggetto di studio la donna vittima di violenza, così sui dati raccolti, si sono via via strutturate misure preventive esclusivamente riferite a questo sesso. Centri specializzati, linee di ascolto, linee guida, opuscoli informativi, spot pubblicitari, sono stati messi in atto solo per la prevenzione della violenza contro le donne. Statisticamente, sappiamo che la donna è la figura più a rischio e sicuramente la più vittimizzata.

Diversi autori rilevano, che la natura della violenza nella coppia sia bidirezionale e che vada indagata osservando le caratteristiche di personalità e le configurazioni relazionali con la famiglia d’origine di entrambi i partner. Secondo le ricerche, i delitti passionali costituiscono il maggior numero di crimini consumati in Italia. Essi riguardano le relazioni d’amore e quindi vogliamo portarne un breve accenno. Ciò che emerge con maggior frequenza dai fatti di cronaca, sono gli aspetti di esagerata gelosia o il non rassegnarsi all’abbandono del proprio partner. Ciò che maggiormente ritroviamo in questi crimini è la forma d’innamoramento del fautore di violenza a volte patologico. L’amore può essere in forma spirituale, mentale, amicale o passionale. Ed è proprio quest’ultimo a provocare sentimenti patologici come l’ossessione, la depressione e l’alterazione del tono dell’umore.

Il sociologo John Lee ha condotto uno studio identificando una forma d’amore con risonanze patologiche. Secondo l’autore, il maniaco innamorato è talmente ossessionato dalla persona amata, da avere bisogno di una rassicurazione continua. I delitti passionali, si riferiscono a un inespresso disagio relazionale, che aumentando, arriva anche ad esplodere. I delitti passionali sono spesso la conclusione di amori infelici o non corrisposti. L’assassinio rappresenta un gesto per farsi ascoltare ed anche questo è per l’autore un atto di amore che è stato respinto, ma che si può continuare a controllare attraverso la sua morte. L

a causa più frequente che spinge il soggetto a compiere un delitto passionale, sembra essere la gelosia, comunemente definita come quello stato d’animo forte di una persona che dubita della fedeltà dell’altro. Può presentarsi sotto forme e livelli diversi: desiderio di tener vicino la persona amata, gelosia ossessiva proiettando la propria insicurezza sull’altro o il verificare continuamente la vita del partner. Di per sé quindi, la gelosia, non è patologica, ma può diventarlo quando espressa nella sua forma estrema, trasformandosi in ossessiva o delirante. Per esempio, il delirio di gelosia consiste nella convinzione di essere traditi dal proprio partner. Un altro movente è il delitto d’onore. Intendendo il caso della “Sindrome di Otello”, riferendosi alla tragedia di William Shakespeare. A differenza del delitto passionale, l’omicidio è attuato per salvaguardare il proprio onore.

Florinda Saverino
21 febbraio 2014

Fumare in gravidanza cosa comporta nei figli?

fumo

Alcaloide del tabacco, estratto dalle foglie come liquido oleoso, incolore, di sapore bruciante, questa è la Nicotina. Una delle sostanze di abuso più comuni, favorisce il rilascio di dopamina nel sistema mesolimbico, tale meccanismo permette l’istaurarsi della dipendenza. È stato stimato che nel mondo vi siano 1.2 bilioni di fumatori, il fumo infatti è uno dei più grossi fattori di rischio che implica la morte prematura da malattie come cancro, ictus, malattie cardiovascolari ecc.

Gli ultimi dati attestano che solo il 3% dei fumatori riesce a smettere di fumare ed il 40% di averci provato. Il fumo provoca dipendenza, con gravi conseguenze economiche, fisiologiche e psicologiche. Molte donne dipendenti dalla nicotina quando sono gravide, sottovalutano tutto ciò, alcune di loro diminuiscono il numero di sigarette giornaliere ma non sanno che nonostante questo il problema rimane. Uno studio condotto da Andrew Lux, della Bath Unit for Research in Paediatrics presso il Royal United Children’s Hospital di Bath, in Inghilterra espone chiaramente come il bambino dopo la nascita subisce danni non soltanto se la madre fumava in gravidanza, ma anche dall’esposizione al fumo passivo una volta nato. Inoltre i bambini nati da donne fumatrici presentano un rischio più elevato nel soffrire di asma o respiro affannato. Le sigarette sono colpevoli di circa l’1,5% dei problemi di affanno nei bambini, ci sono poi ovviamente altri fattori di rischio, come una storia familiare di asma, le condizioni abitative, l’essere maschi ecc.

L’ultimo studio esposto dalla rivista Toxicology and Applied Pharmacology  ha cercato di comprendere quali sono le probabilità di obesità nella prole quando la madre del piccolo fuma in gravidanza, o si avvicina a terapie sostitutive a base di nicotina per smettere di farlo.

I risultati dimostrano che circa il 47% dei bambini nati da donne fumatrici, hanno maggiori probabilità di diventare obesi da adulti. I ricercatori quindi hanno cercato di capire, utilizzando un modello animale, come cambiava la probabilità di obesità se in gravidanza si utilizzano terapie sostitutive per smettere di fumare.
Ne è emerso che anche l’esposizione a dosi minime di nicotina induce il fegato del bambino nascituro a produrre più trigliceridi del normale ed è per questo che tali neonati corrono più rischi nel diventare obesi o di sviluppare seri problemi legati al peso.

Florinda Saverino
7 febbraio 2014

Cosa succede quando sogniamo?

sognoUna delle più calzanti definizioni del sonno è quella data nel 1985 da Fagioli e Salzarulo che lo presentano come “uno stato dell’organismo caratterizzato da una ridotta reattività agli stimoli ambientali che comporta una sospensione dell’attività relazionale (rapporti con l’ambiente) e modificazioni dello stato di coscienza: esso si instaura autonomamente e periodicamente, si autolimita nel tempo ed è reversibile”.

Se ci troviamo in un ordinario stato di veglia il tracciato elettroencefalografico mostra un andamento vivace, rapido, con tanti picchi, a frequenza irregolare: questo stato si chiama desincronizzazione cerebrale. Man a mano che si passa dal rilassamento all’addormentamento, fino al sonno vero e proprio, si osserva che il tracciato dell’elettroencefalogramma si modifica gradualmente mostrando un andamento più lento: è lo stato di sincronizzazione cerebrale. Via via che procediamo dall’addormentamento al sonno passiamo da uno stato di desincronizzazione ad uno di sincronizzazione. Ma dopo circa 90 minuti dall’inizio dell’assopimento, dopo i cosiddetti stadi del sonno a onde lente, il cervello addormentato inizia a produrre una desincronizzazione cerebrale simile a quella della veglia: anche se il soggetto dorme profondamente l’intensità del tracciato elettroencefalografico indica un lavoro attivo da parte dei neuroni: questa è la fase del sonno dove compaiono i sogni. Durante questo stadio di sonno desincronizzato il corpo è come paralizzato e il nostro cervello, che è come cieco e sordo rispetto agli stimoli esterni, processa informazioni che provengono dal suo interno creando le scene oniriche.

Nei sogni le caratteristiche dell’esperienza cosciente diurna sono notevolmente alterate. In particolare, la coscienza onirica è totalmente svincolata dalla necessità di adattamento all’ambiente esterno reale ed è interamente governata dalle leggi dell’affettività, che prescindono dalle norme logiche e sociali; lo spazio e il tempo sono irreali, cioè il soggetto può essere contemporaneamente in due posti diversi, e insieme attore e spettatore della medesima scena. Un’altra caratteristica dell’esperienza cosciente onirica, nota fin dall’antichità, è costituita dal valore simbolico dei suoi contenuti; in proposito, Freud ha parlato di «simbolizzazione» onirica. Lo studio empirico dell’esperienza onirica, condotto con categorie psicologiche, può essere fatto risalire all’inizio del secolo scorso, quando risultò chiaro che le stimolazioni esogene sul corpo del soggetto dormiente svolgono un certo ruolo nella determinazione dei contenuti onirici, e che in questo processo le percezioni oniriche risultanti sono sempre di natura visiva e auditiva, anche se le stimolazioni interessano altri sensi. A seguito di tali scoperte Freud (nel 1900) pubblica L’interpretazione dei sogni, opera fondata sull’analisi rigorosa dei sogni dell’autore stesso.

Negli anni ’50, quando William Dement – oggi uno dei più famosi scienziati del sonno – formulò quest’ipotesi studiando il sonno dei gatti, la comunità scientifica pensò subito a un errore del giovane ricercatore. In realtà la scoperta segnò un punto di svolta nella ricerca oltre che del sonno, anche dell’attività onirica.

Ultimamente è stato prodotto un dispositivo in grado di capire che cosa stiamo sognando, con una discreta approssimazione, è stato messo a punto dai ricercatori dell’Università di Kyoto, in Giappone. Basato su una macchina per la risonanza magnetica funzionale (fMRI), un algoritmo e migliaia di immagini prese dal web, il modello sperimentale è riuscito a imparare abbastanza sui pattern di attivazione cerebrale di tre soggetti dormienti da indovinare, nel 60% dei casi, i contenuti dei loro sogni.

Florinda Saverino
21 gennaio 2014

Cyberstalking Cosa è? Come difendersi?

cyberNel XXI secolo la comunicazione è diventata prevalentemente elettronica, fenomeno che si sta istaurando sempre di più nelle case di tutti noi. L’uomo con la tecnologia ha creato un nuovo modo di comunicare tra le mura domestiche e nel sociale attraverso il computer, dove mette in atto meccanismi relazionali di ogni tipo. Il cybermondo è una realtà molto più immaginaria e simbolica che fisica, molto più concettuale che diretta. Questa nuova magia tecnologica permette alle persone di comunicare tra loro indipendentemente dal luogo in cui si trovano o dal fuso orario, annullando le distanze spaziali. Il computer permette di conoscere l’altro, ma non abbastanza da incontrarlo e accettarlo nella sua diversità e nella sua interezza, perché si trova all’esterno della dimensione del reale. Una conoscenza degli ambienti virtuali diventa quindi indispensabile per il ricercatore o il terapeuta che desidera studiare la realtà che i nuovi mezzi di comunicazione offrono, attraverso la strutturazione di quel fenomeno chiamato New Addiction Desorder. Al suo interno troviamo il cyberstalking, inteso come quella condotta persecutoria effettuata dallo stalkerusando la rete internet e i servizi a essa connessi. L’uomo di oggi ha bisogni e desideri da esprimere sempre più nuovi, che sono annullati dall’onnipotenza dei nuovi strumenti comunicativi, stravolgendo gli stili di vita. Oggi il bisogno di relazione sembra esser assorbito da un diverso modo di stare con l’altro, al fine di sentirsi probabilmente più leggeri e con meno situazioni difficili da gestire. Il cybermondo è come una terra estrema dove i limiti geografici sono metafora dei confini del Sé, vissuti da chi ha desiderio di conoscere e comunicare. Quel mondo più semplice è lì alla portata di un click, dove è facile immergersi da qualsiasi luogo e dove diventa possibile essere chiunque. Il bisogno di relazione è indispensabile per l’individuo, ma è altrettanto difficile scoprire le proprie fragilità, il non conosciuto, le proprie paure, ecco perché l’uomo si è trovato un’apparente alternativa tramite internet. Questo sembra essere uno dei motivi per cui i soggetti si rifugiano nel virtuale, accontentandosi di far trasparire solo la parte che pensa sia più adatta alla situazione, istaurando una relazione infelice che ha alla base un bisogno insoddisfatto.

Le relazioni virtuali oltre che una minor ricchezza sensoriale, presentano l’aspetto dell’anonimato o meglio dello pseudonimo che appare perfetto per il cyberstalker, modificando condotte e stili di vita proprie e dell’altro. Facebook ad esempio è un sito web di reti sociali, considerando l’enorme quantità di dati che giorno dopo giorno vengono condivisi su questo sito, accade sempre più spesso che informazioni personali, tendano a passare sotto gli occhi attenti di ex partner ancora invaghiti o pseudo innamorati. Questo social network, si configura come uno tra i principali mezzi di comunicazione attualmente esistenti, sul quale purtroppo, si basano la maggior parte degli atti di stalking.

Ciò che caratterizza una quantità così diversa di condotte virtuali è la coscienza volontaria a terrorizzare la vittima. L’inseguimento virtuale dello stalker è una costante minaccia o molestia che s’insinua in ogni luogo che la vittima frequenta nel cyberspazio. Nel mondo virtuale lo stalker può molestare e assillare la sua vittima, senza dover lasciare la comodità del proprio computer o della propria abitazione. Le azioni più frequenti nel Cyberstalking sono: l’invio di mail a contenuto offensivo nei confronti della vittima (spamming), l’intromissione nel sistema informatico della vittima tramite programmi volti ad assumerne il controllo (trojan horses) o a danneggiarlo (virus), e infine il più comune di tutti, la falsa rappresentazione della persona offesa (in chat, o newsletters) spesso in contesti diffamatori.

Si consiglia ai soggetti vittime di cyberstalking di raccogliere le prove (email,chat) etc. e sporgere denuncia presso la Questura della zona.

Florinda Saverino
12 gennaio 2014

Le allucinazioni

Quando la parola allucinazione entrò a far parte del nostro mondo, circa nel Cinquecento, indicava un “vaneggiare..una mente errante”. Le definizioni precise di tale parola variano ancora oggi in modo considerevole, perché non è facile discriminare dove si trovi il confine tra allucinazione, mispercezione e illusione.

allucinazioniL’allucinazione è una percezione che avviene quando la corteccia sensoriale è attivata in assenza di una corrispondente stimolazione dei recettori periferici, in altre parole è una percezione senza una fonte esterna. In ambito cognitivista [Horowitz, 1975], l’allucinazione è definita come un’esperienza mentale che si manifesta in forma d’”immagini” derivate da una fonte di informazione interna, o percezioni erroneamente giudicate come provenienti da input esterni. Le allucinazioni sono classificate sulla base della modalità psicosensoriale, poi suddivise in elementari (o semplici) e complesse (o strutturate) in rapporto al livello di strutturazione formale dell'”immagine” e alla discriminazione dell’oggetto percepito. Esperienze allucinatorie di diversa modalità sensoriale possono verificarsi contemporaneamente, per esempio organizzandosi in percezioni visuo-acustiche.

ALLUCINAZIONI VISIVE:

  • ELEMENTARI: flashes (lampi colorati, bagliori luminosi, scintillii, spirali filamentose, caleidoscopie, luci, ombre) e forme geometriche (cerchi, quadrati, rombi, triangoli, reticolati… bi o tri-dimensionali).
  • COMPLESSE: persone intere, parti del corpo, animali, oggetti inanimati, scenari naturali, ambienti domestici e autoscopie (vedere se stessi).

ALLUCINAZIONI UDITIVE:

  • ELEMENTARI: brevi suoni, fruscii, ronzii, fischi, rumori, sibili, tintinnii, fonemi indistinti, note musicali.
  • COMPLESSE: parola, voci intelligibili, discorsi, canti, melodie musicali.

ALLUCINAZIONI SOMATO-CENESTESICHE:

  • ELEMENTARI: alterazioni propriocettive ed enterocettive parziali, assenza di sensazioni somatiche, impressioni di paralisi o immobilità, pseudocinesie, brividi, effetti termici superficiali, dispercezioni con sensazioni d’oscillazione, galleggiamento, ondeggiamento, elettrizzazione cutanea, senso di caduta o mancanza di sostegno.
  • COMPLESSE: alterazioni propriocettive ed enterocettive globali, rilevanti modificazioni dello schema corporeo con sensazioni di trasformazione della forma o della dimensione.

ALLUCINAZIONI OLFATTIVE E GUSTATIVE:

  • ELEMENTARI: gusti insoliti, odori, profumi, fetori.

ALLUCINAZIONI PATOLOGICHE O PSICHIATRICHE
In ambito psichiatrico l’allucinazione è il sintomo più caratteristico dei disturbi della percezione. Generalmente le allucinazioni sono strettamente associate al delirio (disturbo del pensiero caratterizzato da false convinzioni, credenze e interpretazioni). Deliri e allucinazioni sono i sintomi principali della psicosi, entrambi hanno carattere di totale incontrovertibilità, cioè non sono riconosciuti come errati né sulla base della critica né in conseguenza dell’evidenza. Fra allucinazione e delirio esiste un circuito cognitivo di reciproco rinforzo: le percezioni allucinatorie vengono elaborate ed integrate in un sistema di convinzioni, di idee e d’intuizioni deliranti che a loro volta sostengono altre esperienze allucinatorie.

Le percezioni almeno in una certa misura possono essere condivise, ad esempio voi ed io possiamo essere d’accordo sul fatto che “là c’è un albero”, ma se io dico: “ laggiù vedo un albero” e voi non lo vedete, considererete il mio albero un allucinazione, qualcosa costruito dal mio cervello e visibile solo a me. A chi le vive le allucinazioni sembrano molto reali, possono mimare la percezione in ogni singolo suo aspetto. Vi sono poi le pseudo-allucinazioni, in questo caso l’allucinazione non è proiettata nello spazio esterno, ma viene visualizzata all’interno delle palpebre, di solito hanno luogo negli stati di quasi-sonno. Le allucinazioni inoltre possono sovrapporsi alle mispercezioni o alle illusioni, se guardando il volto di qualcuno io vedo solo una mezza faccia, questa è una mispercezione.

Occorre consultare il medico non appena insorgono le allucinazioni. L’atteggiamento negativo, l’indifferenza o l’ironia dell’ambiente circostante possono soltanto ritardare la diagnosi e, dunque, la terapia.

La terapia farmacologica delle allucinazioni richiede la somministrazione di neurolettici che sono però tra gli psicofarmaci più pesanti per l’organismo, questa cura va associata a una psicoterapia, al fine di aiutare la persona a riacquistare la facoltà di distinguere tra realtà e immaginazione e a conoscersi meglio per poter affrontare il mondo che la circonda.

Florinda Saverino
3 gennaio 2013