Vi siete mai chiesti.. Cosa fosse la personalità?

personalità

Il più antico precursore dello studio della personalità fu Ippocrate che, in un’ottica di considerazione dell’uomo con lo stesso grado di differenziazione di un microcosmo, definì quattro tipi personali, in base all’umore di base presente nel suo corpo: melanconico, collerico, flemmatico, sanguigno.

Il termine latino personalitāte(m) derivò dal greco πρόσωπον e dall’etrusco phersu.

Cicerone la definì come l’aspetto e la dignità di un essere umano, oppure, in un’altra definizione, quella parte che si recita nella vita, e non a caso “persona” rappresentava la maschera indossata dagli attori.

La struttura di personalità è l’insieme delle caratteristiche personali (in parte innate e in parte acquisite) che rendono il comportamento di ogni individuo unico e irripetibile.

Cosa comprende? Comprende i conflitti inconsci, gli aspetti economici e dinamici dei meccanismi di difesa, la qualità delle relazioni interpersonali e i derivati strutturali delle relazioni oggettuali nel tempo interiorizzate;

La struttura di personalità è ciò che esita e si cristallizza a partire dalla nascita in funzione:

  • dell’equipaggiamento biologico
  • delle modalità di interazione tipiche di un dato nucleo familiare
  • delle difese organizzate dalla persona per sovrastare lo stress
  • del tipo di esperienze personali vissute nel corso dell’età evolutiva

Lo psicologo anglo-tedesco Hans Eysenck (1916-1997), studioso della struttura della personalità, nella sua opera “The structure of Human Personality” afferma che:
« La personalità è la più o meno stabile e durevole organizzazione del carattere, del temperamento, dell’intelletto e del fisico di una persona: organizzazione che determina il suo adattamento totale all’ambiente »

Secondo Hans Eysenck la struttura di personalità è formata da tre dimensioni:

  1. Intelligenza (o dimensione cognitiva)
  2. Temperamento (o dimensione relazionale)
  3. Carattere (o dimensione affettivo-emotiva)

Queste tre dimensioni dovrebbero essere equilibrate tra loro, per evitare che l’individuo possa andare incontro a condizioni potenzialmente patologiche.

Florinda Saverino
28 dicembre 2013

L’aggressività, spiegazioni a riguardo

aggressività

Diversi scienziati, antropologi e filosofi ritengono che la specie umana abbia prevalso su altri viventi, grazie alla correlazione che esiste tra intelligenza e aggressività. Quest’ultima soprattutto quando esposta in modo costruito e pensato verso i propri simili, si nota come una caratteristica esclusivamente dell’uomo.

L’aggressività è definita come una serie di comportamenti fisici e/o verbali, volti a danneggiare un altro individuo, due sono i punti di focus: l’intenzionalità nel recare un disturbo in parte grave nei confronti dell’altro e l’attesa che questo possa provocare un danno alla persona da colpire. Possiamo inoltre distinguere l’aggressività strumentale e l’aggressività emozionale. Nella prima, l’atteggiamento violento è diretto allo scopo che può essere facilmente raggiunto, come per esempio un anziano in un vicolo buio sarà una preda facile e accessibile per un rapinatore. Nell’aggressività emozionale invece troviamo un comportamento atto ad arrecare danno, senza alcuna considerazione responsabile delle conseguenze, indipendentemente dal raggiungimento dello scopo, a esempio il diverbio accentuato che può sfociare in conseguenze ben gravi, nonostante il banale motivo iniziale.

Un’altra distinzione è quella tra aggressività definita come componente istintuale e violenza, riferita invece ad una serie di fenomeni antisociali di gruppo o individuali, finalizzati al raggiungimento di un obbiettivo.

Una domanda importante cui diversi studiosi hanno cercato di dare risposta per diverso tempo è se il comportamento aggressivo sia un fattore innato o appreso.

Vogliamo quindi esporre alcune considerazioni biologiche e psicologiche.

Le ricerche sulla biologia del comportamento aggressivo sono fondamentali, perché hanno rivelato come l’aggressività umana possa discendere dall’organismo. Gli studi per esempio che analizzano le basi anatomiche del comportamento violento, hanno evidenziato il coinvolgimento dell’amigdala che se stimolata può provocare una reazione violenta, se invece inibita tende a diminuirne l’espressione.

Inoltre, secondo le ricerche di Dabbs e Hargrove (1997)è stato rilevato il ruolo del testosterone, ormone sessuale maschile che quando iniettato, innalza in maniera innaturale i livelli di aggressività. È stato osservato che è proprio questo l’ormone chiamato in causa per differenziare l’aggressività maschile e femminile. Donne con manifestazioni più elevate di aggressività, presentavano quantità più elevate di testosterone.

Per quanto riguarda le spiegazioni psicologiche, partendo dalla storia possiamo citare la prospettiva psicoanalitica freudiana che osserva l’aggressività come istinto, si parla infatti di Eros e Thanatos, ovvero le pulsioni di vita e di morte. Tali pulsioni scandiscono la dimensione psichica e biologica di ogni essere, Sigmund Freud le individuava nel loro esternarsi, nell’agire costruttivo o distruttivo dell’individuo.

Florinda Saverino
17 dicembre 2013

Craving

Con il termine Craving, o appetizione patologica si intende un desiderio irrefrenabile di assumere una sostanza che se non soddisfatto, può provocare sofferenza sia fisica che psichica. Può essere definito come il pensiero ossessivo ricorrente del bere sino alla perdita del controllo dei propri impulsi. Ne sono state proposte numerose definizioni, fino alla distinzione sottolineata dall’OMS Organizzazione Mondiale della Sanità tra il non-symbolic craving correlato all’astinenza e il symbolic craving, associato alla perdita di controllo e al fenomeno della ricaduta.

alcol

Craving dunque come “urge to drink” innescato dalla presenza di bevande alcoliche che scatenerebbero, prima ancora di essere assunte, un desiderio incontrollabile nei soggetti vulnerabili.

Il craving sarebbe prontamente stimolato da fattori associati con la sostanza, elementi quindi capaci di svolgere un ruolo preventivo di “grilletto”, che innescano con un meccanismo di condizionamento, il desiderio della gratificazione.

Tale fenomeno è molto pericoloso perché molti lo associano solo alla sindrome astinenziale ma in realtà la compulsione può comparire anche dopo anni di astinenza dall’alcol.

In riferimento al decorso specifico della dipendenza alcolica si possono distinguere un craving di tipo fisico, per lo più caratterizzato da sintomi di tipo astinenziale (aumento della frequenza cardiaca, nausea, tremori, sudorazione) che si manifesta dopo la brusca riduzione di alcol, dopo un periodo di consume eccessivo e un craving psicologico che si manifesta durante l’astensione e che può portare il soggetto alla ricaduta.

Lesh (1991) ha descritto Quattro tipologie di paz. che riflettono le diverse interazioni tra gli effetti dell’alcol e la vulnerabilità primaria dei soggetti

Pazienti di tipo I quando sono in astinenza non presentano desiderio di bere, ma in seguito a piccole assunzioni di alcol, sviluppano un craving incontrollabile

Pazienti di tipo II rientrano i soggetti che utilizzano la sostanza per risolvere o attenuare situazioni conflittuali personali

Pazienti di tipo III l’esposizione ad eventi stressanti o eccessivi cambiamenti associati a periodi di insonnia possono indurli a ricorrere all’alcol al fine di “automedicarsi”

Pazienti di tipo IV possono essere ricondotti i soggetti a cui manca l’atteggiamento critico nei confronti del bere, quindi sono estremamente cedevoli al desiderio.

Florinda Saverino
9 dicembre 2013

Internet Addiction

Nel XXI secolo la comunicazione è prevalentemente basata sull’elettronica, internet ed i computer grazie alle sempre più economiche, accessibili e semplici modalità di utilizzo ed acquisto sono ormai nelle case di ognuno di noi. L’uomo con la tecnologia ha creato un nuovo modo di comunicare tra le mura domestiche e nel sociale attraverso il computer, dove mette in atto meccanismi relazionali di ogni tipo. Il cybermondo è una realtà molto più immaginaria e simbolica che fisica, molto più concettuale che diretta. Questa nuova magia tecnologica permette alle persone di comunicare tra loro indipendentemente dal luogo in cui si trovano o dal fuso orario, annullando le distanze spaziali.

Internet-Addiction

Il computer permette di conoscere l’altro, ma non abbastanza da incontrarlo e accettarlo nella sua diversità e nella sua interezza, perché si trova all’esterno della dimensione del reale. Una conoscenza degli ambienti virtuali diventa quindi indispensabile per il ricercatore o il terapeuta che desidera studiare la realtà che i nuovi mezzi di comunicazione offrono, attraverso la strutturazione di quel fenomeno chiamato New Addiction Desorder.

Un contatto eccessivo con il mondo delle tecnologie può inserirsi all’interno di contesti familiari o educativi non adeguati. Per gli adolescenti (che rivestono la percentuale più alta di consumatori tecnologici), la sensazione di appagamento “illusorio” che l’oggetto additivo può determinare e le intense stimolazioni sensoriali o emozionali che esso è in grado di dare, finiscono per accentuare la percezione di vuoto quando l’oggetto non è più disponibile.

La dipendenza da internet finisce così con l’accentuare la presa totalizzante ed esclusiva sulla mente dell’addict, venendosi così a consolidare un circuito della dipendenza sempre più stretto fino a escludere altre possibilità di gratificazione e di fruizione del piacere.

Oggi non esiste famiglia nella quale televisione, computer, videogame, telefonini non occupino uno spazio ampio, si tratta di oggetti entrati all’interno dell’uso comune di tutte le fasce sociali e ai quali non sembra possibile rinunciare.

Il nostro mondo tecnologico seppur utile da un lato è compulsivo e pervasivo dall’altro, un mondo sempre più tecnologicamente accelerato rischia di lasciare gli esseri umani privi di riferimenti sicuri per orientarsi nella dimensione dell’etica e del significato, di svuotare affetti e sentimenti.

Florinda Saverino
5 dicembre 2013

Il fenomeno dello Stalking

Lo stalking è una forma di comportamento criminale, intimidatorio e di terrore psicologico, che può portare ad atti violenti contro una vittima. Lo stalker entra nelle vite delle vittime invadendole e terrorizzandole tramite comportamenti come l’osservazione, pedinamenti, intimidazioni o la molestia, spesso con conseguenze devastanti. Alcuni soggetti vittime di stalking arrivano a cambiare il proprio stile di vita (orari, automobili, vie abitudinarie) per proteggere se stessi e la propria famiglia.

stalking

Il termine deriva dal verbo inglese to stalk e indica “fare la posta, braccare, pedinare”;; precisamente si riferisce a comportamenti atti a osservare ripetutamente la condotta della preda al fine di intimidirla e catturarla. La traduzione italiana che più di frequente viene utilizzata è “molestie assillanti”.

La relazione esistente tra lo stalker e la vittima può variare: i due si conoscono con gradi di intimità diversi, oppure sono dei perfetti sconosciuti. Con questo fenomeno, intendiamo precisamente un insieme di comportamenti tramite i quali una persona affligge un’altra con intrusioni e comunicazioni invadenti ripetute e indesiderate, a tal punto da provocargli terrore, ansia o paura. Queste condotte possono essere distinte in tre tipologie: comunicazioni e contatti indesiderati, e comportamenti associati.

1) Le comunicazioni indesiderate: lettere e telefonate sono le forme più comuni di comunicazione, ma gli stalker utilizzano anche invio di sms, mail o altro, a esempio messaggi lasciati sul parabrezza della macchina o sulla porta di casa del molestato.

2) I contatti indesiderati: fanno riferimento ai comportamenti dello stalker diretti ad avvicinare in qualche modo la vittima a sé. Tra questi i più comuni sono i pedinamenti, il presentarsi direttamente nell’abitazione della vittima, appostarsi sotto casa, monitorare i suoi spostamenti o recarsi nei luoghi frequentati dalla stessa.

3) I comportamenti associati: tra questi troviamo l’ordine o la cancellazione di beni e servizi a carico della vittima, al fine di intimidirla, oppure far trovare oggetti macabri in luoghi da lei frequentati (per esempio animali o parti di animali morti), vandalizzare le proprietà del molestato (per esempio tagliare le gomme dell’automobile, danneggiare o bruciare l’abitazione).

La maggior parte dei comportamenti assillanti, sono messi in atto da partner o ex- partner.

Per la paura di essere abbandonati e/o non accuditi, possibilmente anche come ripetizione delle esperienze infantili di separazioni avvenute in maniera precoce, ci si lega ossessivamente a qualcuno, adottando condotte di stalking “O mia o di nessuno”.

Quando si cerca di costruire un rapporto con qualcuno, l’ottenere dei rifiuti porta in genere a un desistere della frequentazione, al contrario insistere comunque e in ogni modo, può essere letto come un inizio di comportamento assillante. Questa forma di violenza produce come scopo principale o come effetto secondario, ansia o paura nelle vittime. E’ utile quindi riconoscere per quanto possibile sin da subito le condotte assillanti e rivolgersi presso le Forze dell’Ordine o Centri Antiviolenza.

Le donne rappresentano da sempre la categoria più vittimizzata, anche se negli ultimi anni si sta assistendo a un ribaltamento dei ruoli, dove le donne diventano carnefici e gli uomini vittime.

Florinda Saverino
26 novembre 2013

Anoressia al Maschile

 

anoressia

L’anoressia Nervosa è un Disturbo Alimentare e riguarda la fobia di ingrassare con il conseguente rifiuto di cibo, tale disturbo è stato da sempre considerato prevalentemente a carattere femminile. Uno dei più comuni sintomi indicati nei criteri diagnostici dell’anoressia risulta infatti l’amenorrea.

Diversi casi di anoressia maschile infatti non vengono preventivamente diagnosticati o riconosciuti come tali e quindi l’incidenza della variante al maschile è ancora sottostimata.

Le donne rappresentano sicuramente la categoria più vittimizzata, i soggetti di sesso maschile che soffrono di anoressia nervosa, secondo le ultime indagini epidemiologiche risultano essere tra il 5% e il 10%. Gli uomini rispetto le donne presentano una maggior difficoltà nel mettersi in discussione, dettata dalla carente informazione riguardo tale disturbo. Oggi grazie ai numerosi articoli riferiti ai casi di anoressia al maschile, si è raggiunto un notevole incremento nella richiesta di aiuto da parte degli stessi, sia dal punto di vista Ospedaliero che Psicoterapico. L’esordio di anoressia nervosa negli uomini, avviene di solito dopo l’episodio puberale e non nella prima adolescenza come diversamente avviene per le donne. Secondo le ultime indagini, la fascia d’età riguarda maggiormente adolescenti e giovani adulti. Per questi ultimi in tale fase di sviluppo diventa difficile riconoscersi nel proprio corpo in fase di cambiamento, successivamente allo sviluppo puberale gli adolescenti maschi devono costruire una immagine mentale del nuovo corpo.

Una caratteristica comune dell’anoressia femminile e maschile sono le fasi di esordio, tipiche risultano essere le motivazioni riguardo la moda e il raggiungere obiettivi di bellezza perfetta. Quindi se le donne anoressiche tipicamente per raggiungere gli obiettivi imposti dai nuovi valori generazionali, iniziano con una comune dieta che finisce per diventare digiuno ed eccessiva magrezza, risulta una prerogativa specifica dell’uomo quella di scolpire le masse muscolari. Sicuramente negli ultimi anni l’ideale estetico maschile ha subito profondi cambiamenti, spostandosi dalla virilità alla bellezza e avvicinandosi al modello femminile. Bisogna quindi riconoscere che il proliferare di riviste che spiegano come raggiungere un’adeguata forma fisica e l’aumento sul mercato di prodotti dietetici o di bellezza hanno sicuramente influenzato la società maschile. Il corpo in sé ma soprattutto la prestazione fisica anche per l’uomo, oggi sono diventati un canale comunicativo privilegiato, con cui esprimere sicurezza o disagio tanto agli altri quanto a se. L’aspetto fisico per l’uomo diviene così un banco di prova con cui misurarsi e confrontarsi, ricercando un perfezionismo spesso esasperato.

Florinda Saverino
24 novembre 2013

Urlare contro i figli è psicologicamente scorretto

Sgridare i propri figli capita a tutti, ma urlargli contro abitualmente non migliora la situazione.

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L’Università di Pittsburgh ha analizzato su un campione di 967 adolescenti americani, le relazioni educative basate su urla e insulti da parte di genitori nei confronti dei propri figli, per un periodo di due anni e valutato i conseguenti effetti nel tempo.

Il risultato? E’ stato osservato che i ragazzi che subivano insulti e urla continue hanno riportato maggiori problemi di aggressività e depressione, con conseguente tono dell’umore negativo e difficoltà a instaurare relazioni, rispetto i coetanei che avevano genitori più “pazienti”.

Coloro che avevano ricevuto invece un’educazione basata sul dialogo e la comprensione in famiglia, riportavano non solo un tono dell’umore prevalentemente positivo, ma anche maggiore pazienza nel discutere con i propri genitori e notevole capacità di problem-solving. L’educazione ricevuta dai genitori è un importante fattore che può influenzare lo sviluppo di una relazione positiva tra fratelli, infatti i figli che avevano genitori più pazienti, erano più comprensivi anche nei confronti dei fratelli più piccoli. L’adolescenza è un periodo in cui i conflitti tra figli e genitori, sono più frequenti, ed essendo un momento della crescita in cui inizia a configurarsi l’identità, spesso ci si isola, chiudendosi nel proprio mondo interno.

Va sottolineato che se il ragazzo presenta problemi di comportamento e disciplina, generalmente i genitori sono maggiormente portati a imporre un’educazione fatta di urla e rimproveri.

E’ importante quindi ricordare che non tutti gli adolescenti sono uguali e anche se il proprio figlio risulta più difficile da gestire, il genitore dovrebbe utilizzare la comunicazione, spiegando le proprie preoccupazioni e aiutandolo a esprimere le proprie emozioni e i propri bisogni.