La storia esplosiva del pianeta Mercurio: una scoperta inaspettata

Per molto tempo si è pensato che il pianeta Mercurio non avesse avuto una lunga storia vulcanica, al contrario di altri pianeti, come la vicina Venere (tuttora ricoperta di vulcani notevolmente attivi) e la nostra Terra, in cui i vulcani, in passato, hanno contribuito alla formazione dell’atmosfera che ha favorito lo sviluppo della vita.

Due condotti vulcanici all’interno di un cratere di Mercurio. L’immagine sotto, in falsi colori, mostra i depositi piroclastici in marrone.
Due condotti vulcanici all’interno di un cratere di Mercurio. L’immagine sotto, in falsi colori, mostra i depositi piroclastici in marrone.

Si credeva che Mercurio non avesse potuto conservare al suo interno sufficienti quantità di gas tali da dare origine a esplosioni vulcaniche: durante la formazione del Sistema Solare, infatti, i pianeti più vicini al Sole, per le alte temperature, non sarebbero riusciti a trattenere gli elementi che avrebbero dato origine a molecole volatili come acqua o anidride carbonica. Sulla Terra è ben nota la correlazione tra i gas e l’attività vulcanica esplosiva: all’interno della camera magmatica di alcuni vulcani si accumulano gas e, quando la pressione diventa troppo elevata, esplodono. Sono, per questo motivo, i vulcani considerati più pericolosi sul nostro pianeta, come ad esempio il monte St. Helens, negli Stati Uniti, famoso per la disastrosa eruzione del 1980, e il Vesuvio, altrettanto famoso per la distruzione di Pompei del 79 d.C., ma anche per altre violente eruzioni avvenute in secoli più recenti.

La missione MESSENGER (MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry and Ranging), lanciata nel 2004, ha analizzato e fotografato la superficie di Mercurio, rivelando un particolare inaspettato: la presenza di numerosi crateri e condotti vulcanici da eruzioni di tipo esplosivo, oltre a depositi di ceneri vulcaniche.

Il gruppo di ricercatori condotto da Timothy A. Goudge della Brown University di Rhode Island, USA, ha pubblicato i risultati dell’analisi dettagliata di queste immagini sul Journal of Geophysical Research: Planets.

I ricercatori hanno osservato e studiato 51 apparati vulcanici, analizzandone le dimensioni, le caratteristiche composizionali, il livello di erosione e la posizione.

È proprio la posizione ad aver mostrato una particolarità: quasi tutti gli apparati vulcanici, infatti, si trovano all’interno dei crateri da impatto di meteoriti; si sono perciò creati successivamente a tali impatti, o sarebbero, altrimenti, andati distrutti. Il motivo di questa disposizione è da attribuire al fatto che nei crateri la crosta del pianeta è assottigliata, favorendo così la risalita verso la superficie del magma e quindi dei gas che si trovano all’interno del pianeta.

Inoltre si pensa che Mercurio, a partire dalle prime fasi della sua vita, abbia subito dei fenomeni di contrazione per raffreddamento che avrebbero ridotto il suo diametro, oltre a una perdita degli strati più superficiali. La contrazione avrebbe provocato un inspessimento della crosta, facendo sì che fosse molto più semplice per il magma raggiungere la superficie nelle aree già alterate dai crateri.

La teoria della contrazione termica è supportata anche dalle dimensioni del nucleo stesso del pianeta, che sembra essere, in proporzione, molto grande se confrontato con quello di altri pianeti, oltre che dalla presenza di fenomeni tettonici antichi ma ancora visibili sulla superficie del pianeta.

La perdita degli strati più superficiali del pianeta potrebbe spiegare l’interruzione dei fenomeni vulcanici: potrebbero essere stati vaporizzati dalle intense radiazioni solari, essendo il pianeta così vicino al Sole, che si sarebbero così portate via anche i gas necessari alle esplosioni di magma.

I condotti vulcanici individuati sono stati datati, relativamente uno all’altro, a seconda del grado di erosione di ognuno. Se inizialmente si credeva che il vulcanismo Mercuriano fosse limitato ai primi milioni di anni di vita del pianeta, ci si è dovuti ricredere: gli apparati vulcanici possono essere datati in tutto un arco di tempo che va da più di 4 miliardi fino a circa 1 miliardo di anni fa: cioè dalla nascita stessa del pianeta (o poco dopo) fino a tempi molto più geologicamente recenti.

Questo studio stravolge le conoscenze su questo pianeta dalle condizioni termiche estreme, aprendo le porte a nuove ricerche non solo per quanto riguarda Mercurio stesso, ma anche per quanto riguarda un altro vicino corpo celeste che presenta strutture vulcaniche molto simili: la nostra Luna.

Giulia Pieraccini
9 maggio 2014