La morte dell’individualità
- Daniel Iversen
- 1 Maggio 2014
- Psicologia
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L’idea che siamo individui dal pensiero libero ha plasmato la società occidentale per secoli. I dati però ci mostrano che ciò che domina realmente è il pensiero di gruppo.
Per gran parte della nostra storia ci è stato insegnato che la verità e la morale vengono da Dio e dal Re, e che il libero arbitrio è solo una questione teologica. Nel 1700 ciò ha iniziato a cambiare e si è fatta strada, nei sistemi di credenze delle alte sfere, l’idea che gli esseri umani sono individui liberi con una libertà di scelta razionale.
Nel corso del tempo i concetti di razionalità e individualità hanno profondamente modellato i governi e le culture dell’Occidente.
Ma fino a che punto siamo individui con libertà di pensiero ? Questa domanda è importante visto che l’economia e pure molta scienza cognitiva hanno alla loro base il concetto di un individuo indipendente. Forse è proprio questa ipotesi che ha portato alle difficoltà riscontrate in queste discipline su fenomeni come bolle finanziarie, movimenti politici, panico di massa o mode tecnologiche.
Una recente ricerca sta iniziando a scoprire il grado in cui ci comportiamo come individui indipendenti. Combinando i dati dai cellulari, dalle carte di credito, dai social media e altre fonti, possiamo osservare gli esseri umani nello stesso modo in cui i biologi osservano gli animali nel loro habitat naturale con telecamere e sonar. Studiando le persone in questo modo possiamo derivare alcune regole matematiche di comportamento, una “fisica sociale” che fornisce una conoscenza attendibile su come le informazioni e le idee scorrono da persona a persona. Questa disciplina ci mostra come il fluire delle idee modella la cultura, la produttività e la produzione creativa delle aziende, delle città e delle società.
Per sviluppare questa nuova scienza sono stati studiati dei veri e propri laboratori viventi. Distribuendo, infatti, in piccole comunità e ad ogni abitante degli smartphone con installato uno speciale software, si sono potute tracciare le interazioni sociali con i loro coetanei, sia amici che conoscenti, e allo stesso tempo fare domande sulla loro salute, opinione politica e preferenze d’acquisto. Per esempio, quando è stato esaminato l’aumento di peso, si è visto visto che le persone prendevano nuove abitudini dall’esposizione a quelle dei loro coetanei, e non solo tramite interazione con gli amici.
Ciò significa che se nell’ufficio tutti gli altri mangiano le ciambelle, anche tu probabilmente inizierai a farlo. In realtà, è emerso che questo tipo di interazione è molto più rilevante di tutti gli altri fattori combinati, il che sottolinea l’importanza dell’apprendimento sociale automatico nel plasmare le nostre vite. Abbiamo visto il ripetersi dello stesso schema per il voto e il comportamento nel consumo.
Il fattore più trainante nell’adozione di nuovi comportamenti è stato il comportamento dei coetanei. In altre parole, gli effetti di questo tipo di apprendimento sociale implicito erano all’incirca della stessa misura dell’influenza dei geni sul vostro comportamento, o del vostro QI sul vostro rendimento scolastico.
La logica dietro a tutto questo è semplice. Se qualcun altro ha già investito dello sforzo nell’ imparare un comportamento utile, è più facile copiarlo che impararlo da soli. Se per esempio dovete imparare a usare un nuovo sistema operativo, perché leggersi il manuale quando potete guardare qualcun’altro che l’ha già imparato? Le persone si affidano prevalentemente all’insegnamento sociale e per questo sono anche maggiormente efficienti.Esperimenti come questo ci mostrano che nel tempo sviluppiamo un insieme condiviso di abitudini utili a reagire e comportarci in molte situazioni diverse. Queste abitudini d’azione, in gran parte automatiche, rappresentano la stragrande maggioranza del nostro comportamento quotidiano.
Alla luce di questo dovremmo forse chiederci quanto sono importanti le scelte individuali in confronto alle abitudini condivise, visto che sembra chiaro il potere di queste ultime in opposizione al pensiero individuale. Quando studiamo come le decisioni vengono prese in piccoli gruppi vediamo che lo schema della comunicazione, cioè chi ha parlato con chi e quanto, è molto più importante delle caratteristiche degli individui singoli. Negli studi sui luoghi di lavoro, che vanno dai call centers ai gruppi accademici di ricerca su medicinali, gli schemi di comunicazione sono solitamente il fattore singolo più importante sia nella produttività che nell’output creativo. Nel nostro recente studio, su 300 città negli USA e in Europa, la differenza tra retribuzione medie diverse era dovuta quasi totalmente alle differenti forme di comunicazione. Questa differenza era molto più significativa delle difformità tra i tipi di istruzione o di classe.
Importante sottolineare che il reddito per persona cresce esponenzialmente più le persone condividono idee, quindi è la condivisione che causa la crescita, e non solo il fatto di avere il contributo di più individui.
Invece di individualità razionale la nostra società sembra governata da una intelligenza collettiva che arriva dal flusso circostante delle idee e degli esempi; impariamo dagli altri nel nostro ambiente, e gli altri imparano da noi. Quello che la fisica sociale mostra è che, mentre il flusso delle idee incorpora anche una corrente costante delle idee provenienti dall’esterno, gli individui nella comunità prendono migliori decisioni di quello che farebbero ragionando le cose loro stessi.
Non è nuova l’idea di una intelligenza collettiva che si sviluppa all’interno di comunità. Essa è incorporata anche nella lingua inglese e tedesca. Si consideri infatti la parola”kith”, conosciuta da chi parla inglese moderno, dalla frase “kith and kin” Deriva dalla parola “conoscenza”, dell’inglese e del tedesco antico, e si riferisce a un gruppo più o meno coeso con credenze e abitudini comuni. E’ anche radice per “couth” che vuol dire possedere un alto grado di sofisticazione, forse il suo opposto “uncouth” può essere piu famigliare. Cosi, il nostro “kith” è il nostro circolo di coetanei, non soltanto gli amici, dai quale impariamo i “corretti” modi di fare.
La nostra cultura, e le abitudini della nostra società sono dei contratti sociali, e entrambi dipendono in primo luogo dall’apprendimento sociale. Come risultato la maggior parte delle nostre credenze e abitudini sono state apprese osservando le abitudini, le azioni e i successi dei coetanei e dei conoscenti, più che grazie alla logica o ad una discussione. Imparare e rinforzare questo contratto sociale è ciò che permette a un gruppo di persone di coordinare in maniera efficiente le loro azioni.
Fabbrica sociale
E’ tempo di lasciarsi alle spalle la finzione dell’individuo come unità razionale, riconoscendo che la nostra razionalità è determinata in gran parte dalla fabbrica sociale che abbiamo intorno.
Invece di diventare attori nel mercato siamo collaboratori nel determinare il bene pubblico.
La nostra ricerca ha infatti dimostrato che le persone sono influenzate molto più dalle loro reti sociali che da incentivi individuali.
Per esempio, in un esperimento incentrato a promuovere una vita più sana abbiamo confrontato due diverse strategie, quella di dare del denaro ai partecipanti ogni volta che miglioravano il loro comportamento in tal senso, e di darlo invece agli amici dei partecipanti.
Abbiamo visto che dare denaro agli amici era efficace quattro volte tanto quello di darlo direttamente ai partecipanti.
Simili incentivi alla rete sociale hanno portato a risultati ancora più netti quando si trattava di incoraggiare un voto o il risparmio energetico.
Il potere della “fabbrica sociale” sulla decisione individuale è, infatti, la vera ragione per cui la privacy è così importante. Come dimostrò il lavoro di Stanley Milgram sulla conformità sociale molti anni fa, il potere dell’influenza sociale può portare le persone ad avere sia comportamenti buoni che comportamenti terribili, e può trasformarli in qualcosa a cui è davvero difficile credere.
Senza la privacy il potere che avrebbero le corporation o i governi nel manipolare i nostri comportamenti sarebbe virtualmente illimitato.
La risposta ai problemi legati a ciò è di adoperare le interfacce informatiche usate dalle banche per trasferire denaro senza rilevare informazioni non necessarie. Reti di questo tipo permettono di controllare le informazioni che ti riguardano e limitare di conseguenza la facoltà degli altri di manipolarti. Questa però è un’altra storia.
articolo ripreso da Alex ‘Sandy’ Pentland , per il suo nuovo libro “Social Physics”
Daniel Iversen
1 maggio 2014