L’uomo riconosce il grasso.. a naso
Una nuova ricerca condotta dal Monell Center, rivela che gli esseri umani sono in grado di usare il senso dell’olfatto per identificare grassi alimentari presenti nel cibo. Dal momento che l’odore viene sempre rilevato prima del gusto, questa scoperta delinea una delle prime qualità sensoriali che segnala la presenza di grassi in un alimento. Un giorno potranno essere sviluppati alcuni metodi innovativi che, usando gli odori, creino alimenti più appetibili ma con un basso contenuto di grasso, in modo da aiutare gli sforzi della salute pubblica a ridurre l’assunzione di grassi alimentari.
“Il senso dell’olfatto negli esseri umani è di gran lunga superiore di quanto crediamo nel guidarci attraverso la vita quotidiana”, spiega il primo autore Johan Lundström, PhD, neuroscienziato cognitivo al Monell. “Il fatto di avere l’abilità di poter identificare e discriminare piccole differenze del tenore della quantità di grasso nel nostro cibo ci suggerisce che questa caratteristica deve avere avuto una importanza evolutiva considerevole.”
Essendo un nutrimento molto ricco di calorie, e stoccabile nel nostro corpo per lunghi periodi, il grasso è da sempre stato una risorsa energetica molto desiderata nel corso dell’ evoluzione. Deve essere quindi stato vantaggioso individuarlo nell cibo, proprio come lo è stato anche il gusto per il dolce che certifica la presenza di energia negli alimenti, sotto forma di carboidrati.
Anche se gli scienziati sanno che gli esseri umani usano dei segnali sensoriali per rilevare il grasso, rimane ancora poco chiaro quali siano esattamente i sensori che forniscono questa abilità. I ricercatori al Monell hanno motivato la capacità di individuare il grasso attraverso l’odore come un vantaggio che permette di trovare risorse di cibo a distanza.
Mentre ricerche precedenti avevano determinato che la nostra specie è di fatto in grado di usare il senso dell’olfatto per individuare alti livelli di grasso puro, in forma di acidi grassi, non si pensava che ciò significasse riuscire a rilevarlo anche in una forma più reale, come il cibo.
Nel studio corrente [1], riportato sulla rivista Open Access PLOS ONE, i ricercatori hanno chiesto alle persone se riuscivano a individuare e quantificare la quantià di grasso in un prodotto alimentare consumato comunemente, come il latte.
Per farlo, hanno chiesto a soggetti sani di annusare del latte contenente delle normali quantità di grasso: 0,125 %, 1,4% oppure 2.7 %.
Ai soggetti bendati sono stati presentati i campioni di latte all’interno di alcune fiale. Due di queste contenevano latte con la medesima percentuale di grasso, mentre la terza ne conteneva una concentrazione diversa.
Il compito dei soggetti era quello di annusare le tre fiale e identificare quale di queste aveva la concentrazione diversa dalle altre.
Lo stesso esperimento è stato condotto tre volte usando soggetti diversi: prima con persone in salute e con un penso normale, provenienti dall’area di Philadelphia, poi usando soggetti da un contesto culturale diverso, l’area di Wageningen nei Paesi bassi; i terzi soggetti provenivano sempre dall’area di Philadephia ma erano sia sovrappeso che normopeso.
In tutti e tre gli esperimenti i partecipanti potevano usare il senso dell’olfatto per distinguere i diversi livelli di grasso nel latte: si è visto che questa abilità non era diversa nelle due culture testate, anche se, per esempio, le persone dei Paesi Bassi consumano giornalmente molto più latte degli americani. Non c’era nemmeno nessuna relazione tra il peso corporeo e l’abilità di distinguere il grasso.
“Ora abbiamo bisogno di identificare quali sono le molecole olfattive che permettono alle persone di individuare e differenziare i livelli di grasso, le cui molecole, tipicamente non sono volatili, il che significa che è improbabile che possano essere rilevate annusando campioni alimentari” spiega l’autore capo Sanne Boesveldt, PhD, una neuroscienziata sensoriale. “Avremmo bisogno di sofisticate analisi chimiche per fiutare il segnale”.
[1] http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0085977
Daniel Iversen
27 gennaio 2014