Il cervello dei primati segue un modello di sviluppo prevedibile

Scritto da:
Maria Grazia Tecchia
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sviluppo-primatiI neuroscienziati hanno fatto un passo in avanti nella comprensione dell’evoluzione del cervello, dimostrando che le differenze tra uomo e primati possono essere spiegate come conseguenze naturali di uno stesso programma genetico iniziale.

La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Neuroscience  e grazie al professor Marcello Rosa e al suo team della Scuola di Scienze Biomediche in primis e ai colleghi dell’Università Federale di Rio de Janeiro in Brasile, si è potuto dimostrare tramite una comparazione a computer l’ampliamento di alcune aree del cervello umano rispetto a quello dei primati, segno dell’evidente sviluppo cognitivo.

Questa scoperta suggerisce che alcuni tratti puramente umani, come ad esempio la capacità di pianificare, di prendere decisioni complesse o di parlare, sono una semplice conseguenza naturale dell’evoluzione del cervello che presenta dimensioni maggiori.

Il professor Rosa ha affermato che gli scienziati sapevano da tempo che alcune aree del cervello umano, in riferimento a come è organizzato il cervello di una scimmia, sono più grandi di quanto ci si aspetterebbe ma che nessuno fino ad oggi si era reso conto che questo allargamento selettivo è parte di una tendenza che è stata presente fin dagli albori dei primati.

Utilizzando delle mappe celebrali, i neuro scienziati hanno potuto comparare le dimensioni del cervello di diversi esseri umani e di tre specie di scimmie quali i Cappuccini, i Macachi e gli Uistitì. Il risultato è che vi sono due regioni, ovvero la corteccia prefrontale laterale e il bivio parietale temporale, che sono più estesi rispetto agli altri cervelli.

La prima di queste due aree è infatti legata alla pianificazione a lungo termine, all’espressione della personalità e al processo decisionale; la seconda, invece, è legata alla consapevolezza di sé.
Dunque più grande è il cervello, più diventano estese queste aree, maggiore è la differenza.

Lo studio vuol raggiungere l’obiettivo finale di capire se effettivamente i primati più prossimi all’uomo hanno aree celebrali organizzate come quelle dell’essere umano.

Maria Grazia Tecchia
25 ottobre 2013