Origini umane: ambiente e adattabilità evolutiva del genere Homo
- Leonardo Debbia
- 13 Luglio 2014
- Antropologia
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Si è pensato a lungo che molti tratti tipici degli esseri umani abbiano avuto origine con la comparsa del genere Homo tra 2,4 e 1,8 milioni di anni fa, in Africa. Sebbene gli scienziati per decenni si siano trovati sostanzialmente d’accordo sui tempi e sui luoghi d’origine di questi caratteri, ora stanno riconsiderando quali siano i veri fattori evolutivi che li hanno guidati.
Finora si era ritenuto che cervello grande, gambe lunghe, abilità nel costruire strumenti e prolungati periodi di crescita intellettiva fossero caratteri che avevano iniziato ad evolversi tutti insieme contemporaneamente, all’inizio della linea evolutiva Homo, quando le praterie africane si erano accresciute e il clima della Terra aveva cominciato a divenire più fresco e più asciutto.
Il nuovo clima e le prove fossili analizzate da un team di ricercatori, tra cui Richard Potts, paleoantropologo della Smithsonian Institution, Susan Antòn, antropologa della New York University e Leslie Aiello, presidente della Fondazione Wenner-Gren per la ricerca antropologica, suggerivano però che in realtà le cose erano andate diversamente.
Questi tratti comuni non avevano cominciato a svilupparsi ‘in blocco’ da un dato momento in poi.
Piuttosto, alcuni ingredienti chiave, ritenuti una prerogativa del genere Homo, probabilmente si erano evoluti già nei primi antenati degli Australopitechi, tra i 3 e i 4 milioni di anni fa, mentre altri erano emersi in modo significativo soltanto in seguito.
Il team di ricerca ha usato un approccio innovativo per integrare i dati paleoclimatici, i nuovi rinvenimenti fossili, i resti archeologici e gli studi biologici di una vasta gamma di mammiferi (compreso l’uomo).
La sintesi di tutti questi dati ha indotto i ricercatori a concludere che la capacità dei primi esseri umani di adattarsi a condizioni ambientali mutevoli ha consentito alle prime specie di cambiare, di sopravvivere e di espandersi dall’Africa all’Eurasia all’incirca 1,8 milioni di anni fa.
Potts ha ridipinto un nuovo scenario del clima in cui maturò l’evoluzione umana in Africa orientale per la maggior parte dell’arco temporale che va da 2,5 a 1,5 milioni di anni fa, ritenendolo un periodo di forte instabilità climatica, con alternanze annuali di intense stagioni umide e intense stagioni secche.
Questo quadro, fondato sui cicli astronomici della Terra, fornisce la base per alcuni dei principali risultati dello studio e fa ipotizzare che più specie coesistenti del genere Homo, viventi nelle stesse aree geografiche, abbiano avuto modo di svilupparsi, mutando a seconda del cambiamento del clima.
“Le condizioni climatiche instabili favorirono le radici dell’adattabilità umana dei nostri antenati”, dice Plotts, che è curatore di Antropologia e Direttore dell’ Human Origins Program presso il Museo di Storia Naturale della Smithsonian. “Il racconto dell’evoluzione umana che scaturisce dalle nostre analisi sottolinea l’importanza della capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali nelle prime fasi del successo evolutivo del genere Homo”.
Il team ha esaminato l’insieme delle prove fossili, di indubbio rilievo per capire meglio come si è evoluta tutta l’umanità partendo dal genere Homo.
Ad esempio, cinque crani di circa 1,8 milioni di anni fa trovati nel sito di Dmanisi, nella Repubblica della Georgia, ad est del Mar Nero, mostrano variazione dei tratti tipici osservati in H. erectus, ma differenti per poter essere definiti appartenenti ad altre specie di Homo, conosciute solo in Africa.
E ancora, scheletri scoperti di recente di Australopithecus sediba (1,98 milioni di anni fa) nel sito di Malapa, in Sud Africa, hanno mostrato alcune caratteristiche simili a quelle di Homo, sia nei denti che nelle mani, per cui sono stati proposti come specie di transizione tra l’A. africanus e l’Homo habilis.
Il confronto di questi fossili, tra i tanti, con l’abbondanza di fossili in Africa orientale indica che la prima diversificazione del genere Homo fu un periodo di sperimentazione morfologica.
Non ci pare azzardato, a questo punto, asserire che diverse specie di Homo abbiano vissuto contemporaneamente.
“In generale, possiamo definire una specie a parte basandoci sulle differenze di forma del cranio, in particolare la faccia e la mascella, ma non sulla base delle dimensioni”, dice la dottoressa Antòn. “Le differenze del cranio da noi riscontrate suggeriscono che gli esemplari primitivi di Homo furono selezionati dall’ambiente, forse perché ciascuno utilizzò una diversa strategia di sopravvivenza”.
Tutte le specie del genere Homo presero il sopravvento non solo per le dimensioni del corpo, del cervello e dei denti, ma perché avevano anche cervelli più grandi rispetto ai loro probabili antenati, gli Australopitheci.
Oltre allo studio del clima e dei dati fossili, il team ha anche esaminato le prove fornite dagli antichi strumenti di pietra, analizzato gli isotopi del materiale trovato tra i denti e studiato i graffi sulle ossa degli animali rinvenute in Africa orientale.
“L’insieme di questi dati suggerisce che le specie del genere Homo erano più flessibili nelle loro scelte alimentari rispetto alle altre specie”, dice la professoressa Aiello. “La variabilità della loro dieta, probabilmente comprendente la carne, è stata favorita dall’uso di strumenti in pietra, che permisero ai nostri antenati di attingere ad un’ampia gamma di risorse”.
Il team ha concluso che questa flessibilità ha probabilmente migliorato la capacità dei nostri antenati umani di adattarsi con successo ad ambienti instabili e ad uscire dall’Africa.
Questa flessibilità continua oggi ad essere una caratteristica della biologia umana e favorisce la capacità di occupare habitat diversi ovunque, nel mondo.
Leonardo Debbia
13 luglio 2014