Successi e ritardi nel recupero della Costa Concordia

Scritto da:
Massimo Gigliotti
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Costa Concordia

Sono mesi che il silenzio mediatico è sceso sul caso “Costa Concordia” ma il relitto è ancora sulla al largo dell’Isola del Giglio. A fine aprile si concludeva la gara di appalto per la rimozione della nave da crociera, vinta dalla società Titan Salvage, in collaborazione con la società italiana Micoperi. La Titan Salvage è una società statunitense, appartenente al gruppo Crowley Group, leader mondiale nel settore del recupero di relitti. Micoperi, invece, è una società italiana specializzata che ha una lunga esperienza sia nella costruzione che nella progettazione subacquea.

L’ufficio stampa di Costa Crociere precisava che sarebbero state effettuate una serie di operazioni per riportare il relitto ad una condizione di galleggiamento, per essere poi trainato alla base operativa del porto di Civitavecchia. Delusa dalla decisione del comitato tecnico, è di sicuro la Regione Toscana che sperava in un risvolto positivo della tragedia per l’economia con l’impiego di forza lavoro locale. La scelta era invece ricaduta sul consorzio italo-statunitense in base a criteri di “minor rischio possibile; minor impatto ambientale possibile; salvaguardia delle attività turistiche ed economiche dell’Isola del Giglio; massima sicurezza degli interventi” così come commentava la società armatrice italiana.

Tuttavia, dopo le positive dichiarazioni di celerità nelle operazioni di recupero, è stato tutto rimandato. La rimozione, a quanto pare, è diventata più complessa del previsto e così le fasi più delicate del recupero non avverranno nel dicembre 2012 come da progetto iniziale ma si slitta di quattro o cinque mesi, alla fine di primavera 2013. La notizia trapelata dall’Osservatorio di Monitoraggio non è stata ben accolta dal sindaco del Giglio Sergio Ortelli, il quale ha richiesto che la comunità dell’isola torni ad essere aggiornata costantemente sui lavori, così come era avvenuto durante il recupero del carburante dalle cisterne della nave. I cittadini sembrano però non essere sorpresi: i lavori vanno a rilento, ma nonostante sia comprensibile il danno ambientale in atto, sono felici di avere una fonte di guadagno sicura, dovuta soprattutto ai lavoratori che alloggiano sull’isola. Se non fosse per loro, la crisi economica avrebbe avuto effetti assai spiacevoli per i commercianti e albergatori gigliesi.

Nonostante i problemi e i rinvii attuali, vanno ricordati anche i risultati positivi ottenuti grazie al rapido intervento e alla coordinazione della Marina Militare, dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile per la salvaguardia ambientale. Il susseguirsi degli eventi furono seguiti attentamente anche dalle associazioni ambientali come Greenpeace e Legambiente. Il pericolo di disastro, che poteva essere causato dallo sversamento del carburante in mare, è stato sventato grazie al lavoro della società olandese Smit, assieme alla società Tito Neri di Livorno. Seppur il fondale della Gabbianara, uno dei paesaggi sottomarini più suggestivi del Mediterraneo, non sia più in ottime condizioni, il problema più grave non si è verificato. Lo stesso Ministro dell’Ambiente Clini aveva spiegato che: “Un danno ambientale è già stato provocato nei fondali di fronte all’Isola del Giglio; certo, un danno ancora molto contenuto, si tratterà poi di vedere a fine operazioni quale sarà la situazione.” L’inquinamento del mare che fu riscontrabile presso le acque in cui giace ancora tuttora il relitto della Costa Concordia era superiore a quello delle aree industriali che si affacciano sul mare, come per esempio Marghera a Venezia, Piombino a Livorno o Vado a Savona. La situazione era quindi molto pericolosa. Ci pensò il sindaco Ortelli a rasserenare gli animi: non si trattava infatti di idrocarburi, bensì di oli alimentari, lubrificanti e detergenti. Le unità antinquinamento del Ministero dell’Ambiente, comunque, si mobilitarono immediatamente per circoscrivere e bonificare l’area. In ogni caso gli esperti rassicuravano, spiegando che i detersivi sono aggressivi velocemente, quando sono molto concentrati, però si può contare sul vantaggio che possono disperdersi in maniera altrettanto rapida, limitando i danni da contaminazione.

Il carburante fu recuperato dagli operatori della Smit, i quali introdussero del vapore nei serbatoi per riscaldare il carburante, che si stava solidificando a causa delle basse temperature registrabili sott’acqua (l’incidente avvenne il 13 gennaio 2012); la quantità di carburante ammontava a circa 2.400 tonnellate, paragonabile a quello contenuto in una petroliera di piccole dimensioni.

La vicenda peraltro fa sorridere – di un sorriso amaro – tenendo presente che la Concordia poteva essere definita una nave ecocompatibile di rispetto. Infatti la nave possiede tutte le certificazioni che assicurano uno basso impatto ambientale. Il tutto si può dedurre da uno specifico documento, il Green Passport, pubblicato dal Registro dei Lloyds di Londra nel 2010.

Dopo la tragedia che ha visto protagonista l’isola del Giglio, il ministro Clini ha dichiarato in tono deciso: “Basta con la gestione di queste navi che vengono usate come se fossero dei vaporetti. Questo non è turismo sostenibile, ma turismo pericoloso. Dobbiamo intervenire rapidamente e con decisione per evitare che queste grandi navi arrivino vicino ad aree ambientalmente sensibili.

A questo proposito Greenpeace fa notare che i casi pericolosi si ripetono nel tempo. Ad esempio nel dicembre 2011, sempre nella stessa zona, il traghetto Eurocargo Venezia, a causa di una tempesta, ha perso 40 tonnellate di sostanze tossiche in mare. Circostanze che mettono costantemente a rischio la sostenibilità ambientale. Gli esponenti di Greenpeace, quando ancora si temeva il pericolo di marea nera, hanno spiegato: “Lo sversamento di solo tre/quattrocento tonnellate di carburante dal portacontainer RENA, in Nuova Zelanda ha ucciso circa 20mila uccelli marini e inquinato decine di chilometri di costa. L’emergenza ambientale che si profila nel caso della Costa Concordia è tristemente simile a quella che ha seguito l’affondamento, il 5 aprile 2007, della nave da crocera Sea Diamond a Santorini e ripropone la questione dei rischi causati dall’avvicinamento alla costa dei grandi traghetti.

Circoscrivere il passaggio delle grandi navi vicino ai litorali è determinante per salvaguardare l’ecosistema. Il punto d’arrivo dovrebbe essere un turismo sostenibile che possa veramente definirsi tale. Inoltre il WWF chiede alle autorità governative di non sottovalutare la questione delle rotte, stabilendo non solo norme più rigide che vietino il passaggio delle navi vicino alle coste, ma impegnandosi, affinché siano definite con rigore le rotte da osservare, specialmente per il traffico commerciale pericoloso, come quello petrolchimico. In tal modo si possono preservare con cognizione di causa le aree marine protette e tutto il Mediterraneo.

Massimo Gigliotti