Inia araguaiaensis: nuova specie identificata a rischio

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Inia araguanensis, la nuova specie di delfino scoperta.

Una nuova specie di delfino di acqua dolce è stata scoperta nei fiumi Araguaia e Tocantin nel Brasile Orientale al di fuori dell’area amazzonica. La scoperta è stata fatta da un team di ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università Federale Amazonas in Brasile in collaborazione con l’Università di Dundee nel Regno Unito e pubblicata sulla rivista scientifica PLOS ONE il gennaio scorso.

Alla nuova specie è stato dato il nome di Inia araguaiaensis dal nome del principale fiume in cui è stata rinvenuta e costituisce un entità biologica separata a tutti gli effetti dalle altre due specie di delfini d’acqua dolce Inia geoffrensis e I. boliviensis presenti nel vicino bacino amazzonico. A sostegno di queste ipotesi, i ricercatori hanno condotto studi genetici e di comparazione morfologica e sono giunti alla convinzione che I. araguaiaensis si sia sperata da I. geoffrensis circa 2,08 milioni di anni fa, nel tardo Pleistocene.

Tale ipotesi sembrerebbe supportata dal fatto che nel periodo pleistocenico alcuni cambiamenti geologici hanno cambiato e ridotto le connessioni tra il bacino amazzonico e il fiume Araugaia interrompendo eventuali flussi genici tra le due popolazioni di delfini favorendo il processo di speciazione detto di “vicarianza”.

Morfologicamente la nuova specie presenta un numero inferiore di denti e maggiori dimensioni della scatola cranica. Le differenze molecolari e genetiche si esprimono nella diverse frequenze allelliche e altre polimorfie genetiche.

Appena scoperta però la specie potrebbe già essere minacciata di estinzione. I ricercatori hanno stimato una popolazione di poco più di 1000 esemplari. Se si attribuissero i criteri della IUCN allo stato di conservazione di questa specie, sostengono i ricercatori, probabilmente sarebbe classificata come endagered; le problematiche sono ancora una volta da ricercare nelle attività antropiche come

la costruzione di dighe, lo sfruttamento dei territori del bacino e l’inquinamento da attività agricole, solo per elencare le principali.

Tale scoperta è sensazionale perché il rinvenimento di una nuova specie di mammifero fa capire quanto ancora dobbiamo scoprire e quanto poco ancora conosciamo la biodiversità su questo pianeta. Una biodiversità fragile che prima ancora di apprezzarne la ricchezza, rischiamo di perderla.

Paola Lentini
11 febbraio 2014

Fonti:
Tomas Hrbek1, Vera Maria Ferreira da Silva, Nicole Dutra1, Waleska Gravena, Anthony R. Martin, Izeni Pires Farias. (2014). A New Species of River Dolphin from Brazil or: How Little Do we Know Our Biodiversity. PLOSONE 9 (1) 1:12.

Moria di anfibi in tutto il mondo. Chi è il responsabile?

Rana appenninica
Rana appenninica

Si chiama chitridiomicosi la malattia fungina che sta portando all’estinzione diverse popolazioni di anfibi. É causata da un fungo chitride, Batrachochytrium dendrobatidis (BD), è ubiquitario colpisce infatti gli anfibi che vivono in ambienti montani, in aree tropicali e zone temperate.

L’aumento globale della temperatura sembra abbia contribuito ad aumentare il grado di infettività del fungo, secondo quanto dimostrato dal gruppo di ricerca capitanato dal Professor D.C Woodhams dell’Università di Vanderbilt in Tennessee (USA) in uno studio pubblicato nel 2006 sulla rivista scientifica Journal of Wildlife Diseases.

E in Italia?
Non sembrano al momento in pericolo le specie italiane o almeno non ci sono valide evidenze che la presenza di questo fungo stia causando morie rilevanti; lo sostengono i ricercatori dell’Università della Tuscia in seguito ad uno studio condotto lungo tutta la Catena Appenninica su tre specie di anfibi: Salamandra salamandra giglioli, Rana italica e Mesotriton alpestris apuanus e pubblicato nel dicembre del 2013 sulla rivista scientifica Diseases of Aquatic Organism (DAO).

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Seppure una buona percentuale di individui testati siano risultati positivi ai test di laboratorio per la presenza di BD, apparentemente tali specie non soffrono dell’infezione. Un declino nelle popolazioni di anfibi nella nostra penisola però è già avvenuto ma è stato attribuito all’inquinamento delle acque da attività agricole, alla frammentazione degli habitat e all’introduzione di specie di pesci alloctone; condizioni che si registrano dal 1980.

E poiché la presenza del fungo è stata rilevata lungo tutta l’area di studio, continuano i ricercatori, è necessario considerare gli effetti a lungo termine che questo patogeno potrebbe avere sulla fauna anfibia italiana così ricca di endemismi: già duramente provati dall’inquinamento ambientale e dai cambiamenti climatici, questi animali potrebbero non trovarsi più in condizioni ottimali tali da resistere alla malattia.

Concludono,quindi, raccomandando che “un piano di monitoraggio delle variazioni della virulenza del fungo nelle popolazioni di anfibi ospiti deve essere previsto in futuro, al fine di identificare possibili cambiamenti nell’interazione ospite-patogeno verso un incremento della patogenicità”.Sembra quindi che BD non agisca come unico killer, ma che la concatenazione con altri fattori di rischio ambientale ne aumenti l’infettività.

Bibliografia:

  • Woodhams, D.C., Voyles, J., Lips, K.R Carey, C.&Rollins-Smith, L.A. (2006b). predicted disease susceptibility in a Panamian amphibian assemblage based on skin peptide defences. J.Wildl. Dis. 42, 207-218
  • Zampiglia M, Canestrelli D, Chiocchio A, Nascetti G (2013) Geographic distribution of the chytrid pathogen Batrachochytrium dendrobatidis among mountain amphibians along the Italian peninsula. Dis Aquat Org 107:61-68