Specie aliene: una minaccia per gli anfibi italiani

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Redazione
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Nell’anatomia comparata moderna, gli anfibi sono considerati l’anello di congiunzione tra i vertebrati acquatici e terrestri. Essi, infatti, sono dotati di strutture e processi metabolici adattati alla vita sulla terra ferma, ma conservano molte caratteristiche dei vertebrati acquatici.
Questa condizione per così dire di “passaggio evolutivo” rende però questi animali particolarmente vulnerabili. Possiedono, infatti, alcune caratteristiche morfologiche e metaboliche, come ad esempio l’uovo privo di membrana, respirazione polmo-cutanea, necessità di presenza d’acqua, che mal si abbinano con i cambiamenti in atto per quanto riguarda aspetti climatici, inquinamento, alterazione e distruzione degli habitat. Oggi molte delle specie di anfibi Alleanzasono seriamente in pericolo; nei primi studi condotti, si pensava che proprio queste variazioni ambientali, fossero la causa principale della progressiva scomparsa di questa classe di vertebrati. Dalle ultime ricerche, la causa dominante sembra invece essere l’introduzione di specie alloctone, o aliene, da parte dell’uomo. In prima istanza l’introduzione di specie animali o vegetali al di fuori del proprio areale d’origine rappresenta una delle maggiori perdite di biodiversità. Le specie aliene invasive hanno un forte impatto su quelle native a causa dell’instaurarsi di fenomeni di predazione e competizione, per l’alterazione degli equilibri ecosistemici e per la possibile trasmissione di agenti patogeni.
Una delle specie più dannose per gli anfibi autoctoni è il Lithobates catesbeianus Shaw, o rana toro, specie originaria del Nord America, importata in Italia a scopi alimentari. É una delle più grandi rane al mondo, può crescere fino a raggiungere i 20 cm. di grandezza e può pesare oltre 2 kg. E’ considerata una delle specie invasive più dannose in quanto forte competitore e predatore delle specie native di anfibi, e soprattutto potenziale vettore di agenti patogeni. I patogeni che possono trasmettere sono di tipo virale o fungino e portano alla diffusione di alcune malattie. Quella più grave è sostenuta da un micete ed è detta Chitridiomicosi. La malattia prende il nome da un microfungo ubiquitario, il Batrachochytrium dendrobatidis, che vive e infetta proprio nell’areale in cui vivono gli anfibi, e cioè negli ambienti umidi. Vengono colpiti da questa malattia gli anfibi nello stadio larvale, provocando dermatiti, che determinano alterazione dei processi di respirazione, osmoregolazione e di smaltimento delle tossine prodotte dalle spore fungine.
Queste infezioni a carico degli anfibi, sono note da alcuni decenni in Australia, ma solamente all’inizio degli anni 2000 sono stati diagnosticati in alcune specie di rana italiane, soprattutto in alcuni endemismi dell’appennino centrale, che stanno procurando il dimezzamento delle popolazioni.
Sembra che i cambiamenti ambientali legati al surriscaldamento globale, accompagnato in molte regioni ad una diminuzione delle precipitazioni, hanno provocato la trasformazione di un fungo saprofita in un parassita patogeno.

Giuseppe Alleanza