Sismicità indotta: Recenti terremoti in USA correlati ad attività umane

Scritto da:
Leonardo Debbia
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Negli Stati Uniti centro-orientali il numero dei terremoti è aumentato notevolmente negli ultimi anni. Nel triennio 2010-2012 si sono verificati più di 300 terremoti sopra magnitudo 3.0, a fronte di una percentuale media di 21 eventi sismici all’anno osservata nel periodo 1967-2000.

Questo aumento del numero dei terremoti pone due domande essenziali: a) Si tratta di eventi naturali o c’è invece la mano dell’uomo? b) Che cosa si dovrebbe o si potrebbe fare in futuro per affrontare adeguatamente le conseguenze di questi eventi e ridurre, di conseguenza, i rischi associati?

Sismicità indotta in USA nel periodo 2009-2012. I punti neri indicano terremoti di magnitudo 3.0
I colori indicano livelli di pericolo. Dalla US National Seismic Hazard Map (NSHM)
(fonte: US Geological Survey / ScienceDaily)

Gli scienziati dell’ U.S. Geological Survey (USGS) hanno analizzato le variazioni nella percentuale di terremoti e le cause possibili e forniscono alcune risposte.

E’ stato rilevato che in alcune località la sismicità coincide con l’immissione in pozzi profondi di acque di scarico, frutto dello smaltimento. Gran parte di queste acque di scarico sono un sottoprodotto della produzione di petrolio e di gas ed è ormai diventata abituale “routine” farle confluire in pozzi appositamente progettati e approvati per questo scopo.

Il geofisico William Ellsworth, dell’USGS, ha riesaminato il problema dei terremoti indotti, in un recente studio pubblicato sulla rivista Science.

L’articolo descrive l’immissione di liquidi in pozzi profondi, divenuta, come già detto, pratica comune di  smaltimento delle acque reflue, discutendo i recenti eventi e le sfide scientifiche fondamentali per la valutazione di questo pericolo e poter procedere quindi verso una riduzione dei rischi associati.

Anche se sembra fantascienza, i terremoti indotti dall’uomo sono invece, da decenni, una realtà.

Da tempo si è compreso che alcuni movimenti sismici possono essere indotti dal contenimento delle acque in bacini, sia di superficie che sotterranei, o dal prelevamento di liquidi e gas dal sottosuolo, e/o dall’immissione di liquidi in formazioni rocciose sotterranee.

L’acqua, talvolta salata o contaminata da sostanze chimiche, deve essere smaltita in modo da  impedirle di contaminare anche le sorgenti d’acqua dolce. Spesso, è più economico sequestrare geologicamente tali acque reflue, immettendole in profondità nel sottosuolo, al di sotto delle falde acquifere che forniscono acqua potabile.

Le acque di scarico possono provenire da una serie di processi legati alla produzione di energia. Ad esempio, l’acqua è di solito presente in formazioni rocciose contenenti petrolio e gas e quindi diverranno un co-prodotto, durante la produzione di petrolio e gas. Acque reflue possono aversi anche come riflusso da operazioni di fratturazione idraulica, che comportano iniezioni di acqua ad alta pressione in una formazione rocciosa al fine di stimolare il movimento di petrolio e di gas verso un pozzo per l’estrazione.

La ricerca di Ellsworth ha mostrato che quando lo smaltimento avviene nei pressi di faglie e le condizioni del sottosuolo sono idonee, è probabile che si verifichi un terremoto. In particolare, un sisma può essere attivato dal meccanismo ben conosciuto di innalzamento della pressione dell’acqua all’interno di una faglia. Se la pressione aumenta oltre un certo valore, la faglia può rompersi, rilasciando lo stress tettonico immagazzinato sotto forma di un terremoto. E questo può riguardare anche faglie che non si sono mosse per milioni di anni, qualora le condizioni sotterranee siano favorevoli a questa dinamica.

Tuttavia, mentre il processo di smaltimento in sé ha il potenziale per liberare energia sotto forma di eventi sismici, non è detto che tutto lo smaltimento di acque di scarico sfoci di continuo in tali eventi.

Molti dubbi sono stati sollevati sulla possibilità che la fratturazione idraulica – comunemente nota come ‘fracking’ – possa essere ritenuta responsabile del recente aumento dei terremoti. Gli studi dell’USGS  suggeriscono che il fenomeno in questione è molto raramente la causa diretta di eventi sismici. La fratturazione idraulica produce dei ‘microsismi’ che sono raramente avvertiti e sono troppo piccoli per causare danni strutturali

Come detto in precedenza, acque di scarico associate a fratturazione idraulica sono state con certezza collegate ad alcuni, ma non a tutti i terremoti indotti.

Gli scienziati dell’USGS sono dediti ad una miglior comprensione delle condizioni geologiche e delle pratiche industriali associate a terremoti indotti, nonchè a stabilire in che modo il rischio sismico possa essere gestito.

Secondo lo studio di Ellsworth, un approccio di gestione del rischio sismico indotto comporta la fissazione di soglie di attività sismica affinchè determinati processi produttivi si svolgano attraverso accertati criteri di sicurezza. Con questa sorta di “sistema semaforo”, se l’attività sismica supera una soglia preimpostata, si dovrebbe ricorrere – ad esempio – a riduzioni di immissioni. Se la sismicità poi continua o si ha addirittura una “escalation”, le operazioni andranno sospese.

L’attuale quadro normativo per i pozzi di smaltimento delle acque reflue è stato progettato per proteggere le fonti di acqua potabile dalla contaminazione, ma non affronta la sicurezza sismica.

Ellsworth ha osservato che una delle conseguenze è quella che dati (quali la quantità e la tempestività delle informazioni sui volumi e le pressioni delle immissioni) dichiarati alle agenzie di controllo, sono ben lontani dall’essere quelli ottimali per la gestione del rischio sismico conseguente le attività di immissione.

Pertanto, il miglioramento della raccolta e della comunicazione dei dati per le agenzie di regolazione dovrebbe fornire informazioni più che necessarie in condizioni potenzialmente associate a sismicità indotta. In particolare, ha affermato Ellsworth, il report giornaliero dei volumi di immissione e le pressioni medie e “di picco”, sarebbe un passo nella giusta direzione, come lo sarebbe la misurazione della pressione prima dell’immissione d’acqua e le misure di stress tettonico.

C’è un crescente interesse per la comprensione dei rischi connessi con i terremoti indotti dalle immissioni, soprattutto nelle aree degli USA dove gli eventi sismici dannosi sono rari. Ad esempio, lo smaltimento delle acque reflue sembra aver indotto il terremoto di magnitudo 5.6  che colpì un centro rurale dell’Oklahoma nel 2011, arrecando lesioni e danni ad una dozzina di edifici. I danni di un terremoto di questa portata sarebbero stati ancora peggiori se il sisma avesse colpito una zona più densamente popolata.

Aumentando l’uso delle immissioni nel sottosuolo per smaltire le acque reflue, cresce anche l’importanza di conoscere i rischi associati. Per rispondere a queste sfide l’USGS spera di poter aumentare gli sforzi di ricerca al fine di comprendere meglio le cause e gli effetti dei terremoti indotti da queste operazioni.

Leonardo Debbia
22 luglio 2013