Il risveglio di un vulcano. Da quiescente, improvvisamente attivo
- Leonardo Debbia
- 20 Febbraio 2014
- Ambiente & Natura, Geologia
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Un nuovo studio effettuato sul Mount Hood dell’Oregon, negli Stati Uniti, suggerisce che il magma presente a 4-5 chilometri sotto la superficie del vulcano sia rimasto allo stato solido o, in pratica, in condizioni simili al magma allo stato solido, per migliaia di anni, ma che il tempo necessario per passare allo stato liquido e generare un’esplosione possa essere sorprendentemente breve, addirittura anche soltanto un paio di mesi.
La molla che potrebbe dare il via ad un’eruzione – dicono gli scienziati – è l’innalzamento della temperatura della roccia oltre i 750 gradi, cosa che può accadere allorché il magma caldo salga verso la superficie dalle profondità della crosta terrestre.
Il mescolamento dei due tipi di magma avrebbe attivato le ultime due eruzioni del Mount Hood, circa 220 e 1500 anni fa, ha ipotizzato Adam Kent, geologo dell’Oregon State University (OSU) e co-autore dello studio.
La ricerca in proposito è stata finanziata dalla National Science Foundation e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature.
“Se la temperatura della roccia è troppo bassa, il magma si comporta come burro di arachidi in un frigorifero”, afferma Kent. “Semplicemente, non è molto mobile. Per il Mount Hood la soglia della liquefazione sembra si aggiri intorno ad una temperatura di 750°C. Si ritiene che sarebbe sufficiente che questa crescesse di 50-70 gradi per aumentare notevolmente la viscosità del magma e facilitarne la mobilità”.
Gli scienziati sono interessati alla temperatura alla quale il magma ristagna nella crosta, sotto la superficie terrestre, poiché ritengono che la temperatura abbia un’influenza essenziale sui tempi e sui tipi di eruzione che possono verificarsi.
E questo sarebbe il meccanismo più verosimile.
Il magma più caldo sale dalle profondità a riscaldare il magma più freddo, fermo a 4-5 chilometri dalla superficie, rendendo possibile il mescolamento dei due magmi e il movimento ascensionale verso la superficie per dar luogo ad un’eruzione.
Una constatazione positiva, secondo Kent, è che le eruzioni del Monte Hood non sono particolarmente violente, perché invece di esplodere, il magma tende a fuoriuscire dal cratere in vetta alla montagna.
In un precedente studio, Kent e Alison Koleszar, un docente del College of Earth, Ocean and Atmosferic Sciences dell’OSU, avevano scoperto che il mescolamento dei due tipi di magma, che hanno diversa composizione chimico-mineralogica, costituisce un ‘innesco’ per un’eruzione, ma può anche essere un fattore limitante, per quanto violenta questa possa essere.
Lo studio, frutto della collaborazione tra l’Oregon State University e laUniversity of California di Davis, è molto interessante, dato che finora non si conosceva molto sulle condizioni fisiche di accumulo del magma e sui meccanismi che sono alla base della sua ascensione.
Quando il magma del Mount Hood risalì attraverso la crosta terrestre fino alla camera magmatica attuale, ad un certo punto si raffreddò, dando origine alla formazione di cristalli all’interno della massa.
I ricercatori ora sono stati in grado di datare questi cristalli per mezzo del decadimento degli elementi radioattivi presenti.
Tuttavia, l’accrescimento dei cristalli è anche determinato dalla temperatura che, qualora si abbassi, provoca un rallentamento della crescita.
Così, la combinazione tra l’età dei cristalli e il tasso di accrescimento apparente fornisce un’impronta geologica utile per determinare la soglia approssimativa in cui la roccia solida può essere abbastanza viscosa per tradursi in un’eruzione.
La velocità di diffusione dell’elemento stronzio, che è sensibile alla temperatura, è di fondamentale aiuto nella convalida delle datazioni.
“Abbiamo scoperto che il magma ha stazionato sotto il cratere del Monte Hood per almeno 20mila anni; o forse anche più vicino ai 100mila anni”, dice Kent. “Durante tutto questo tempo è rimasto come si mantenesse in ‘frigo’, come il burro di arachidi; da un minimo dell’88% ad un massimo del 99% del tempo”.
In altre parole, anche se il magma caldo può salire dal basso abbastanza rapidamente fino alla camera magmatica, a 4-5 Km dalla superficie terrestre, tuttavia per la maggior parte del tempo viene trattenuto in condizioni che rendono difficile un’eruzione.
“Con la moderna tecnologia dovremmo essere in grado di rilevare quando il magma comincia a liquefarsi e si prepara un’eruzione”, dice Kent. “Il monitoraggio dei gas, l’esame delle onde sismiche e le deformazioni del suolo rilevate mediante GPS sono soltanto alcune delle tecniche disponibili per poter ‘sentire’ che qualcosa sta cambiando nel sottosuolo e poter così dar corso ad un avvertimento di una imminente eruzione”.
I ricercatori sperano di poter applicare queste tecniche a vulcani più grandi, migliorando così la prevenzione dell’attività vulcanica di una determinata area o regione a rischio.
Leonardo Debbia
20 febbraio 2014