Energia elettrica: arriverà …dal fondo del mare

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto

Alcuni ricercatori norvegesi si apprestano alla realizzazione di impianti per l’immagazzinamento di energia elettrica costruiti sul fondo del mare. Il progetto prevede di produrre e immagazzinare l’energia sfruttando la pressione prodotta dalla colonna d’acqua sovrastante l’impianto.

Una centrale elettrica sottomarina di questo tipo potrebbe apparire come un parto della fantasia di Jules Verne. Invece, l’idea è di un ingegnere tedesco, che ha trascorso gran parte della sua vita professionale lavorando nel campo della tecnologia aerospaziale.

Utilizzando la pressione dell’acqua sul fondo del mare l’energia meccanica viene convertita da una turbina in energia elettrica, come in una tradizionale centrale idroelettrica (fonte: Knut Gangassaeter, Doghouse, a mezzo Sciencedaily)

“Immaginate di aprire una botola in un sottomarino mentre questo è in immersione. L’acqua rifluirà all’interno del sottomarino con un’enorme forza, spinta dalla pressione. Ed è proprio questa energia potenziale che noi vogliamo utilizzare”, spiega Rainer Schramm, l’inventore del processo, che è anche fondatore della Società Subhydro AS, la Società che si occupa dello studio per l’applicazione della nuova tecnologia. “L’idea di immagazzinare energia sfruttando la pressione dell’acqua sul fondo del mare è venuta a molti, ma noi siamo i primi al mondo a cercare di realizzare l’applicazione di una tecnologia specifica, attualmente in attesa di brevetto, che renda finalmente possibile questo progetto”, aggiunge.

Per raggiungere questo ambizioso traguardo, lo studioso tedesco ha chiesto e ottenuto la collaborazione della Società norvegese SINTEF, la più grande del settore nei Paesi scandinavi.

La SINTEF è un’organizzazione di ricerca scientifica multidisciplinare sulla tecnologia per le applicazioni industriali che coopera con altri enti di ricerca e istituzioni accademiche norvegesi.

“La SINTEF dispone di esperti nel campo della produzione energetica, della tecnologia dei materiali, nonché della tecnologia meglio appropriata per l’uso in mare aperto e acque profonde. E questo significa avere il processo produttivo tutto concentrato in un unico soggetto, con tutti i vantaggi che ne possono derivare”, afferma l’inventore tedesco.

Ma vediamo meglio di cosa tratta l’operazione prevista a tavolino.

In sintesi, sfruttando la pressione dell’acqua sul fondo marino, l’energia meccanica viene convertita in energia elettrica da una turbina, come in una tradizionale centrale idroelettrica che, in questo caso, acquista anche la funzione di centrale di pompaggio.

“Una centrale di pompaggio consiste in un impianto elettrico che, una volta che l’acqua è passata forzatamente attraverso una turbina per produrre elettricità, possa essere “ricaricato” di nuovo pompando l’acqua verso un bacino collocato in una idonea posizione da cui l’acqua possa “ricadere”, generando nuova energia meccanica e completando così il ciclo. Questo tipo di impianto viene utilizzato proprio come “una batteria che viene collegata alla rete elettrica”, spiega l’inventore.

L’impianto, descritto più in dettaglio, comprende due fasi. Nella prima di queste, si avvia la turbina che è dotata di una valvola; quando questa viene aperta, l’acqua entra ed inizia a far girare la turbina, azionando un generatore: l’energia meccanica genera così elettricità.

E questa è la prima fase del ciclo.

Il progetto prevede che la turbina sia collegata a serbatoi di grandi dimensioni posti a profondità variabili fra i 400 e gli 800 metri. Il numero di serbatoi decide per quanto tempo la centrale può generare elettricità prima che la capacità di accumulo sia esaurita.

Alto stato di efficienza dello stoccaggio
“Quando i serbatoi sono pieni, l’acqua deve essere rimossa dai serbatoi”, dice Schramm. “Questo si ottiene facendo funzionare la turbina in senso inverso, in modo che la turbina funzioni da pompa, spinga l’acqua verso l’alto fino al livello da cui è pervenuta. Questa è la fase di pompaggio, la seconda fase.

Il processo, ovviamente, consuma energia dalla rete elettrica, proprio come quando si applica una batteria ordinaria.

Secondo Schramme, però, questo metodo, pur consumando energia dalla rete, ha lo stesso grado di efficienza delle centrali elettriche convenzionali; secondo i suoi calcoli, il rendimento elettrico dello stoccaggio è di circa l’80 per cento dell’energia prodotta in un ciclo completo

Un altro vantaggio di questo sistema è che l’attrezzatura può essere adeguata alle esigenze degli utenti, sia per le dimensioni della turbina che per il numero dei serbatoi dell’acqua. Un impianto considerato di dimensioni “normali” può produrre 300 megawatt per un periodo di 7-8 ore, ritenuto corrispondente al fabbisogno energetico di circa 200mila famiglie britanniche per un identico periodo di tempo.

“Prevediamo che questo tipo di impianto possa funzionare bene anche in combinazione con le centrali eoliche. In condizioni di forte vento l’elettricità in eccesso può venir utilizzata per pompare l’acqua fuori dai serbatoi di stoccaggio, mentre in condizioni di vento debole l’elettricità può essere prodotta dall’impianto stesso. Analoga considerazione vale per l’energia solare: la centrale di pompaggio può contribuire alla produzione costante di elettricità anche di notte, in assenza di alimentazione da energia solare”, afferma Schramm.

Oltre il numero di serbatoi a disposizione, è anche la profondità del mare che determina l’efficacia dell’impianto. Maggiore è la profondità, maggiore è la differenza di pressione della massa d’acqua e più energia viene quindi stoccata nei serbatoi.

“Questa è una delle ragioni per cui vogliamo provare questa tecnologia in Norvegia”, dice Schramm. Nel suo paese natale, in Germania, il mare è troppo poco profondo perché il sistema sia redditizio, ma ci sono molti Paesi nel mondo con profondità marine notevoli in vicinanza delle coste: è il caso di Spagna, Portogallo e Italia, oltre che Nord e Sud America.

Tecnologia avanzata del calcestruzzo
Una delle sfide che la SINTEF si trova ad affrontare è sviluppare un tipo particolare di calcestruzzo che possa essere utilizzato per la costruzione dei serbatoi sui fondali marini.

“La sfida è quella di trovare l’equilibrio ottimale tra la resistenza e i costi. Se potremo raggiungere l’obbiettivo di produrre un calcestruzzo che possa resistere ai carichi almeno 5 volte più di quello ordinario, saremo in grado di ridurre lo spessore delle pareti del 75 per cento.

Questo è un fattore critico. Dobbiamo raggiungere costi di produzione e di installazione che rendano economico lo stoccaggio di energia in rapporto al prezzo dell’energia elettrica”, spiega Tor Arne Marzio-Hammer, esperto della SINTEF, Sezione Costruzioni e Infrastrutture.

Una delle varie soluzione prospettate prevede il rinforzo del calcestruzzo con sottili fibre di acciaio al posto dei normali tondini.

“Il nostro lavoro prevede comunque di sviluppare anche nuove metodiche alternative a prezzi contenuti”, conclude Marzio-Hammer.

Leonardo Debbia
22 maggio 2013