L’Amazzonia assorbe più carbonio di quanto ne emetta

Scritto da:
Leonardo Debbia
Durata:
1 minuto

Un nuovo studio della NASA, condotto per sette anni, ha confermato che le foreste naturali dell’Amazzonia assorbono più anidride carbonica dall’atmosfera di quanta ne emettano, contribuendo, in tal modo, ad una riduzione del riscaldamento globale.

Questa scoperta mette forse la parola fine ad un dibattito di lunga data sul bilancio globale del carbonio nel bacino amazzonico.

amazzonia

Il bilancio del carbonio dell’Amazzonia non è una questione da poco. Anzi! Diciamo che è letteralmente una questione di vita o di morte, dal momento che coinvolge gli alberi e la loro esistenza.

Gli alberi – è risaputo – vivono e prosperano grazie all’assorbimento di anidride carbonica durante la loro crescita. Più alberi ci sono, più anidride carbonica viene sottratta dall’atmosfera.

E questo è un vantaggio per noi, ora come ora.

Quando gli alberi muoiono, però, con la decomposizione del legno tornano a liberare anidride atmosferica nell’aria.

E questo è un apporto che, attualmente, preferiremmo diminuisse.

Il nuovo studio, pubblicato su Nature Communications, è il primo a quantificare il numero degli alberi morti per processi naturali in tutta la foresta amazzonica, anche in aree remote dove non erano mai stati raccolti dati sul terreno.

Fernando Espirito-Santo, ricercatore del Jet Propulsion Laboratory della NASA di Pasadena, in California, autore principale dello studio, ha ideato nuove tecniche mediante analisi satellitari, scoprendo che ogni anno gli alberi amazzonici morti emettono da 1,7 a 1,9 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera.

Per confrontare questa massiccia immissione con l’assorbimento di carbonio atmosferico e sottraendo la CO2 emessa da quella ‘consumata’ dalle piante per vivere e stimare quindi il bilancio generale della regione amazzonica, i ricercatori hanno utilizzato i censimenti della crescita delle foreste e i diversi scenari frutto delle modellazioni al computer per rappresentare le eventuali incertezze di calcolo.

In ogni scenario, l’assorbimento del carbonio da parte degli alberi viventi compensava le emissioni degli alberi morti, indicando che l’effetto prevalente nelle foreste dell’Amazzonia è l’assorbimento.

Il bacino del Rio delle Amazzoni, quindi, è realmente un ‘polmone verde’, che toglie carbonio dall’atmosfera e assume quindi una funzione di ‘mitigatore’ nell’attuale processo di riscaldamento globale.

L’idea della ricerca che ha prodotto questi risultati nacque nel 2006, anno in cui agli scienziati che studiavano generiche applicazioni per gli strumenti della NASA venne l’idea di studiare meglio il ciclo del carbonio nel bacino del Rio delle Amazzoni.

Da allora, il ricercatore Espirito-Santo, avvalendosi dell’ausilio di 21 co-autori sparsi in cinque Paesi diversi, studiò i dati che gli pervenivano dal LIDAR (la tecnica di telerilevamento a impulsi laser), dalle immagini satellitari e da un insieme di osservazioni eseguite dall’Università di Leeds, in Inghilterra, per un intero decennio.

Non fu un compito facile correlare le immagini satellitari con i dati delle osservazione da terra, dato che, ad esempio, gli alberi caduti creano un vuoto nella copertura forestale che può essere osservato solo dall’alto e il colore del legno morto interferisce con le osservazioni.

“Abbiamo scoperto che le grandi perturbazioni naturali, scaturite da incendi, uragani o altri fenomeni fisici, hanno solo un piccolo effetto sul ciclo del carbonio, praticamente non più del due per cento”, afferma Sassan Saatchi, coordinatore del progetto.

E’ corretto precisare però che in Amazzonia sono stati considerati solo i processi naturali, tralasciando il risultato di attività antropiche, come la deforestazione o gli apporti inquinanti, che variano in seguito a condizioni politiche e sociali particolari.

Concludendo, è da sottolineare il grande contributo che la NASA ha dato a questa ricerca, come del resto a tutte le osservazioni delle aree terrestri ‘sensibili’, che possono contribuire ad una maggior conoscenza e consentire un più attento controllo delle attività che si svolgono sul nostro pianeta.

Leonardo Debbia
30 marzo 2014