Uno studio svela effetti ecologici a seguito di terremoti e tsunami

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto
La foto del Marzo 2010 della spiaggia di Punta Lavapié (Cile) rivela l’estensione del sollevamento di questi antichi fondali rocciosi subcotidali, rimasti per lungo tempo completamente sommersi dall’acqua prima del terremoto e dello tsunami.

Questo articolo è stato redatto in data anteriore al 20 maggio, prima dei disastrosi eventi sismici – purtroppo ancora in atto – che hanno ferito drammaticamente l’Emilia e la Romagna, colpito edifici e persone, provocato crolli e lutti, incutendo la paura e procurando evacuazioni in massa dai centri abitati, danneggiando così profondamente l’economia dell’intera Regione e lasciando  un senso di sgomento ed ineluttabilità nella maggior parte della gente.

Dinanzi a questi tragici fatti, per rispetto delle popolazioni terremotate, era stato deciso di rimandare per qualche tempo la pubblicazione di questo articolo, in attesa che l’accaduto potesse essere, in qualche modo, metabolizzato. Ora, però, questo stesso pezzo ci pare quanto mai adatto ad essere diffuso quale segnale di speranza, per riaprire uno spiraglio sulla conoscenza del fenomeno, tornando quindi al mero aspetto scientifico, con l’illustrazione degli effetti “positivi” che possono, in determinate situazioni, accompagnare questi eventi naturali, utili agli studiosi per una comprensione sempre più completa dei fenomeni, positivi o negativi che siano.

Ovviamente, questo interesserà poco le vittime delle devastazioni, assillate come sono dai mille problemi legati alla sopravvivenza, al recupero, alla ricostruzione, alla quotidiana convivenza con gli aspetti distruttori della natura. Corre tuttavia l’obbligo di sottolineare che, in natura, anche la distruzione e la brutale esposizione delle sue manifestazioni coesistono necessariamente con l’evoluzione e il progredire dei cambiamenti, quali attributi intrinseci dei processi biologici, fisici, geologici, dei processi che sono, per l’appunto, “naturali”.

Stà agli esseri umani porsi nelle condizioni più idonee per far fronte agli eccessi distruttivi con opportuni mezzi atti a proteggere, prevenire e riparare, limitandone sostanzialmente gli effetti, nell’interesse della sopravvivenza della specie stessa. La ricomparsa di habitat dimenticati da lungo tempo e di specie non più viste da anni non sono di certo gli effetti che ci aspetteremmo prodotti da disastri ambientali come terremoti o tsunami. E invece è esattamente quello che nel 2010 i ricercatori hanno trovato sulle spiagge sabbiose del Cile centro-meridionale dopo un terremoto di magnitudo 8.8 e un devastante tsunami. I loro studi hanno rivelato un’anteprima dei problemi provocati dall’innalzamento del livello del mare come prova evidente di un cambiamento climatico.

Come primo risultato scientifico, i ricercatori della Universidad Austral de Chile e della UC Santa Barbara’s Marine Science Institute (MSI) della California hanno potuto documentare gli impatti ecologici verificatisi prima e dopo eventi catastrofici come terremoti su larga scala e tsunami. Un articolo enuncia i sorprendenti risultati dello studio, indicando i potenziali effetti dei disastri naturali che potrebbero interessare le spiagge sabbiose del mondo intero.
“Spesso si pensa ai terremoti come causa di devastazione totale e quando questi sono accompagnati anche da uno tsunami si può dire di aver raggiunto l’àpice della catastrofe per gli ecosistemi costieri. Come si può facilmente intuire, si ha un alto tasso di mortalità delle specie intercotidali su spiagge e su coste rocciose, mentre per quanto riguarda le spiagge sabbiose si assiste invece ad un notevole “recupero ecologico”, dice Jenifer Dugan, biologa ricercatrice, associata dell’MSI.
“Specie vegetali stanno tornando in luoghi dove prima – per quanto ne sappiamo – non ne esisteva alcuna da parecchio tempo. Il terremoto aveva ricreato habitat di spiaggia sabbiosa là dove questa era andata perduta. Questo non è certamente l’effetto ecologico che ci saremmo aspettati da un forte terremoto e da uno tsunami”.

Con le forze congiunte del Fondo Nacional de Desarrollo Cientifico y  Tecnològico del Cile e  l’US National Science Foundation’s Long Term Ecological Research program, gli scienziati hanno potuto osservare la risposta ecologica delle spiagge sabbiose di Santa Barbara e del Cile centro-meridionale alla costruzione di opere di rinforzo artificiali, quali dighe e rivestimenti rocciosi costruiti a protezione delle coste. Nell’ambito del progetto, alla fine di gennaio 2010 il team cileno aveva individuato nove spiagge sabbiose lungo le coste delle regioni Maule e Biobìo, in Cile. Il terremoto colpì nel successivo mese di febbraio.

Rendendosi conto che per loro l’occasione era unica, in pochi giorni gli scienziati sono tornati sulle spiagge per rivedere l’aspetto dei luoghi dopo l’evento catastrofico. Le ricognizioni sono state ripetute varie volte, per documentare con la massima diligenza la risposta ecologica e gli effetti a lungo termine del terremoto e dello tsunami su queste coste, sia per quanto riguarda gli ambienti naturali sia per gli ambienti modificati da artefatti umani.

E’ stato così notato che l’altezza e il cambiamento di direzione dei terreni durante il sisma ha prodotto il maggiore impatto ambientale, inabissando le spiagge su cui lo tsunami aveva aggravato la subsidenza seguita al terremoto e ampliando e appiattendo le spiagge che invece erano state sollevate dal sisma. Nelle aree di spiaggia sommerse non esisteva più vita intercotidale, mentre le spiagge ampliate tanto velocemente avevano visto il ritorno di piante e animali, da tempo scomparsi a causa della presenza di opere costiere artificiali.

“Con lo studio in California e il nostro studio in Cile, sapevamo che la costruzione di strutture di difesa costiera, come ad esempio le dighe, riduce la zona di spiaggia e ha come risultato una diminuzione della diversità intercotidale”, ha detto l’autore Eduardo Jaramillo della Universidad Austral de Chile. “Ma dopo il terremoto, laddove il sollevamento continentale  è stato significativo, la zona di spiaggia persa a causa delle difese costiere artificiali è stata ora ripristinata. E la ricolonizzazione della spiaggia da parte della fauna è avvenuta nel giro di poche settimane”.

Con risposte molto diverse in funzione dei cambiamenti di livello del terreno, della mobilità della flora e della fauna e della tipologia del terreno stesso, le scoperte fatte mostrano non solo che le interazioni di eventi estremi con spiagge dove sorgono artefatti umani sono in grado di produrre risultati ecologici sorprendenti, ma suggeriscono anche che l’alterazione dell’ambiente con opere in armatura può portare a modifiche sostanziali negli ecosistemi costieri.

“Quando qualcuno costruisce una diga, non si perde solo l’habitat della parte di spiaggia coperta dalle opere in muratura, ma col tempo si perde anche la spiaggia che si estende fino alla linea di costa, fino al mare.” ha detto Dugan “Le zone di sabbia semi-aride e quelle umide soggette all’alta marea vengono perse per prime, mentre rimangono soltanto le zone di spiaggia più umide e più basse. Questo fa sì che la spiaggia perda la diversità della flora e della fauna, compresi anche gli uccelli, perdendo così la sua funzione ecologica. Si tratta di un impatto antropico sulle coste di tutto il mondo che viene sottovalutato. Con i cambiamenti climatici in atto, la perdita di spiagge si acuisce e questo è un problema da valutare molto seriamente”.

Jaramillo afferma che “Quello che abbiamo evidenziato è molto importante, perché le spiagge di sabbia rappresentano circa l’80% delle coste aperte su scala mondiale. Inoltre le spiagge sabbiose sono ottime barriere per arginare l’aumento del livello del mare, che stiamo vedendo avvenire in tutto il mondo. E’essenziale prendersi cura delle spiagge sabbiose: non sono importanti  solo per la ri-creazione, ma anche per la conservazione delle specie”.

Questo studio è la prima quantificazione degli effetti del terremoto e dello tsunami sugli ecosistemi delle spiagge di sabbia lungo le zone costiere tettonicamente attive.

    Leonardo Debbia