Ci liberermo dal lavoro grazie al costo marginale vicino allo zero

Scritto da:
Daniel Iversen
Durata:
1 minuto

Ci liberemo sia dal lavoro che dal bisogno, grazie ad Internet e a costi di produzione sempre più bassi. Questo è ciò che ci dice il teorico sociale Jeremy Rifkin.

Ma poi che cosa faremo?

Stephen Jay Gould di un dei suoi primi libri ha detto: “un tratto abilmente costruito di propaganda anti-intellettuale mascherato da borsa di studio”.

rifkin

Negli ultimi 30 anni Jeremy Rifkin si e’ impegnato a preparare governi, corporazioni e lettori di ogni singolo giornale globalmente significativo, ad un futuro distintamente post-capitalistico.

Rifkin non è né un calcolatore, né un utopico visionario, ma occupa un posto tutto suo nel panorama futuristico, e la sua visione, ora, è sorprendentemente chiara.

Il suo libro è intitolato “La società del Costo Marginale a zero” perché?

Il costo marginale è il costo per produrre un’unità aggiuntiva di un bene, dopo l’assorbimento delle spese di produzione. IDa sempre i venditori sono alla ricerca di tecnologie che incrementano la produttività e facciano presa sui consumatori offrendo prodotti più economici.

Nessuno prima d’ora aveva però mai immaginato che i costi marginali di produzione, di distribuzione e di servizio dei beni potessero avvicinarsi allo zero, rendendo i prodotti o i servizi potenzialmente gratis e quindi oltre il mercato.

E questo è la morte del capitalismo?

Eclisse” sarebbe una parola migliore. Il capitalismo ci sarà ancora nel futuro, in una parte da giocatore robusto e potente, solo che probabilmente non sarà più dominante.

Che cosa sta guidando questo cambiamento?

E’ iniziato negli ultimi 15 anni dal momento che milioni di consumatori sono diventati quello che io chiamo “Prosumatori”, producendo e consumando e condividendo i propri beni digitali: musica, film, video, intrattenimento, blogs, conoscenza.

Questo passaggio tra consumatore e prosumatore ha devastato le industrie della musica e dei media, che viste le loro alte spese hanno molta difficoltà a competere. Per un pò gli osservatori hanno assunto che più viene offerto, e più le persone saranno interessate ad iscriversi ai servizi premium a pagamento. Questo però non è accaduto su larga scala.

In che ambiti sta prendendo più piede l’idea di “free”?

Sta incidendo sulla provigione di energia e sui beni fisici e creerà una produttivtà estrema come mai era successo prima. Ci sono più di 3 milardi di sensori in tutto il mondo, incorporati dappertutto, dai magazzini alle linee di assemblaggio fino alle TV domestiche e lavatrici, sensori che continuano a nutrire l’”internet delle cose” con i dati.

La Fairchild Industries, grande società di produzione statunitense, stima che entro il 2030 ci saranno più di 100mila miliardi (100trilioni) di sensori a livello globale. Negli anni che ci separano, l’Internet delle cose avrà evoluto 3 diverse piattaforme: una per la comunicazione, l’altra per l’energia e infine per la logistica.

Prendete quella per l’energia. Quarant’anni fa produrre 1 watt di elettricità dal sole costava 66 dollari. Ora costa 66 centesimi e il prezzo è in continuo ribasso. Il pagamento avviene solo nella prima fase, quando c’è da installare il pannello solare, la turbina eolica o la pompa geotermica, una volta che il vostro investimento è stato ammortizzato però, inizierete a produrre la vostra energia a un costo marginale vicino allo zero.

In Germania, dove lavoro con il governo, stiamo vedendo che i costi marginali vicino allo zero stanno devastando le aziende energetiche e quelle di servizi.

Solo il 7 % della nuova energia in circolazione arriva dalle grandi società energetiche, la maggior parte viene da piccoli giocatori, cooperative di consumatori, cooperative di produttori, agricoltori e persone che vivono nelle città.

Il grande business sarà capace di difendersi oppure queste tecnologie sono in qualche modo irresistibili ?

Irresistibile è proprio la parola giusta. Abbiamo sempre detto che in un economia efficiente l’ideale è vendere a margini di costo bassi, ma nè Karl Marx , nè economisti pionieri come Adam Smith hanno anticipato che il margine di costo sarebbe sceso a zero o vicino ad esso.

Quindi le persone hanno ragione a preoccuparsi di poter perdere il lavoro?

Nei prossimi 30 anni dobbiamo stendere l’infrastruttura per questi 3 tipi di Internet. Dobbiamo spingere la tecnologia di stoccaggio energetico e convertire l’elettricità mondiale e le griglie di trasmissione in un “internet dell’energia”. Ci sarà molta opportunità di lavoro nello stendere i cavi e ammodernare gli edifici, generi di lavori che i robot non sono (ancora) in grado di fare. Le industrie della logistica e del trasporto dovranno convertirsi dai motori a combustione interna a celle a combustibili e guida autonoma. Per essere chiari però, questa sarà l’ultima grande ondata di lavoro di massa.

Cosa accadrà ai lavori professionali?

La trasformazione verso fabbriche senza operai iniziò nel 1960 ma ci sono voluti 40 anni per implementarsi pienamente.

Si pensava che i lavoratori concettuali e intellettuali ne fossero immuni, la cosa spaventosa però è che questo tipo di lavoratori sta svanendo a un ritmo ancora più veloce di quelli delle fabbriche. Algoritmi e analitica stanno lasciando a casa avvocati, radiologi e ragioneri in tutto il mondo.

Che cosa mangeremo quindi?

Dal momento che milioni di persone inizieranno a produrre da sè la propria energia e i propri ben fisici, avranno anche bisogno di meno reddito.

La vecchia distinzione che c’era tra venditore e acquirente, proprietario o lavoratore, si spezzerà. Ci saranno ancora molti beni e servizi non free, quindi ci sarà ancora bisogno di un lavoro.

Di che lavori si avrà ancora bisogno ?

Esiste un meccanismo istituzionale che noi tutti usiamo ogni giorno per ottenere una vasta gamma di beni e servizi che non ci vengono forniti nè dai governi nè da imprese private. Gli economisti, quelle rare volte che ne parlano, lo chiamano il settore “no profit”, che è però ancora molto più grande di questo. Copre di tutto, andando dalla produzione alla condivisione di cose, all’educazione, salute, asili nidi, assistenza per gli anziani, eventi culturali, sport, arte e attività ambientali.

Si tratta di un settore enorme, anche visto che tutte queste attività generano un capitale pari a un’entrata mondiale di 2.2 trilioni di dollari. E si parla solo della parte che conosciamo e sappiamo quantificare. Negli ultimi 20 anni il settore no-profit è cresciuto più velocemente del settore privato. Più del 10 per cento della forza lavoro in UK, US e Canada opera in questo settore.

Hai detto che questo focalizzarsi sul capitale sociale cambia il nostro modo di pensare. Come?

Stiamo assistendo a un emergere di un “collaborative commons” assieme a un “social commons”. Le generazioni più giovani studiano in classi globali, socializzando con i compagni, globalmente su Facebook o spettegolando su Twitter, condividendo cose, oggetti, vestiti e più o meno tutto, in rete. Stanno iniziando a generare e condividere elettricità verde sul “internet dell’energia”, e condividono macchine, bici e trasporto pubblico sulla piattaforma in evoluzione del “internet della logistica”. In questo processo si inizia a passare da una fedeltà incrollabile alla crescita materiale illimitata e senza freno a un impegno per uno sviluppo economico sostenibile.

Che cosa c’è in serbo per noi nel futuro come individui ?

La nuova economia emergente ci offre potenzialità più grandi per un un’auto-sviluppo e promette ricopense più intense dell’occupazione tradizionale. Dal momento che la tecnologia intelligente farà la maggior parte del duro lavoro e di sollevamento, in una economia centrata sull’abbondanza sostenibile piuttosto che sulla scarsità, da qui a mezzo secolo i nostri pro nipoti potranno guardarsi indietro e vedere l’occupazione del mercato di massa con la stessa miscredenza con cui noi guardiamo lo schiavismo o la servitù della gleba. L’idea che il valore di un essere umano fosse misurato in base alla sua produttività di beni, servizi o benessere materiale sembrerà primitiva o addirittura barbarica.

Che cosa potrebbe impedire questa utopia?Il cambiamento climantico, e quindi l’insicurezza alimentare, e il cyberterrorismo.

Ed è ottimista che potremmo superare questi rischi velocemente?

Sono cautamente fiducioso, ma non ingenuo. Il nostro mondo sta diventando disfunzionale, in termini dell’ambiente che abbiamo creato e delle disuguaglianze che abbiamo ideato. Se non intraprendiamo questo viaggio, quale sarebbe l’alternativa?

[1] http://www.newscientist.com/article/dn25584-lowcost-production-will-mean-the-end-of-jobs.html?full=true#.U3jHt1jJ4h1

Daniel Iversen
27 maggio 2014