Tumori: “bombe ad orologeria” per distruggerli
- Krizia Ribotta
- 7 Gennaio 2014
- Salute & Medicina
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Secondo uno studio condotto dall’ Irccs Ospedale San Raffaele, sotto la direzione di Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica, introducendo un gene terapeutico in alcune cellule del sangue, è possibile creare un ambiente ostile al tumore.
Si tratterebbe di vere e proprie bombe ad orologeria nascoste in un “vettore” virale che, dopo averle trasportate a destinazione, le farebbe esplodere nei macrofagi, le cellule richiamate dal cancro per alimentare la sua crescita.
Il metodo utilizzato sarebbe quello con cui Naldini ha già dimestichezza, in quanto utilizzato per altri due casi di terapia genica in bambini affetti da gravi malattie genetiche, la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich. Come spiegato da lui stesso: “In questo nuovo lavoro abbiamo adattato la tecnica di trasferimento genico e ingegnerizzazione delle cellule del sangue al trattamento dei tumori”.
In particolare, l’equipe ha inserito nelle cellule staminali un gene in grado di svolgere “attività anti-tumorale nella loro progenie”, come legge sulla rivisita scientifica Science Translational Medicine, su cui è stato pubblicato lo studio. L’arma anti-tumorale è stata individuata nell’interferone alpha, una molecola che viene prodotta dall’organismo in risposta alle infezioni. La somministrazione classica attraverso iniezioni, flebo o pastiglie, avrebbe potuto causare effetti collaterali legati a problemi di intolleranza, quindi è stato necessario sviluppare un’alternativa.
La risposta è appunto stata il vettore virale, già sperimentato e quindi sicuro, che è stato modificato in laboratorio e ha seguito un iter ben preciso. Dopo essere stato caricato con il gene, viene indirizzato verso i macrofagi, che sono presenti nel sangue in grandi quantità nel caso in cui l’individuo abbia un tumore. Il che significa che la bomba ad orologeria non va a creare nessun tipo di effetto tossico per l’organismo, andando ad accumularsi solo dove può esercitare la sua funzione anti-tumorale.
L’esperimento è stato condotto sui topi, ed è stato possibile grazie anche alla collaborazione di Roberta Mazzieri, ricercatrice del San Raffaele recentemente trasferitasi all’Università del Queensland in Australia, ed è stato realizzato grazie ai finanziamenti dell’European Research Council (ERC), dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.
Krizia Ribotta
7 gennaio 2014