Italia: un futuro da anziani e malati cronici

Scritto da:
Elisa Scaringi
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In Italia si mangia meglio che in qualunque altro paese del mondo. A dirlo è il Bloomberg Global Health Index, dopo aver passato in rassegna le abitudini alimentari di 163 paesi. Vegetali, frutta, carne e pesce, il tutto condito con olio d’oliva, rappresenterebbero la ricetta migliore per assicurare ai giovani una salute di ferro. Un primato questo, che ci consentirebbe di poter vivere ben 28 anni in più rispetto ai nostri coetanei della Sierra Leone. Ma le apparenze ingannano.

Se l’aspettativa di vita nel bel paese è di oltre 80 anni suonati, lo stato generale della nostra salute non è certamente dei migliori. Stando al rapporto Osservasalute, tra gli italiani sono in aumento i malati cronici, gli anziani e l’incidenza della sanità pubblica sul Prodotto Interno Lordo. Complice soprattutto l’invecchiamento della popolazione, nel 2060 il valore delle spese sanitarie rispetto al PIL sarà pari all’8,3%, con quote del 3,3% per l’assistenza di lungo periodo agli anziani non autosufficienti. Dati non proprio lusinghieri per il Servizio Sanitario Nazionale, che potrebbe vedere a rischio la propria sostenibilità. Se si pensa, ad esempio, all’aumento delle malattie croniche, che, nel 2015, si presentavano nel 39,4% della popolazione, con una quota considerevole (23,7%) di coloro che soffrivano contemporaneamente di due o più condizioni croniche (i cosiddetti multicronici), il cui peso sul SSN si attestava al 55%.

Sempre nel 2015, anno di riferimento del rapporto Osservasalute, sono aumentati anche i decessi (49.000 in più rispetto al 2014), con valori superiori alla media nei mesi di gennaio, febbraio, marzo e luglio, con un rallentamento nell’aspettativa di vita dello 0,2 per gli uomini e dello 0,4 per le donne. Il trend di crescita delle percentuali ha coinvolto anche i dati relativi al consumo di antidepressivi  (39,6 dosi giornaliere per mille abitanti rispetto alle 38,5 del biennio 2011-2012) e al tasso annuo di mortalità per suicidio (8.310 casi tra i residenti con età superiore ai 15 anni, di cui la stragrande maggioranza è rappresentata dal sesso maschile, che si attesta al 77,6%).

Se la dieta mediterranea, dunque, ci aiuta a essere più longevi e a combattere meglio patologie come la pressione alta o il colesterolo, l’invecchiamento massiccio della popolazione non potrà essere sostenibile per una società con un tasso di natalità (8 per mille) tra i più bassi d’Europa e un numero di decessi che supera di gran lunga quello delle nascite. Il futuro del Servizio Sanitario Nazionale si giocherà, allora, sulla capacità di attuare e sostenere efficaci interventi di prevenzione primaria e secondaria, per non dover soccombere all’invecchiamento progressivo di fette sempre maggiori di popolazione.

Elisa Scaringi