Cecità spaziale

Scritto da:
Marco Ferrari
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1 minuto

Successivamente al rientro da lunghe missioni spaziali, molti astronauti soffrono di problemi alla vista.

Una sindrome misteriosa sta compromettendo la vista agli astronauti a bordo della stazione spaziale internazionale causando una miopia che permane per mesi, anche dopo il rientro a terra.

Il problema è così grave che due terzi degli astronauti riferisce di aver avuto disturbi alla vista dopo lunghe permanenze in orbita. Qualche passo avanti nella comprensione del problema è stato fatto e non depone a favore delle lunghe missioni, come quella prevista per arrivare su Marte.

Dorit Donoviel del National Space Biomedical Research Institute non nasconde le preoccupazioni sulla salute degli astronauti impegnati in lunghe missioni. Un adattamento alla gravità zero comporta che il sangue non debba più vincere la gravità e la conseguente mancanza di resistenza al ritorno venoso comporta un accumulo sanguigno e linfatico nel corpo grosso (busto e testa). Di conseguenza gli astronauti appaiono come affetti da idropisia con viso gonfio e congestionato.

Ma torniamo agli occhi, organi che se danneggiati azzererebbero la funzionalità di un astronauta, e alla cosiddetta sindrome da deficit visivo da pressione intracranica. L’Università di Miami ha verificato che la microgravità causa una pressione elevata nel cranio a seguito di un anomalo accumulo di liquor cerebro-spinale, responsabile a sua volta del fenomeno di appiattimento dei bulbi oculari, con infiammazione conseguente, e come esito finale l’edema e lo stiramento del nervo ottico. L’aumento di pressione interessa anche il cervello con stordimenti e senso di nausea. Il liquor cerebro-spinale è utile per ammortizzare il cervello e il midollo spinale ma nello spazio le naturali variazioni di postura,  sdraiata, seduta ed eretta non vengono lette correttamente dal nostro organismo. In sostanza gli astronauti che hanno passato molti mesi in orbita hanno una quantità di liquor cerebro-spinale più alta, edema con ipertensione delle cavità orbitali, schiacciamento e protrusione del nervo ottico, situazione davvero angosciante. Ma come mai ce se ne accorge solo ora? La risposta è molto “umana”. Molti di coloro che volavano nello spazio non denunciavano i sintomi per non perdere l’idoneità al volo. D’altro canto chi sosteneva di vedere lampi o di avere la visone offuscata si vedeva la carriera troncata in un attimo.

La ricerca quindi, fornisce per la prima volta prove quantitative sulle modifiche di distribuzione dei liquidi corporali nelle permanenze di lunga durata nello spazio e degli effetti negativi sulla visione.

Occorre poi notare che mediamente le permanenze massime nello spazio degli astronauti, sui quali si sono verificate le sindromi ed i deficit visivi, sono di 10/12 mesi mentre non vi è alcuna conoscenza dei problemi che potrebbero verificarsi con periodi di 18 mesi, quanti ne sono richiesti per andare e tornare  su Marte (i tempi di andata e ritorno sono variabili a seconda dello scenario di volo da 180 a 400 giorni circa).

A complicar le cose ricordiamo inoltre, tra gli effetti spaziali anche la decalcificazione ossea, l’esposizione ai raggi cosmici e i livelli di stress della vita spaziale. E’ stato verificato che anche il cuore e altri organi subiscono modificazioni morfologiche a causa della mancanza di gravità, alcune non reversibili. I ricercatori della NASA comunque non disperano, sono infatti allo studio farmaci, che associati a diete specifiche e attività fisica adatta garantiranno un certo grado di incolumità ai coraggiosi astronauti che  colonizzeranno il pianeta rosso, mentre per i viaggi del futuro sono allo studio astronavi a gravità artificiale rotativa (studi di Oleg Orlov – Istituto russo studi biomedici spaziali) e scudi con intercapedini d’acqua per schermare le radiazioni (progetto Deep Space Habitat). I lettori di fantascienza vedranno forse realizzarsi molte delle visioni cosmiche a loro care.

Marco Ferrari