Una nuova tecnica per alterare il colore dei fiori

Dai tempi di Gregor Mendel, il padre della genetica, i botanici di tutto il mondo hanno avuto a disposizione un nuovo strumento per ottenere le caratteristiche da loro desiderate nelle piante. Le leggi di Mendel hanno permesso di comprendere i meccanismi alla base dell’ereditabilità dei caratteri, è stato così più semplice compiere incroci tra individui per generare una prole con caratteri più interessanti a livello commerciale, piante con semi più grandi, colori sgargianti e resistenti alla siccità.

Ora però un nuovo strumento di editing del genoma chiamato CRISPR/Cas9 è stato usato per la prima volta per cambiare il colore di una pianta ornamentale.

I ricercatori giapponesi della University of Tsukuba, del National Agriculture and Food Research Organization (NARO) e della Yokohama City University, hanno alterato i colori del fusto e delle foglie di Ipomoea nil una pianta tradizionale usata come decorazione in molti giardini del Giappone.

Ipomoea nil (© tamayura39 / Fotolia)

Questa pianta non è stata scelta a caso, su Ipomoea infatti sono stati condotti numerosi studi ed il suo genoma è stato sequenziato. L’interesse dei ricercatori si è concentrato su un singolo gene, dihydroflavonol-4-reductase-B (DFR-B), codificante per un enzima coinvolto nella produzione di un antocianina,  un pigmento presente in molti vegetali e responsabile della colorazione del fusto, delle foglie e dei fiori. Altri due geni, chiamati DFR-A e DRF-C, sono adiacenti a DRF-B, il gene target della manipolazione. La sfida degli scienziati è stata quella di modificare unicamente il bersaglio DRF-B senza alterare i geni vicini ed il metodo vincente si è rivelato essere l’utilizzo di CRISPR/Cas9.

CRISPR/Cas9 si basa sull’utilizzo di un meccanismo di difesa batterica e si suddivide in due componenti molecolari che alterano la sequenza di DNA. Cas9 è un enzima in grado ti tagliare il DNA in punti precisi. Cas9 viene guidato nei punti precisi del taglio dal gRNA, un piccolo frammento di RNA che viene ‘disegnato’ in modo tale da essere complementare alla sequenza di DNA che deve essere tagliata. Dopo essere stato così guidato, Cas9 taglia i due filamenti di DNA bersaglio, è così possibile aggiungere o rimuovere in questa zona altro DNA.

Gli scienziati giapponesi sono riusciti con questa tecnica ad alterare il gene DFR-B inattivando di conseguenza l’enzima da esso codificato. Come risultato le piante transgeniche presentano fusti verdi e fiori bianchi, contrariamente alle piante non modificate che hanno fusto e fiori viola.

Fusti viola (sinistra) e fusti verdi modificati con CRISPR (sinistra) (©Scientific Reports)

È interessante notare come queste piante OGM abbiano trasmesso la mutazione acquisita alla prole.

Attualmente la tecnologia CRISPR/Cas9 non ha un’efficienza pari al 100%, tuttavia la sua importanza nella manipolazione è notevole ed apre nuove prospettive alla biologia molecolare e a alla genetica.

Riccardo Trentin

Bibliografia:
Watanabe, K., Kobayashi, A., Endo, M., Sage-Ono, K., Toki, S., & Ono, M. (2017). CRISPR/Cas9-mediated mutagenesis of the dihydroflavonol-4-reductase-B (DFR-B) locus in the Japanese morning glory Ipomoea (Pharbitis) nil. Scientific reports, 7(1), 10028.

 

Le meduse dormono?

Le meduse dormono? È la domanda apparentemente infantile che si sono posti  i ricercatori di tre laboratori del California Institute of Technology.

Il sonno è stato osservato in molti vertebrati ed uno stato simile al sonno si riscontra anche tra gli Artropodi ed i Nematodi, ma è la prima volta che si hanno evidenze di un simile fatto anche negli Cnidari, phylum a cui appartengono meduse e coralli. I neuroni  di questi antichi invertebrati sono organizzati in un sistema nervoso non centralizzato a simmetria radiale, una struttura molto differente da quella di tutti gli altri animali.

Sono necessarie tre caratteristiche comportamentali per definire la presenza di uno stato di sonno in un organismo. Per prima cosa si deve individuare un periodo di ridotta attività, o quiescenza. In secondo luogo è necessario che l’organismo in questione esibisca, nel periodo di quiescenza, una ridotta risposta agli stimoli, in questo modo si distingue il periodo di sonno dalla veglia. Infine, deve essere presente una regolazione omeostatica dello stato quiescente. Sia la quiescenza che la ridotta capacità di rispondere agli stimoli devono essere rapidamente reversibili per differenziare lo stato di sonno da altri stati immobili, come la paralisi o il coma. La regolazione omeostatica, in questo caso, consiste in una risposta di compensazione, ad esempio un periodo di sonno più lungo in seguito ad una prolungata privazione del sonno.

Per capire quando una medusa è addormentata sono stati condotti alcuni esperimenti su Cassiopea, una medusa tropicale che trascorre la propria vita a ‘testa in giù’ con l’ombrella tondeggiante a contatto con il fondale sabbioso e in continua pulsazione per alimentarsi.

Grazie ad un efficiente sistema di monitoraggio i ricercatori del centro californiano hanno individuato un periodo di inattività notturna di Cassiopea, durante il quale le pulsazioni scendono a 39 al minuto contro le 58 per minuto registrate nel periodo di veglia.

Alcuni esemplari di Cassiopea adagiati al substrato (©Caltech)

Per testare se in questo periodo di quiescenza notturna la medusa mostrasse anche una ridotta risposta agli stimoli è stato messo a punto un semplice esperimento.: la medusa è stata fatta appoggiare ad un substrato fissato ad una precisa altezza. Questo substrato è stato rapidamente abbassato di qualche centimetro per osservare il tempo impiegato dalla medusa per raggiungere il fondo e riposizionarsi. Le osservazioni hanno evidenziato come il tempo di reattività di una medusa nello stato di veglia fosse di circa 5 secondi inferiore rispetto a quello di una medusa quiescente, la quale deve ‘svegliarsi’ e riorientarsi nello spazio prima di muoversi verso il fondo.

Schema dell’esperimento di risposta sensoriale (©Caltech)

Infine, per verificare se la quiescenza Cassiopea durante la notte fosse sottoposta ad un controllo omeostatico, gli scienziati hanno privato del sonno per 6 e 12 ore le meduse studiate attraverso degli stimoli meccanici (dei semplici spruzzi d’acqua). Il risultato è che le meduse private del sonno notturno presentano un’attività ridotta durante il giorno e che un disturbo di 12 ore causa una maggiore riduzione dell’attività giornaliera rispetto ad un disturbo di 6 ore.

Tempo impiegato per raggiungere il fondale da Cassiopea durante il giorno (giallo) e di notte (grigio) (©Caltech)

Queste ed altre osservazioni denotano la presenza di uno stato molto simile al nostro sonno anche in queste meduse apparentemente molto diverse da noi. Sembra quindi che il sonno si sia evoluto in tempi remoti in un antenato delle meduse e che abbia subito varie modifiche nel corso di milioni di anni di evoluzione.

Questa scoperta ci lascia molte questioni interessanti“, afferma  Ravi Nath, uno degli scienziati coinvolti in questo progetto. “Il sonno è una proprietà intrinseca dei neuroni?” e “anche le piante dormono?” sono solo alcune domande da lui citate.

Riccardo Trentin

Bibliografia:

California Institute of Technology (2017).Jellyfish, with no brains, still seem to sleep: Jellyfish and humans may seem wildly different, but both still need to sleepScienceDaily, 21 September 2017.

Nath, R. D., Bedbrook, C. N., Abrams, M. J., Basinger, T., Bois, J. S., Prober, D. A., … & Goentoro, L. (2017). The Jellyfish Cassiopea Exhibits a Sleep-like State. Current Biology.

Habitat del Panda sempre più fragile

Il  panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) è considerato da tempo uno dei mammiferi a più alto rischio di estinzione. È stato scelto come simbolo del WWF nel 1961 ed il suo stato di conservazione è un indice degli sforzi globali per la conservazione delle specie.

Esemplare di panda gigante (© Binbin Li)

L’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha recentemente cambiato lo status del panda gigante da ‘in pericolo’ a ‘vulnerabile’ per via di un incoraggiante aumento del numero di individui. Secondo l’ultimo censimento del WWF vi sono 1864 esemplari di panda rimasti. Un tempo il panda viveva in tutta la Cina orientale e meridionale, oltre che nel vicino Myanmar e in parte del Vietnam, ma l’espansione della popolazione umana lo ha confinato nelle foreste di bambù delle montagne cinesi delle province del Sichuan, Shaanxi e Gansu, dove restano popolazioni ridotte e sparpagliate, estremamente difficili da monitorare.

Il team di ricerca guidato da Zhuyan Ouyang e Weihua Xu del Research Center for Eco-Environmental Sciences presso la Chinese Academy of Sciences ha usato immagini satellitari per esaminare i cambiamenti nell’area geografica occupata dal panda dal 1976 al 2013.

Weihua Xu afferma: “Abbiamo riscontrato dei cambiamenti complessi; l’habitat si è ridotto del 4,9% tra il 1976 ed il 2001, da allora è aumentato dello 0,4%. Anche la dimensione media delle patches (porzioni di habitat con particolare composizione e struttura) si sono ridotte del 23% tra il 1976 ed il 2001 e da quell’anno è aumentata solo leggermente.” In generale si può affermare che il ripristino dell’habitat negli ultimi anni non ha compensato la perdita avvenuta nel periodo precedente.

Il grafico mostra come l’habitat del panda è mutato in dimensioni tra il 1976 ed il 2013. (© Nature Ecology & Evolution)

Jianguo Liu della Michigan State University, che ha iniziato nel 1996 lo studio delle dinamiche naturali ed antropiche che hanno portato alla riduzione dell’habitat del panda, sostiene che alcuni cambiamenti avvenuti nella regione popolata dal panda sono incoraggianti. Liu aggiunge: “Abolire alcune attività commerciali che prevedevano lo sfruttamento della foresta, istituire riserve naturali e aiutare i residenti nelle riserve, ha portato beneficio all’habitat. Ma la conservazione è un processo dinamico che vede Uomo e Natura in continua lotta per la sopravvivenza e richiede sforzi continui e nuove soluzioni.

Molti cambiamenti avvenuti in questa regione, anche se di elevata utilità economica, presentano una grande sfida per la conservazione della specie. L’enorme incremento di strade ed altre infrastrutture è il principale fattore di frammentazione dell’habitat del panda. I dati sono impressionanti, dal 1976 al 2013 la densità delle strade è quasi triplicata.

Cambiamenti nella rete stradale nell’areale occupato dal panda. (© Nature Ecology & Evolution)

Per ovviare a questa incessabile frammentazione, il professor Zhiyun Ouang propone l’istituzione di corridoi protetti attraverso i quali sia possibile la migrazione dei panda per evitare l’isolamento di individui e popolazioni.

Riccardo Trentin

Bibliografia:

– Duke University (2017) Panda habitat shrinking, becoming more fragmented: Modern GIS technologies could improve our assessment of the species’ extinction risks. ScienceDaily, 25 September 2017.
– Swaisgood, R., Wang, D. & Wei, F. (2016). Ailuropoda melanoleuca. (errata version published in 2016) The IUCN Red List of Threatened Species 2016: e.T712A102080907. http://dx.doi.org/10.2305/IUCN.UK.2016-2.RLTS.T712A45033386.en.
– Xu, W., Viña, A., Kong, L., Pimm, S. L., Zhang, J., Yang, W., … & Ouyang, Z. (2017). Reassessing the conservation status of the giant panda using remote sensing. Nature Ecology & Evolution, 1
– World Wildlife Fund – worldwildlife.org

Il virus Zika diventa un alleato contro il cancro

Il virus ad RNA Zika (ZIKV), la cui infezione nelle donne in gravidanza può determinare malformazione fetale e microcefalia del nascituro, è stato studiato con lo scopo di mettere a punto una viroterapia.

La viroterapia consiste nell’uso di un virus modificato geneticamente per infettare ed uccidere cellule tumorali. L’adenovirus e l’influenza sono solo alcuni dei numerosi virus che sono stati manipolati, resi inoffensivi per l’uomo ed utilizzati nelle varie terapie contro il cancro.

Glioblastoma multiforme (© PEIR Digital Library (Pathology image database)

Ora, anche il virus Zika sembra possa infettare ed uccidere le cellule staminali del glioblastoma, un tumore maligno del cervello.

Il professor Michael S. Diamond della Washington University School of Medicine, afferma: “Abbiamo messo in evidenza come il virus Zika sia in grado di uccidere le cellule del glioblastoma che tendono a resistere ai trattamenti convenzionali“.

Questo tumore è normalmente affrontato con un trattamento molto aggressivo che consiste in un approccio chirurgico seguito da radioterapia e chemioterapia, tuttavia nella maggior parte dei casi il tumore si ripresenta dopo circa 6 mesi. È molto difficile eliminare le cellule staminali del glioblastoma, che sopravvivono alle cure e continuano a dividersi producendo nuove cellule tumorali che vanno a sostituire quelle uccise dai farmaci.

Queste cellule tumorali ricordano molto, sia per la loro origini neurologiche che per la loro potenzialità pressoché illimitata di divisione, le cellule progenitrici neurali che sono fondamentali per la crescita e lo sviluppo del cervello e sono anche target specifici del virus Zika.

Le cellule staminali del cancro (sinistra) sono uccise dallo Zika virus (l’immagine a destra mostra cellule dopo il trattamento con ZIKV) (©Zhe Zhu – University of California, San Diego, School of Medicine)

Per verificare se il virus avesse un’azione letale anche sulle cellule staminali del glioblastoma, sono stati infettati in vitro dei tumori. L’infezione diffusa ha ucciso le cellule staminali del cancro mentre non ha eliminato le altre cellule tumorali. Questi risultati indicano che l’infezione da Zika e l’azione chemioterapica potrebbero essere due trattamenti di efficacia complementare nella lotta al glioblastoma.

I ricercatori della Washington University School of Medicine e della University of California San Diego School of Medicine hanno anche condotto esperimenti in vivo per un’ulteriore conferma dell’azione terapeutica del virus. È stato iniettato il virus Zika in 18 topi affetti da tumore al cervello, mentre a 15 topi malati è stato somministrato un placebo. Dopo due settimane il tumore nei topi sottoposti a viroterapia era di dimensioni significativamente inferiori rispetto a quello nei topi a cui era stato fornito il placebo.

In aggiunta, il codice genetico del virus è stato modificato per essere meno dannoso alla salute del paziente, mentre altre mutazioni sono in fase di sperimentazione con l’obiettivo di limitare la diffusione dell’infezione.

Forse, in un futuro non troppo lontano, anche il virus Zika potrà essere utilizzato senza pericolo per combattere il glioblastoma.

R. Trentin, A. Travisi, V. Righetti

Bibliografia

Washington University School of Medicine (2017). Zika virus kills brain cancer stem cells: Virus potentially could be used to treat deadly disease. ScienceDaily, 5 September 2017.

Zhu, Z., Gorman, M. J., McKenzie, L. D., Chai, J. N., Hubert, C. G., Prager, B. C., … & Tycksen, E. (2017). Zika virus has oncolytic activity against glioblastoma stem cells. Journal of Experimental Medicine, jem-20171093.