L’inganno

In amore e in guerra tutto è permesso.
Mentire, ingannare, dissimulare, tutto può essere considerato lecito. E lo è, se la guerra di cui parliamo è l’estenuante, interminabile lotta che ogni essere vivente quotidianamente ingaggia per sopravvivere. Deve essere proprio della stessa opinione la delicata Maculinea rebeli, piccola farfalla della famiglia dei Lycaenidae. Questi graziosi esemplari, che sfoggiano una meravigliosa e sgargiante colorazione blu, hanno messo in atto un sistema davvero ingegnoso per aumentare le loro possibilità di sopravvivenza in un momento estremamente delicato per loro, in cui assistono alla rarefazione del loro habitat, oggi circoscritto a pochi prati di zone montuose, in alcune regioni dell’Europa.

Peccato che, però, il tutto avvenga ai danni di un’ignara colonia di formiche della specie Myrmica shencki. I bruchi della specie Maculinea rebeli, all’inizio del loro ciclo vitale, si nutrono di foglie di timo, e fin qui nulla di strano. Ma passata la terza muta, si lasciano cadere al suolo. Immobili, cominciano a produrre sostanze chimiche, per mezzo delle quali vengono scambiate dalle M.shencki per una di loro e così introdotte all’interno del formicaio. Davvero abile questa piccola farfalla. Ma l’inganno non finisce, anzi, questo è solo l’inizio.

Infatti una volta dentro il nido, il bruco depone le armi chimiche, per impugnare quelle acustiche. Recentissimi studi dei ricercatori dell’Università di Torino in collaborazione con ricercatori britannici (dell’Università di Oxford e del Centre of Ecology & Hydrology) hanno appunto evidenziato che la larva di M. rebeli è capace di imitare i suoni emessi dalle formiche. Questi sono stati registrati mediante un particolare microfono e dal loro esame si è scoperto che le larve emettono l’identico suono prodotto dalla formica regina, per indurre le operaie della propria colonia a procurarle cibo e protezione. In un certo senso si può affermare che siamo di fronte ad un esempio di mimetismo, di tipo acustico. Grazie a questo inganno, i bruchi della M. rebeli vengono accuditi direttamente dalle operaie di Myrmica, le quali provvedono al loro nutrimento per trofallassi, cioè rigurgitando il nutrimento come farebbero per le larve della loro stessa specie, oppure offrendo loro le uova. Le condizioni che si vengono a creare per gli esemplari della Maculinea rebeli sono, a dir poco, ottimali, e in questo stato di cose trascorrono tra gli undici e i dodici mesi, durante i quali acquistano il 98% del loro peso. Una volta raggiunte le dimensioni necessarie, saranno sempre le operaie ad occuparsi del trasporto dei bruchi, giunti a maturazione, nella parte alta del formicaio. Da qui celermente si allontaneranno per impuparsi.

Questo tipo di artificio sonoro, fino ad ora fortemente sottovalutato, è invece, come evidenziato dai ricercatori, un infallibile sistema per introdursi in un colonia. A sostegno di tale teoria, gli stessi ricercatori hanno riscontrato che la simulazione acustica viene utilizzata da ben diecimila specie di mirmecofili. Con il termine “mirmecofilia” viene indicata la tendenza di animali, ma anche di alcune piante, di instaurare rapporti simbiotici con le formiche.

Nel caso della nostra piccola farfalla blu è più corretto parlare di parassitismo, che è pur sempre una forma di simbiosi, ma, in questo caso, a trarne vantaggio è solo il parassita, a svantaggio della specie ospite. Questo aspetto del parassitismo emerge prepotentemente nella relazione tra la farfalla M. rebeli e la formica M. shencki. Infatti, in caso di un disturbo dall’esterno o di mancanza di cibo, le formiche privilegiano i parassiti, arrivando a compiere l’estremo gesto di sacrificare la propria prole pur di nutrire i bruchi.

Povere formiche, mi vien da dire…ma dopotutto, in qualche modo, bisogna pur sopravvivere!

Paola Pinto

Pendolari

Gli uccelli rappresentano, se non l’unico, il più vistoso esempio di animali viaggiatori pendolari. Molte specie di questa classe di vertebrati, come a tutti sarà noto, compiono spostamenti periodici da un territorio ad un altro. Questi, prendono il nome di migrazioni. Nel caso degli uccelli, si contano due viaggi l’anno: una migrazione di andata compiuta nel periodo autunnale, anche conosciuta col nome di “passo”, e una migrazione di ritorno in primavera, anche detta “ripasso”. Alla maniera degli ornitologi, possiamo dire che la migrazione rappresenta il movimento regolare e pendolare tra le aree riproduttive ( o di nidificazione) e quelle non-riproduttive (o di svernamento). Durante questi viaggi, i nostri amici volatili coprono distanze considerevoli e questo già di per sé rappresenta un fenomeno affascinante. Ma, a mio parere, ancor più entusiasmante risulta essere la loro capacità di orientamento. Come è stato dimostrato da numerose osservazioni e dall’analisi dei dati ottenuti con l’inanellamento, gli uccelli migratori frequentano sempre le stesse zone e, cosa ancor più stupefacente, le raggiungono seguendo sempre l’identica rotta. Numerosi studi sono stati condotti per spiegare l’abilità nell’orientarsi delle varie specie e l’unico dato certo che è emerso è che gli uccelli sono capaci di percepire il magnetismo terrestre. Ma sul modo in cui lo “sentono” sono state elaborate varie teorie, fra tutte, però, le più accreditate sembravano essere due.
In base alla prima di queste ipotesi , l’informazione proveniente dal campo magnetico terrestre verrebbe catturata da un magnetorecettore a base di cristalli di magnetite, contenuti nel becco. Questi piccoli cristalli, orientandosi a seconda del campo magnetico terrestre, invierebbero impulsi elettrici ad una parte del nervo trigemino (5° paio di nervi cranici) e da questo al cervello, permettendo agli individui di conoscere la direzione da intraprendere.
La seconda teoria può essere definita “visiva”. Infatti, gli studi del team di biologi del dott. H. Mouritsen dell’università di Oldenburg, Germania, pubblicati nel 2009 sulla rivista Nature, sembravano confermare che il campo magnetico terrestre stimolasse alcuni pigmenti all’interno dell’occhio, i criptocromi. Essi sono dei fotorecettori che si attivano in presenza di luce blu, generando strutture elettroniche, le coppie radicaliche, sensibili al campo magnetico. Queste strutture permetterebbero agli uccelli di percepire il magnetismo terrestre come una vera e propria sensazione visiva, da trasmettere, attraverso il nervo ottico, ad un’area cerebrale deputata all’orientamento, il Cluster N.
Oggi, entrambe queste teorie sono state messe in discussione da un recentissimo studio del ricercatore Treiber dell’Istituto di Patologia Molecolare “Dr. Bohr-Grasse” di Vienna . Questi sostiene, col supporto di risultati immunoistochimici, che gli ammassi di cellule situati nella parte superiore del becco (ma non solo presenti in questa zona), non sono neuroni magnetosensibili, ma bensì macrofagi, cioè cellule ricche di ferro del sistema immunitario. Il loro ruolo sarebbe solo di difesa dell’organismo e di riciclo del ferro. Questa cellule non avrebbero alcuna capacità di trasmettere impulsi nervosi e quindi non potrebbero essere in alcun modo coinvolte nel sistema di orientamento. La questione è ancora aperta e come questi animali si orientino, è un mistero che si infittisce.
Insomma, questa nuova teoria rianima il dibattito scientifico e dimostra che è più facile per gli uccelli intraprendere viaggi sconfinati , che per noi orientarci nel loro mondo.

Paola Pinto

Una farfalla non è mai solo una farfalla

Emblema di mutamento, leggerezza, bellezza, le farfalle, termine comune per indicare i Lepidotteri, hanno, in ogni epoca e in ogni luogo, esercitato un grande fascino sulla fantasia degli uomini. Sarà forse per il loro sviluppo così diverso dal nostro, articolato in quattro fasi ben distinte, che appare straordinario a chiunque lo osservi. O forse, sarà per la meravigliosa architettura e colorazione delle loro livree. Sta di fatto che ancora oggi rappresentano uno degli spettacoli più entusiasmanti che la natura offra. Nonostante il nostro interesse, più o meno scientifico, nei loro riguardi, sono purtroppo in diminuzione! Negli ultimi decenni, infatti, non solo in Italia, ma anche in molte nazioni europee, si è assistito al loro lento declino, sia come numero di individui, che in termini di numero di specie. Il numero di specie di lepidotteri, oggi conosciuto nel mondo, ammonta a circa 165.000.

L’estinzione di alcune di loro è un fatto del tutto naturale, che rientra nelle complesse dinamiche dell’evoluzione, ma è la rapidità con cui questo fenomeno si realizza a destare preoccupazioni nel mondo scientifico. Alcuni entomologi stimano che, attualmente, un ropalocero (farfalla diurna) su quattro sia in via di estinzione, se non addirittura scomparsa. In questo momento, in Italia, sono presenti 276 specie,28 delle quali risulta essere a grave rischio di estinzione. La situazione non si presenta migliore, se si osserva il resto dell’Europa. In Spagna,16 specie sono a rischio. In Francia,8 sottospecie sono ormai considerate estinte; nei Paesi Bassi, già a partire dal 1946 si è registrata la scomparsa di 8 specie. In Svizzera delle 192 specie,2\3 sono inserite come specie minacciate nelle Liste Rosse. Altre 12 specie sono in pericolo d’estinzione, tra cui il Papilio machaon.

Sempre in base alle Liste Rosse, circa il 40-50% delle specie presenti in Austria e Germania è minacciato e il 2-5% si è già estinto. In Olanda la situazione si presenta anche più grave: il 24% delle specie si è estinto e il 43% è minacciato. I fattori di contenimento risultano principalmente di carattere antropico e sono: il massiccio impiego degli insetticidi; la frammentazione dell’habitat naturale causata principalmente dall’intensificazione dell’agricoltura e dall’urbanizzazione; la distruzione dei biotopi; la scomparsa di piante ospiti; la cattiva gestione dei boschi, che spesso porta a un loro infittimento, con conseguente scomparsa di importanti habitat per le farfalle diurne; l’introduzione di piante esotiche, che in alcuni casi possono divenire fortemente competitive nei confronti delle specie nutrici di larve e adulti; l’abbandono dei prati, specialmente in montagna; il sovra pascolo, con conseguente perdita dello strato superficiale di humus ed erosione del suolo; il turismo, con la realizzazione di strutture ad alto impatto ambientale ed in ultimo, ma non meno importante, il collezionismo sregolato e il commercio di tali Insetti. Per tutti questi motivi si rende quanto mai urgente lo sviluppo di una strategia di difesa di questi Insetti.

Bisognerebbe mettere in atto un programma che abbia come imprescindibile requisito la tut
ela degli habitat naturali. Le comunità di Lepidotteri sono, infatti, indissolubilmente legate, per la propria sopravvivenza, a particolari tipi di habitat. Per questo motivo, sono sensibili a qualsiasi alterazione che abbia delle ripercussioni sull’ambiente circostante. Il loro declino risulta essere il segno inequivocabile di un pessimo stato di salute dell’ambiente che le ospita. Proprio per tale, stretta dipendenza dalle caratteristiche climatiche, vegetazionali ed ecologiche dell’ambiente, le farfalle sono utilizzate da molti autori come “bioindicatori”, intendendo con questo termine organismi o sistemi biologici usati per valutare una modificazione della qualità dell’ambiente. Possiamo, in sintesi, attribuire loro il ruolo di “sentinelle” della salute degli ambienti naturali: la loro presenza è indice di un buono stato della Natura, viceversa, la loro scomparsa o diminuzione ne evidenzia una allarmante degenerazione. Difendere questi meravigliosi insetti rappresenta il primo passo per la salvaguardia dei nostri ecosistemi e per la conservazione della biodiversità, definita come “la maggiore risorsa che il genere umano ha avuto a disposizione dalla natura durante tutto il suo sviluppo culturale”. Conservarla a tutti i suoi livelli, cioè come patrimonio genetico, di specie ed ecosistemico, equivale a preservare noi stessi.

Paola Pinto