Si può vivere senza ossigeno?

phylum LoriciferaDopo circa 236 anni dalla scoperta dell’ossigeno e della sua importanza per la vita, gli scienziati hanno scoperto un essere vivente pluricellulare in grado di sopravvivere senza ossigeno in una fossa del Mediterraneo. Non si tratta di un caso unico: in realtà gli organismi in grado di sopravvivere senza ossigeno sono ben tre differenti specie. Fino ad ora si è sempre pensato che solo virus e batteri potessero sopravvivere in ambienti anossici, i cosidetti “estremofili”.

Ed era questa fondamentalmente l’obiezione che di frequente veniva avanzata alla domanda “possono esistere forme di vita complesse senza ossigeno?”. Si, possono esistere, ed ora abbiamo trovato le prove proprio qui, sul nostro pianeta, a due passi dall’ Italia per giunta. E, al contrario di altri organismi che possono sopravvivere (non vivere) senza ossigeno, queste nuove creature non hanno bisogno di tornare in superficie, ma rimangono in ambiente anossico per tutta la loro vita. Al contrario di ogni altra forma di vita, queste nuove specie animali non usano i mitocondri per alimentare le proprie cellule.

I mitocondri infatti convertono gli zuccheri e l’ossigeno in acqua ed energia, ma nella fossa marina in cui vivono questi organismi non ci sono zuccheri e nemmeno ossigeno. Al posto dei mitocondri, queste tre specie hanno un organo (idrogenosoma) che produce energia attraverso una reazione enzimatica, secondo un processo che somiglia a quello sfruttato da alcuni microbi per creare energia. Gli organismi in questione non hanno ancora un nome, ma appartengono al phylum Loricifera, phylum composto generalmente da organismi microscopici parassiti e predatori che si possono trovare spesso anche nei granelli di sabbia delle spiagge umide.

Ma per questi nuovi esseri viventi, lunghi circa 1 millimetro, l’ambiente è completamente diverso: vivono ad oltre 3000 metri di profondità, in strati di fondale che prima si riteneva fossero popolati solo da virus e batteri. La scoperta è stata realizzata da un gruppo di ricercatori italiani e danesi. E, come dice Lisa Levin, oceanografa dello Scripps Institution of Oceanography, “la scoperta apre un intero nuovo regno di metazoi che pensavamo essere off-limits”.

Gli organismi sono stati prelevati da Roberto Danovaro ed il suo team del Politecnico delle Marche di Ancona durante tre crociere di ricerca nella costa sud della Grecia, avvenute tra il 1998 ed il 2008 per la ricerca di organismi estremofili a profondità superiori ai 3000 metri. La ricerca si è concentrata su un bacino ipersalino ed anossico, creato da una frana sottomarina circa 5,5 milioni di anni fa, e che per gli ultimi 50.000 anni è stato ricoperto da uno strato ipersalino di acqua spesso 60 metri, che ha proibito all’ossigeno di raggiungere la zona compresa tra il fondale e questa barriera salata. In aggiunta, il bacino è ricco di metano e solfuro di idrogeno. “I risultati supportano l’ipotesi che questi organismi che abitano i fondali anossici abbiano sviluppato un metabolismo anaerobico ed adattamenti specifici per sopravvivere senza ossigeno. La scoperta apre nuove prospettive nello studio di metazoi in habitat privi di ossigeno molecolare”.

Giovanni Critti

Le Filippine patrimonio inesauribile di specie viventi

filippine-patrimonio-specie-viventiI documentari di Discovery Channel e del National Geographic ci hanno portato ad esplorare, comodamente seduti in poltrona, gli angoli più remoti del pianeta. Possiamo ammirare la fauna della foresta amazzonica direttamente dal televisore, o scoprire i dettagli sulla vita del nostro animale preferito semplicemente facendo una ricerca su Google.

Tutto questo ci fa pensare che la Terra sia un posto molto piccolo, un pianeta in cui tutto è stato esplorato e classificato e che per scoprire una nuova specie vivente, animale o vegetale poco importa, sia necessario spostarsi nei luoghi più irraggiungibili del globo. Niente di più sbagliato: i ricercatori della California Academy of Sciences hanno recentemente scoperto oltre 300 nuove specie di animali e piante durante una spedizione sui fondali delle Filippine della durata di 42 giorni. “Le Filippine sono uno dei punti più sensibili per la biodiversità e le specie minacciate della Terra” spiega Terrence Gosliner, leader della spedizione. “Nonostante la sua designazione, tuttavia, la biodiversità presente in questa regione è relativamente sconosciuta, e abbiamo scoperto nuove specie durante ogni giorno di immersioni ed esplorazioni man mano che procedevamo con l’analisi di scogliere, foreste pluviali e fondale marino”.

La maggior parte delle nuove specie è rimasta sconosciuta fino ad ora per motivi legati alle loro dimensioni: è il caso di ragni-goblin, alcune lumache di mare e cirripedi. A questo va aggiunto il fatto che molte delle regioni in cui sono state scoperte delle nuove specie vengono raramente esplorate dall’essere umano. Una nuova e primitiva specie di muschio è stata infatti scoperta sui pendii scoscesi del monte Isarog, a quasi 2000 metri di altezza. Tra le nuove specie è stato scoperto un tipo di squalo dotato di un particolare meccanismo difensivo: è in grado di gonfiare il suo stomaco ingerendo acqua ed aumentando le sue dimensioni per spaventare i predatori.

Una delle scoperte riguarda anche un parente dell’aragosta, un granchio dalle chele munite di piccoli speroni simili ad aghi. La lunga lista di nuove specie comprende anche coralli alti più di mezzo metro, una nuova specie di penna di mare (Virgularia) gialla e rossa che si nasconde sotto la sabbia durante il giorno, e un verme tubolare che vive sotto la sabbia capace di emettere bioluminescenza. I ricercatori, appena terminata la spedizione, avevano già annunciato lo scorso 8 giugno di aver scoperto 75 potenziali nuove specie, ma il confronto degli esemplari raccolti con la letteratura scientifica esistente ha mostrato un numero più elevato di nuovi animali e piante. Numero probabilmente destinato a salire nei prossimi mesi, quando verrà ultimata l’analisi del DNA.

Le Filippine si stanno dimostrando un patrimonio inesauribile di nuove specie viventi, e hanno il potenziale per essere uno dei Paesi con più biodiversità della Terra. Lo scorso 21 giugno, ad esempio, sono stati scoperti sette nuovi mammiferi mai osservati in precedenza, sette piccoli roditori della cui esistenza nessuno avrebbe mai sospettato. E’ per questo motivo che la 2011 Philippine Biodiversity Expedition della California Academy of Sciences ha visto la partecipazione di numerosi biologi, botanici, esperti di insetti, rettili, anfibi e vertebrati, provenienti da diverse parti del mondo e riuniti per una spedizione dall’estrema importanza scientifica.

Giovanni Critti

Teorie sull’evoluzione

teoria sull'evoluzione
Schema sull'evoluzione dell'uomo.

Haeckel è stato uno dei primi e dei principali esponenti del darwinismo in Germania, che egli interpretò, e in parte corresse, soprattutto sotto l’influenza della filosofia della natura di Goethe. Il darwinismo rappresentava per Haeckel non solo una teoria scientifica e filosofica, ma anche uno strumento di liberazione politica e religiosa.

Egli concepì una morfologia strettamente meccanicistica, come parte integrante, con la chimica e la fisica, della scienza della natura: forma, materia e forza. Haeckel pensava ad un unificazione della filosofia con la scienza in un’unica indagine.
La legge dell’evoluzione di Darwin fu integrata da Haeckel con la «legge biogenetica fondamentale», secondo la quale l’ontogenesi, cioè lo sviluppo individuale degli embrioni, è una ricapitolazione abbreviata e incompleta della filogenesi, cioè dello sviluppo evolutivo della specie.

Secondo Haeckel, le fasi cruciali nello sviluppo di un embrione, che portano alla formazione delle varie strutture anatomiche, avverrebbero secondo una sequenza analoga a quella con la quale le stesse strutture sarebbero comparse nei viventi nel corso dell’evoluzione. Ad esempio, nell’embrione di pollo vi è uno stadio in cui si forma una sorta di appendice caudale, che in seguito si riassorbe, mentre compaiono gli abbozzi degli arti; ciò sembra seguire la sequenza evolutiva dei vertebrati, in cui dapprima comparvero animali che si muovevano grazie a movimenti caudali (pesci) e poi comparvero i primi tetrapodi (gli anfibi), capaci di spostarsi con vere e proprie zampe.

La legge è oggi considerata ancora uno dei principi biologici fondamentali, anche se alcuni aspetti delle idee di Haeckel, considerati alla luce delle successive ricerche embriologiche, si sono rivelati non corretti, o quanto meno non generalizzabili.
Altri evoluzionisti moderni sono più categorici, demolendo questa che era considerata un tempo una prova dell’evoluzione e ritenendo impossibile adattarla alla conoscenza più attuale secondo cui le caratteristiche dell’adulto sono contenute nei geni della prima cellula dell’embrione.

L’embrione umano che ricapitola nel suo sviluppo la storia della sua evoluzione attraverso le varie tappe, protozoo, pesce, anfibio, mammifero? Ebbene, alla teoria della ontogenesi, che ricapitola la filogenesi, sono in pochi a crederci ormai. Recentemente essa è stata, anzi, apertamente sconfessata come «erronea» e «poco convincente» da importanti ricercatori fra cui Walter Bock, biologo della Columbia University e C. H. Woddington dell’università di Edimburgh nel suo Principles of Embryology.

Giovanni Critti

Il lungo viaggio del televisore inglese

E’ di questi giorni la notizia che tonnellate di rifiuti tossici, provenienti da discariche municipali della Gran Bretagna vengono regolarmente spedite in Africa, in flagrante violazione dell’obbligo che il paese s’è dato di smaltire in maniera sicura vecchi televisori, computer, congegni elettronici ed elettrodomestici dismessi.
È quanto risulta da un’indagine condotta dal quotidiano The Independent, Sky News e l’associazione ambientalista Greenpeace. Centinaia di migliaia di questi ormai ingombranti simboli di sviluppo e benessere (ogni anno, la Gran Bretagna ne scarta 940 mila tonnellate), che per legge dovrebbero essere smantellati e riciclati da ditte specializzate, vengono messi in container e spediti in nazioni africane, quali Nigeria e Ghana. Qui non sono consegnati a ditte specializzate nella gestione di rifiuti pericolosi, ma abbandonati in immense discariche. Discariche che sono il “posto di lavoro” di migliaia di ragazzi e bambini, che sbarcano il lunario nel recuperare da questi oggetti le parti metalliche, per rivenderle sul mercato locale.
Gli autori dell’inchiesta, dopo aver installato un dispositivo di navigazione satellitare (Gps) in un televisore rotto, hanno portato l’apparecchio presso il servizio di riciclo di Basingstoke, gestito dal consiglio di amministrazione della contea di Hampshire.
L’azienda di riciclo, la BJ Electronics, invece di smantellare la tv in Gran Bretagna (o almeno in Europa, come vorrebbe il regolamento europeo), l’ha esportata. Grazie al sistema Gps, hanno potuto seguire il lungo viaggio del televisore. Un viaggio che ha dell’inverosimile. Il televisore, acquistato da un rivenditore di elettrodomestici usati di Londra, è stato messo in un container, portato al porto di Tilbury (Essex), caricato su una nave diretta a Lagos (dove ogni giorno giungono circa 15 container pieni di apparecchiature elettroniche usate provenienti dall’Europa e dall’Asia) e rimesso in vendita nel mercato di elettronici di Alaba, un quartiere della città nigeriana.
Ovviamente, non tutte le apparecchiature spedite via container in Nigeria sono riparabili. Oltre un terzo di esse è degno soltanto di una discarica, facilmente reperibile alla periferia di una qualsiasi grande città del paese. Pertanto, il cosiddetto “mercato dell’usato” si rivela un ottimo metodo di smaltimento dei rifiuti tossici.
Martin Hojsik, di Greenpeace, ha commentato: «Le aziende britanniche possono fermare questo traffico illegale di sostanze tossiche soltanto facendo in modo che i loro prodotti non contengano componenti pericolosi. È importante che sia le imprese sia il governo si assumano la piena responsabilità di un riciclaggio controllato e sicuro di ciò che viene prodotto nel paese e pongano fine a questa nefasta tendenza di scaricare i nostri rifiuti all’estero. Evitando così che giovani lavoratori – spesso bambini – continuino a essere esposti a pericolosi cocktail di sostanze nocive per la loro salute».
E dove finiscono i nostri apparecchi tecnologici? Ce lo siamo mai chiesto? Sono convinto che facciano la stessa fine. La nostra tanto declamata civiltà, non solo ha sfruttato in passato, e continua a farlo tuttora, gli esseri umani e le risorse naturali del continente nero, ma usa MamaAfrica come la discarica dei nostri residui tossici.

Giovanni Critti

Il Pantano Leone, da fogna a cielo aperto a riserva

Per anni la gente del posto ha chiamato questa zona “acqui fitusi” (acque puzzolenti) e non a caso. Il Pantano Leone, infatti, uno specchio d’acqua artificiale nei pressi di Campobello di Mazara in provincia di Trapani, è nato quando il comune di Campobello, nel 1977, iniziò a convogliare le acque degli scarichi cittadini in questa depressione naturale del terreno. Le acque reflue hanno, per anni, alimentato tale depressione, formando nel tempo uno stagno che si estende per circa sei ettari e raggiunge nei periodi di piena una profondità di quasi due metri.

All’inizio non vi era nulla, solo una grande fogna a cielo aperto, ma la natura sa come riprendersi i suoi spazi e, così, spontaneamente cominciò a crescere la prima vegetazione, in particolare i canneti. Queste piante che crescono intorno ai laghi o alle paludi, formano delle grandi distese chiamate “fragmiteti” ed hanno una singolare caratteristica: le radici immerse riescono a filtrare l’acqua trattenendo le sostanze contaminanti. I naturalisti ed i biologi chiamano questo processo “fitodepurazione naturale”. Nel tempo quindi le caratteristiche organolettiche delle acque del Pantano Leone cambiarono creando le condizioni perché crescesse altra vegetazione e arrivasse anche la fauna. Oggi non è difficile infatti vedere fenicotteri rosa, folaghe, marzaiole e soprattutto l’anatra marmorizzata che non veniva più avvistata in Italia dalla fine dell’ottocento e che invece da qualche anno, dopo aver svernato in Africa, torna regolarmente in questo specchio d’acqua in provincia di Trapani, tra la fine di Aprile ed i primi di Maggio.

Il Pantano Leone, che ha già ottenuto il titolo di “zona umida di interesse internazionale” secondo la convenzione Ramsar, ha tutte le carte in regola per diventare riserva naturale. Ironia della sorte, l’esistenza stessa del Pantano Leone è costantemente messa alla prova da quando, nel 2008,
Campobello di Mazara si è dotato di un nuovo depuratore comunale che, se da un lato, provvede ad una moderna depurazione delle acque reflue cittadine, dall’altro impedisce l’approvvigionamento idrico del pantano stesso poichè alla fine del processo di depurazione, scarica direttamente a mare. Il pantano non ricevendo più acqua si prosciuga, soprattutto, nei mesi estivi mettendo seriamente a rischio sia la vegetazione sia gli animali migratori.

Se si riuscisse a realizzare una condotta di risalita che porti l’acqua filtrata attraverso il depuratore, che si trova a valle, nuovamente verso il Pantano Leone si risolverebbero tre importanti problemi ambientali: da un lato si eviterebbe di scaricare acque reflue, seppur trattate, direttamente in mare, dall’altro si assicurerebbe un approvvigionamento idrico costante al Pantano Leone anche nei mesi estivi e in più le acque già trattate dal depuratore e in seguito ulteriormente filtrate dal processo di fitodepurazione naturale, avrebbero le caratteristiche per poter essere utilizzate anche per l’irrigazione”.

Giovanni Critti