Ripensare gli zoo: cattività ed immunodepressione

Scritto da:
Marco Ferrari
Durata:
1 minuto
(Foto: Maria Grazia Di Marco)
(Foto: Maria Grazia Di Marco)

Zoo è l’abbreviazione di Zoological Society, società inglese fondatrice del primo giardino zoologico britannico istituito a Londra nel 1828 con l’intento di mostrare al pubblico i più disparati animali. Questo modello prese piede in tutto il mondo con scopi didattici e di conservazione delle specie raggiungendo ad oggi il numero di circa diecimila zoo.

Per fornire i giardini zoologici, che oggi ospitano circa un milione di animali, si assistette quindi ad una serie di catture massive di elefanti, tigri, coccodrilli e gorilla, solo per citare alcune specie, in ogni parte del pianeta. E qui iniziarono i guai per gli animali che si videro catturare con le modalità più cruente da cacciatori senza scrupoli, si è stimato che oltre il 50 % degli animali perisca già nella cattura o durante il trasporto, per finire poi in gabbie spesso anguste ed in climi non propriamente adatti.

Molti studiosi hanno verificato come un ambiente inadatto possa generare sofferenze evidenti negli animali osservati. Qualunque essere quando viene inserito in un ambiente che non gli è congeniale per l’espressione dei suoi comportamenti tipici subisce un danno psicologico che poi diventa fisico. Lo stress della nuova sgradita condizione genera una cosiddetta “Sindrome generale di adattamento” che venne ampliamente documentata dal medico austriaco Hans Selye. Se gli sforzi di adattamento allo stress non sono sufficienti ad arginarlo si instaura uno stato di stress cronico.

Questa condizione comporta pesanti reazioni organiche che, attraverso l’attivazione delle ghiandole surrenali, scatenano la produzione di ormoni tipici delle condizioni stress e che sollecitano cambiamenti fisiologici generali preparanti il corpo per un’attività fisica di lotta o di fuga (fight-or-flight response). Alcuni effetti tipici sono l’aumento del battito cardiaco, della pressione arteriosa, dei livelli di glucosio nel sangue e una reazione generale del sistema nervoso che comporta il blocco delle funzioni digestive e intestinali.

Anche a occhio nudo è facile verificare gli animali stressati, che a volte appaiono innaturalmente fermi o dondolanti in atteggiamenti che ricordano i bambini autistici, a volte appaiono vistosamente nervosi con sguardi aggressivi oppure li vediamo percorrenti incessantemente avanti e indietro il perimetro o un lato della gabbia. Altre volte si osserva davvero la rassegnazione per la loro innaturale condizione addirittura nello sguardo.

Nell’insieme queste alterazioni mantenute nel tempo hanno ricadute negative sullo stato di salute, con insorgenza di malattie per la depressione delle difese immunitarie.

E’ venuto il tempo di ripensare gli zoo sia per la loro funzione didattica, che appare fuorviante dei reali comportamenti etologici naturali delle diverse forme di vita, sia del serbatoio genetico che gli zoo vorrebbero rappresentare in quanto gli animali detenuti in cattività sono in numero troppo esiguo per rappresentare la biodiversità. Va tenuto anche conto che nel caso di reintroduzione in natura gli animali degli zoo sarebbero incapaci di adattarsi al vero ambiente naturale in quanto privi delle opportune conoscenze per sopravvivere. Anche il lato economico è da valutare, infatti, da un’inchiesta sugli zoo delle associazioni WSPA e BFF, la spesa media per un Rinoceronte nero in zoo è di $ 16,800 per un anno mentre nel suo habitat è di circa $ 1,000; quindi si potrebbero tutelare in natura ben sedici rinoceronti neri.

Un’idea per lo zoo del futuro passa attraverso le nuove tecnologie che permettono di seguire, mappare, filmare e rintracciare gli animali nel loro habitat nel pieno rispetto delle abitudini, delle cure parentali, del comportamento riproduttivo, alimentare e sociale.

In pratica si tratta di trasformare gli attuali zoo in moderni centri multimediali dai quali osservare gli animali liberi in natura.

Marco Ferrari
27 dicembre 2013