Mammut rinvenuto in Russia. Possibile una clonazione?

31 Ottobre 2012 - di Leonardo Debbia
Un bambino fotografato accanto ad una scultura che raffigura un esemplare di mammut durante il tramonto alla periferia di Khanty-Mansiysk, Russia occidentale (da Agenzia Reuters)

Un team internazionale di ricerca ha rinvenuto i resti di un mammut lanoso in una parte remota della Russia nordorientale, precisamente nel distretto di Ust-Yanks della regione Yakutia (o anche repubblica di Sakha), sulla costa artica della Siberia.

La spedizione, ribattezzata Yana 2012, posta sotto la guida dello scienziato russo Semyon Grigoryev, professore alla North-Eastern Federal University (NEFU) di Yakutsk, era composta da ricercatori provenienti da Stati Uniti, Canada, Corea del Sud, Svezia e Gran Bretagna.

La scoperta è avvenuta quasi casualmente, ad una profondità di 5-6 metri, in un tunnel scavato dalla gente del luogo durante la ricerca di qualche raro e prezioso osso di mammut.

Il materiale biologico è rappresentato da tessuti sia duri che molli, dalla pelliccia e dalle ossa che qualificano sicuramente un mammut.

La notizia, di per sé non molto rilevante, acquista una luce particolare se si considera che il professor Grigoryev, qualora questo materiale fosse ritenuto adatto e sufficiente, intende effettuare una clonazione dell’animale.

“Il passo che stiamo per affrontare ora sarà quello di cercare delle cellule viventi tra il materiale che si è conservato nel permafrost siberiano”, ha detto infatti Grigoryev.

L’idea, per la verità, non è nuova. Già nel 2011 Akira Iritani, un biologo giapponese, aveva voluto tentare l’esperimento, avvalendosi anch’egli di resti di un mammut. Il suo tentativo trovava conforto in un esperimento coronato dal successo nel 2008 da Teruhiko Wakayama che aveva effettuato clonazioni di topi morti, congelati 16 anni prima.

L’esperimento di Iritani, però, fallì clamorosamente.

“Ciò che serve per la clonazione è una cellula vivente, un organismo che possa riprodursi autonomamente”, spiega Grigoryev. ”Una volta superata questa condizione, allora il problema per noi sarà quello di moltiplicare a decine di migliaia le cellule”.

Il nuovo tentativo consisterebbe nell’estrapolare il nucleo delle cellule fossili, purchè vive, per impiantarlo nelle cellule-uovo di un elefante indiano. Il risultato sarebbe un animale in tutto e per tutto simile al mammut. Non si sa per certose l’esperimento potrebbe avere un buon esito, ma il fatto che il DNA delle due specie sia simile al 95% offre una buona probabilità di successo.

“Contiamo che il permafrost della nostra regione abbia conservato alcune cellule vive, ma questo è poco probabile” ha detto Grigoryev, sottolineando che i resti avrebbero dovuto rimanere ad una temperatura stabile tra i –4 e i  –20 gradi Celsius perché le cellule potessero essere rimaste in vita.

Raffigurazione di un mammut lanoso

E’ opportuno segnalare che le notizie riportate dai media sulle possibilità che gli scienziati avessero fatto un passo avanti nella realizzazione del processo di clonazione sullo stile “Jurassic Park“, riportando in vita il gigantesco mammifero dopo migliaia d’anni di estinzione, sono state  alquanto esagerate.

Alcuni organi di stampa russi avevano, infatti, riportato la notizia della scoperta di cellule viventi. Grigoryev smentisce questa informazione, attribuendo l’equivoco ad un errore di traduzione della parola “intatta”, usata per definire lo stato delle cellule trovate. Questa parola sarebbe stata erroneamente tradotta dall’inglese in russo come “vivente”.

“In realtà quello che abbiamo trovato sono cellule “intatte”, con un nucleo intero”, ribadisce lo studioso, aggiungendo che le cellule, qualora fossero state rinvenute vive, avrebbero sicuramente fornito i campioni per ricostruire un clone vivente.

Due anni fa nella stessa regione era stato rinvenuto un altro mammut. Si trattava dei resti di una giovanissima femmina di mammut lanoso, a cui gli scienziati avevano dato il nome di Yuka, trovata assieme ai resti di un antico bisonte e di un cavallo; tutti privi, comunque, di cellule vive.

La comunità scientifica ha appreso la notizia con un certo scetticismo, anche perchè la ricerca di cellule vive è stata affidata allo scienziato sudcoreano Hwang Woo Suk, del Sooam Biotech Research Foundation di Seul, Corea del Sud, che è noto per aver clonato con successo un cane, ma anche per aver falsificato, nel 2004 e nel 2005, due studi con i quali annunciava la clonazione – nientemeno!  – di cellule umane.

E’ anche doveroso precisare che è dal 1990 che gli scienziati si sono accaniti in diversi tentativi di far rivivere un mammut utilizzando cellule di resti animali fossili, senza peraltro ottenere alcun successo.

A conclusione di quanto detto, ci sembra quasi d’obbligo fare una riflessione. A cosa servirebbe, in tutta franchezza, ricostruire e riportare in vita un mammut? Tralasciando l’impatto emotivo e l’orgoglio degli sperimentatori per un simile risultato, quale beneficio reale ne trarrebbe la scienza? E quale utilizzazione pratica ne potrebbe conseguire?

E infine, anche qualora l’esperimento riuscisse, che ci farebbe quel povero animale, tutto solo, unico esemplare di una specie ormai estinta, in un mondo per lui completamente nuovo e sconosciuto?

Leonardo Debbia
31 ottobre 2012