La seppia dell’Adriatico

Alcune specie animali rappresentano nell’immaginario qualcosa che va al di là delle semplici caratteristiche biologiche e ecologiche della specie in questione. Per le specie marine non c’è dubbio che delfini, squali ma anche tartarughe marine e pesci spada per esempio, abbiano un’attrattiva che altre specie di organismi non raggiungono. Eppure, viste da vicino, e studiate nei loro comportamenti e nelle loro particolarità biologiche, praticamente non esistono specie animali che non possano colpire lo studioso e il profano. A volte poi alcune specie sono talmente comuni, anche sulle nostre tavole, che non riusciamo forse più a vederne gli splendidi adattamenti e peculiarità.

La seppia (Sepia officinalis) ad esempio è un tipico abitatore delle nostre acque, e non solo di queste. Ed è un animale, che pur nella sua “primitività”, si tratta di un Mollusco, è curioso e affascinante. Come si sa, la seppia può raggiungere dimensioni massime di 30-35 centimetri, e ha colorazione molto variabile che differisce tra maschi e femmine, infatti i maschi presentano una linea bianca lungo tutta la pinna. Il suo corpo è ovale, schiacciato e circondato appunto da una pinna. La testa possiede dieci braccia, due delle quali, i tentacoli, sono più lunghe, retrattili e con la parte terminale ricca di ventose.

Vive sui fondali non troppo profondi e in genere sabbiosi o melmosi e sulle praterie di Posidonia. E’ celebre per le sue migrazioni riproduttive, che compie in primavera ed autunno e dalle quali dipendono anche i diversi metodi di pesca utilizzati per pescarle. Infatti, se normalmente vive in acque non troppo vicine alle coste, si avvicina però a queste proprio durante la stagione degli amori. Prima arrivano i maschi, seguiti poi dalle femmine. Le quali poi depongono delle uova molto caratteristiche che non è raro trovare sulle spiagge. Sono dei grappoli neri che sembrano uva (in effetti c’è chi le chiama “uva di mare”). Facile trovare sulla sabbia anche la conchiglia di questi molluschi, che è interna e di colore bianco: il cosiddetto osso di seppia. Come detto, pare proprio che ad esempio nel mare Adriatico esistano due popolazioni di seppie, che si riproducono in tempi diversi, una in autunno e una in primavera.

In passato molto più che oggi non era raro incappare anche nelle sipe delfinede cioè, in dialetto romagnolo, le seppie decapitate dai delfini, i quali infatti sono golosi solo della testa, che riescono a staccare dal corpo. Dicevamo della pesca a questa specie, la quale ovviamente deve seguirne i movimenti migratori durante l’anno. Dunque in inverno le seppie si pescano più al largo, normalmente con le reti a strascico, mentre in primavera e autunno sono attese sotto costa, da strumenti di cattura fissi, come le nasse e i cogolli. Vere e proprie trappole che attirano le seppie che vi entrano non in cerca di un’esca ma di un luogo riparato dove deporre le uova. Tanto è vero che spesso le nasse hanno all’interno materiali plastici o foglie di alloro, che appunto simulano un buon substrato dove deporre le uova. Per gli attrezzi da posta la seppia rappresenta una parte decisamente notevole del pescato, e sebbene con un calo negli ultimi anni, esse costituiscono anche un buon 20% delle catture con lo strascico. Studi genetici recenti dimostrano come la popolazione adriatica di questi curiosi animali sia isolata dalle popolazioni mediterranee. Significa che le seppie mediterranee difficilmente vengono a rimpolpare la popolazione di quelle che vivono in Adriatico, dunque queste necessitano di misure di tutela e di una attenta gestione, per evitarne drastiche diminuzioni.

Marco Affronte