Riscaldamento globale. Ghiacciaio d’Africa, addio.

Scritto da:
Leonardo Debbia
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Il Monte Stanley (5109 metri) è la terza montagna più alta di tutta l’Africa, superata in altezza solo dal Monte Kenya e dal Kilimanjaro, in Tanzania. Fà parte della catena montuosa del Rwenzori, a cavallo tra l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo.

Ebbene, su questa montagna – avvertono gli esperti – il ghiaccio si sta sciogliendo a ritmi definiti ‘inquietanti’. E nel giro di due decenni – avvisano – questi picchi equatoriali saranno solo nuda roccia, con un impatto disastroso per l’agricoltura e il turismo.

E’ quanto comunica oggi su NewsDaily il reporter Peter Martell con un accorato articolo per Agence France Press.

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John Medenge, una guida alpina che accompagna chi si voglia cimentare nella scalata della ripida parete di ghiaccio, testimonia così la sua esperienza:

“Ogni anno il ghiaccio si assottiglia sempre più”, afferma il cinquantaquattrenne alpinista, che conosce bene quella montagna, per aver iniziato a scalarla fin dalla propria adolescenza.

L’antico geografo Tolomeo d’Alessandria, intorno al II secolo d.C., chiamò le misteriose cime innevate del Rwenzori ‘Montagne della Luna’, pensando che da quelle vette sgorgassero le sorgenti del possente Nilo Bianco.

Dopo secoli in cui si è potuto ammirare in tutta la sua bellezza lo spettacolo della neve all’equatore, oggi il ghiaccio sta pian piano scomparendo e portando con sé molteplici sfide, come da più parti viene lamentato.

“Lo scioglimento dei ghiacciai sono un segnale da non ignorare, un ‘canarino nella miniera’”, afferma Luc Hardy, esploratore franco-americano, vice-presidente del gruppo ambientalista ‘Green Cross’, alludendo all’uso dei canarini da parte dei minatori per rilevare eventuali presenze di gas velenosi nelle miniere.

“Lo scioglimento del ghiaccio è un ‘canarino’ che denuncia l’incapacità dell’uomo di contenere il cambiamento climatico e le sue conseguenze negative”, ribadisce Hardy, che appartiene anche a Pax Arctica, l’organizzazione che promuove la consapevolezza dell’impatto climatico e che ha guidato una spedizione sulla montagna nel gennaio scorso.

“Lo scioglimento di questo unico ghiacciaio africano è una grave minaccia per le forniture idriche della regione”, conclude, realisticamente, Hardy.

“La riduzione dei flussi dei fiumi che scendono dal ghiacciaio incide già ora sulla produzione agricola e sulla produzione di energia elettrica”, sostiene Richard Atugonza, del Centro Mountain Resource Makere dell’Università dell’Uganda.

Fu l’esploratore inglese Henry Morton Stanley il primo occidentale che avvistò il ghiacciaio nel 1889, ma la vista della splendida distesa bianca sta ormai scomparendo rapidamente. Lo si desume dalle mappe che mostrano il ghiaccio ridotto dai circa sette chilometri quadrati nel 1906 ad un solo chilometro quadrato di oggi.

“Il riscaldamento globale non è causato da chi vive qui, ma sta danneggiando la regione”, protesta Baluku Stanley, presidente di una delle principali società di trekking, una comunità familiare dedita all’alpinismo sul Rwenzori.

Le valli spettacolari con la loro vegetazione di bizzarri alberi contorti, drappeggiati di lichene verde luminoso, le piante di lobelia giganti e l’edera di cinque metri di altezza offriranno un trekking straordinario anche una volta che il ghiaccio sarà sparito.

Elefanti, leopardi, scimmie e scimpanzé si nascondono nella giungla più in basso, mentre a quote più elevate coloratissimi uccelli si alzano in volo sulle vaste paludi che costeggiano le valli.

“Sul Rwenzori si possono fare trekking emozionanti, che rivaleggiano con le montagne in Europa e in Sud America” dice Paul Drawbridge, un alpinista britannico, dopo una spedizione di otto giorni. “Ma, se penso al ghiacciaio che sta andandosene, è un peccato che i miei figli non possano più rivedere queste cime imbiancate”.

Leonardo Debbia
18 marzo 2014