OGM: i Nobel contro Greenpeace
I Nobel sono per gli OGM. Si sa. Non è infatti la prima volta che ne prendono le parti. Ma ora la questione sembra farsi più scottante. 107 premi Nobel (su 296 ancora viventi) scrivono a Greenpeace, alzando di molto i toni della tanto tormentata discussione intorno agli organismi geneticamente modificati. Ne fanno addirittura una questione di vita o di morte, alludendo (nel finale di lettera) a un possibile rischio di genocidio contro l’umanità se si continuasse a perseverare sulla via del no.
Si pensi alla carenza di vitamina A nell’alimentazione (chiamata VAD – Vitamin A Defiency -), causa ogni anno tra uno e due milioni di morti (dati Unicef). Patologia alla quale si potrebbe porre un freno coltivando Golden Rice (riso dorato), una particolare specie che, grazie alla modificazione genetica, apporterebbe all’alimentazione di milioni di persone una quantità di vitamina A sufficiente a evitare l’insorgenza della VAD appunto. Introducendo infatti due geni esogeni nel DNA della parte commestibile del riso, sarebbe possibile innescare la biosintesi metabolica del precursore beta-carotene della provitamina A.
Greenpeace, però, continua a opporsi con fermezza contro l’inquinamento genetico, ritenuto una seria minaccia per la biodiversità e le coltivazioni tradizionali. In realtà non esistono studi scientifici che supportino la lotta contro gli organismi geneticamente modificati. È di maggio scorso uno studio estensivo di 420 pagine, curato dalla National Academies of Sciences, Engineering and Medicine, che esclude rischi per la salute umana derivanti dal consumo di OGM ed evidenze conclusive di causa-effetto su problemi ambientali.
Sebbene non siano stati condotti studi epidemiologici per valutarne gli effetti a lungo termine, la minore esposizione ai pesticidi e il maggior apporto nutrizionale legati alla modificazione genica porterebbero solamente benefici alla salute umana e alla salvaguardia della biodiversità ambientale. Si pensi, ad esempio, a Norman Borlaug, premio Nobel per la pace nel 1970. Nanizzando il frumento, a partire da una varietà sintetizzata dal nostro Nazareno Strampelli, riuscì a creare coltivazioni più resistenti alla siccità, avviando quella rivoluzione verde che tra gli anni Quaranta e Settanta del Novecento permise di affrontare senza difficoltà il crescente aumento della popolazione mondiale. In quel caso la modificazione genetica del frumento ebbe la capacità di innescare una vera e propria rivoluzione, consentendo a molti paesi poveri di coltivare una specie adatta alle difficili condizioni climatiche del proprio territorio.
In Italia la posizione dei Nobel non si è discostata di molto da quella espressa nella lettera a Greenpeace. Nel 2001 il quotidiano “La Stampa” pubblicò il manifesto Libertà per la scienza a firma di 1150 studiosi. Guidati dai Nobel Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini, il loro intento fu quello di salvare la ricerca italiana in materia di organismi geneticamente modificati. Senza successo, però. L’Italia rimase ferma nella sua posizione di assoluta negazione degli OGM. E ancora oggi la coltivazione sul nostro territorio ne è assolutamente bandita.
Chissà se a livello mondiale i Nobel riusciranno a spuntarla. O la battaglia contro l’ingegneria genica segnerà la morte definitiva dell’innovazione in campo agricolo.