Fare una buona prima impressione da cosa dipende?

Scritto da:
Carla Basile
Durata:
1 minuto
buona impressione
La "buona impressione" e la sua influenza è determinata da un gene.

Quante volte ci è capitato di conoscere nuove persone e rimanerne letteralmente affascinati? E quante volte invece alla domanda di un nostro amico “Allora, che ne pensi di questa persona?” ci è venuto subito da rispondere “Direi che a pelle non mi piace”? Spesso quelle che sono le prime sensazioni si rivelano giuste ,talvolta può capitare invece di essere tratti in inganno dall’impatto iniziale. Cosa ci fa dire dunque che qualcuno è simpatico o antipatico? Cosa scatta in noi che ci permette di pensare di avere un feeling con qualcuno?

Senza dubbio sono tanti i fattori in gioco. Ci si ritrova a parlare dei propri interessi in comune, di esperienze di vita spesso simili, si vivono insieme nuove esperienze e così si stabilisce un’amicizia. Ma accade per ogni persona nuova incontrata?
Sicuramente sul nostro cammino ci è capitato di dover “scegliere” chi avrebbe fatto parte della nostra vita e chi no, e tutto questo spesso basandoci su un’empatia, sulla famosa “prima impressione”. Molto della prima impressione dipende dal movimento del corpo. La comunicazione non verbale infatti è rapida e diretta ed arriva molto prima delle parole. Con un gesto,un’espressione del viso siamo in grado di fornire un’istantanea della nostra personalità.

Non a caso durante un colloquio di lavoro la persona che ci è di fronte valuterà se abbiamo le braccia rilassate o incrociate, noterà se seguiamo ciò che dice guardandolo negli occhi, guarderà insomma come il nostro corpo reagisce. Proprio attraverso il linguaggio del corpo spesso stabiliamo una empatia con chi ci è di fronte. Recentemente sulla rivista Proceedings of National Academy Sciences (PNAS) negli USA è stato pubblicato uno studio che ha dimostrato che le persone che hanno due copie del gene per il recettore dell’ossitocina, gene G, nel loro DNA sembrano essere più empatiche, affidabili, compassionevoli.

Al contrario, le persone che non hanno la seconda copia di tale gene risulterebbero meno empatiche. Proprio quei soggetti con questa specifica variante genetica del gene G sono facilmente identificabili per i loro comportamenti non verbali: sorridono di più, comunicano molto con cenni della testa e con il contatto visivo, presentano una postura del corpo più aperta e muovono le braccia in segno di accoglienza. Nonostante le evidenze mostrino una relazione tra il gene G e la capacità di socializzazione dell’uomo, restano ancora poco conosciuti i meccanismi neurali alla base. Si sa che sono varie le regioni del cervello attive nell’espressione del linguaggio corporeo, alcune tra le quali l’amigdala, nota per la gestione delle emozioni quale la paura, l’ipotalamo, regolatore delle funzioni corporee di base come la termoregolazione, il ciclo sonno-veglia, e la corteccia prefrontale,deputata alle decisioni e all’adattamento alle nuove situazioni.

Rimangono ancora molte le domande riguardo la relazione tra le espressioni del nostro corpo e gli impulsi nervosi, ma è certo che alla base anche di un semplice sorriso giocano ruoli importanti i geni e gli impulsi elettrici che nel nostro cervello si propagano. L’importante è comunque ricordarsi di essere se stessi ad ogni prima presentazione, magari tenendo a mente che “non c’è mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione”.

di Carla Basile