Marketing: tutto parte dal cervello
Le scienze sociali e in particolar modo l’economia per molto tempo hanno predicato il concetto di homo oeconomicus, insegnandoci che l’attore economico si comporta inesorabilmente come un massimizzatore di profitto, unicamente interessato al calcolo dell’utilità. La realtà ci ha mostrato molto spesso che le decisioni non vengono prese razionalmente, anzi sono proprio le emozioni ad essere decisive nel processo decisionale e che probabilmente quello dell’homo oeconomicus è un mito. Tuttavia questa teoria ha funzionato per molto tempo e ha ancora molti estimatori.
È ancora frequente trovare persone che trattano le scienze sociali alla stregua delle scienze esatte, tralasciando il fatto che, laddove c’è di mezzo la libertà umana non può esserci esattezza.
Crollato il mito dell’homo oeconomicus cosa resta? Probabilmente l’uomo vero colto nella sua immensa complessità irriducibile a uno schema, ma questo non significa che il processo decisionale, poiché non disciplinato dalla ragione, sia del tutto imprevedibile. Qui non vogliamo fare filosofia, ma vogliamo solo mostrare come oggi le neuroscienze entrano prepotentemente nel mondo delle scienze sociali e gli offrono una nuova luce.
Sapere come funziona il cervello, o meglio sapere come reagisce a determinati stimoli e come questi orientano le nostre decisioni, è un vantaggio competitivo che ogni esperto di marketing non può lasciarsi sfuggire.
Il marketing pervade ogni cosa, dalla politica all’economia, dall’arte all’informazione: tutto è marketing! Oggi ad un esperto di marketing non basta saper analizzare solo il mercato e conoscere le tecniche di vendita, deve avere anche competenze di filosofia, sociologia, neuroscienza ecc… Sì, perché quando si ha a che fare con il cervello le cose cambiano e molto, perché il cervello non è un organo statico, ma una straordinaria macchina semantica che cresce su se stessa, per cui quello che funzionava ieri potrebbe non funzionare oggi.
Sempre più spesso sentiamo così parlare di neuromarketing, una parola che destra stupore e tremore. Sia chiaro, le tecniche di vendita hanno sempre funzionato perché sfruttavano a loro vantaggio le modalità di funzionamento del cervello, ma ora sapere che basta una tac o una risonanza magnetica per vedere se una campagna funziona o meno ci fa sentire un po’ topi da laboratorio. La prima volta che sentii parlare di neuromarketing fu nel 2010 leggendo un articolo su focus di Eugenio Spagniuolo: http://www.focus.it/tecnologia/cosi-ci-spingono-a-comprare_C12.aspx, e rimasi molto scosso anche se l’articolo terminava con una rassicurazione, che suonava un po’ così: “quante più aziende conosceranno i nostri bisogni e i nostri desideri inconsci, tanto più utili potranno essere i prodotti che potranno mettere sul mercato”. Curioso il fatto che la parola utile, che avevamo liquidato all’inizio, torni ad essere protagonista della discussione in una rinnovata veste, spostando dal consumatore al produttore il testimone dell’utilità. Quindi quell’attore economico che si comporta come il massimizzatore del profitto e che opera razionalmente interessato al calcolo dell’utile, non è il consumatore sempre più governato dalla propria amigdala, ma il produttore che sempre più razionalmente crea prodotti o servizi atti soddisfare i sempre nuovi bisogni che si producono.
Bisogna chiedersi cosa significa tutto questo: da una parte vediamo un consumatore sempre più emotivo che partecipa, consapevolmente o inconsapevolmente al processo di produzione, dall’altra un produttore sempre più razionale che ascolta e asseconda sempre più i bisogni del consumatore. Qualche anno fa se volevo acquistare un libro andavo in libreria, oggi vado su Amazon, se volevo un paio di scarpe o una maglietta mi facevo una passeggiata in centro e cercavo qualche bel negozietto dove provavo tante cose, oggi vado su Zalando, se voglio acquistare musica vado su iTunes (e mi fermo qui perché la lista sarebbe lunghissima). Il progresso cambia le abitudini, cambia la visione del mondo. I ragazzi, i nativi digitali, vivono tutto questo in maniera naturale, chi invece è nato quando i computer non esistevano rimane spiazzato di fronte a tutto questo. Il cambiamento mette sempre paura e ogni epoca ha sempre visto con diffidenza e terrore i grandi cambiamenti. Siamo in un’era di grandi e continue rivoluzioni, i tempi si sono accorciati drasticamente e questa crisi insuperabile che ci avvolge è la semplice testimonianza di un rapporto tra tempo e pensiero che si risolve diversamente da come lo abbiamo conosciuto nel passato. Prima era possibile seguire i percorsi già tracciati, oggi i modelli invecchiano subito e bisogna avere l’abilità di tracciare sempre nuove strade, un tempo che ci chiama a spostare la nostra prospettiva dalle procedure ai significati. Il futuro ci riserverà grandissime sorprese, e il nostro cervello sarà sempre capace di crescere e raccogliere le nuove sfide, il fatto che la scienza e la tecnologia vengano in aiuto al marketing non deve spaventarci perché, per quanto si possano inventare sempre nuove tecniche di persuasione e di manipolazione, il nostro cervello riuscirà sempre a superarle. I nostri comportamenti sono sempre stati prevedibili, tuttavia non siamo mai sottomessi a questa prevedibilità.
Valerio Tedeschi
11 giugno 2014