L’importanza del vischio

Scritto da:
Andrea Corti
Durata:
1 minuto
Amyema miquelii

Non solo baci sotto il vischio, l’importanza ecologica di queste piante viene approfondita in uno studio australiano.

Innanzitutto, il termine vischio (mistletoe in inglese) viene usato per indicare diverse piante emiparassite obbligate appartenenti all’ordine Santalales, non è quindi riferito solamente alla celebre pianta tradizionale natalizia. Le piante emiparassite si distinguono dalle oloparassite per la presenza di clorofilla e quindi la possibilità di svolgere la fotosintesi, “limitandosi” a prelevare acqua e sali minerali dall’ospite. Per parassita obbligato si intende invece un organismo che necessita di un ospite per portare a conclusione il proprio ciclo vitale, differenziandosi dai parassiti facoltativi.

L’effetto benefico delle varie specie di vischio sugli ecosistemi che le ospitano è noto da tempo, per questo queste piante sono considerate una risorsa chiave per l’ecosistema. È già stata dimostrata una correlazione positiva tra l’abbondanza di vischio e la ricchezza di specie: si tratta infatti di un pasto ambito per molti animali, che si nutrono sia dell’abbondante fogliame, sia dei frutti che del nettare; la grande quantità di foglie ha effetti positivi anche sulla lettiera e sulla ricchezza del suolo; i rami formano un intrico ideale per ospitare nidi e come rifugio in generale, oltre ad accrescere la complessità della foresta rendendola più resistente ad incendi e siccità.

La novità in questo studio risiede nel fatto che si è tentato di fare un passo avanti, non cercando di capire se queste specie fossero importanti, fatto ampiamente documentato, ma quanto lo fossero.

Per fare questo, i ricercatori della Charles Sturt University hanno scelto un’area dell’Australia sud-orientale, dove la vegetazione nativa è stata molto frammentata dall’uso antropico, in particolare l’agricoltura, permettendo così di avere più aree boscate di modeste dimensioni da usare come campione. La specie di vischio più abbondante in queste aree è risultata essere Amyema miquelii, alla quale si aggiungono Muellerina eucalyptoides, A. pendula e A. miraculosa in proporzioni minori. Esclusa quest’ultima, che spesso è iperparassita (cioè parassita un altro parassita) nei confronti di Amyema miquelii, le altre hanno soprattutto come ospiti piante di eucalipto.

Le aree selezionate sono state 40, divise in 3 gruppi: un primo gruppo (17 aree) in cui sono state rimosse tutte le specie di vischio; un gruppo di controllo (11 aree) in cui la presenza del vischio è stata lasciata intatta ed un ultimo gruppo (12 aree) in cui il vischio era naturalmente assente.

Come indicatore della ricchezza di specie si è utilizzato il numero di specie di uccelli riscontrati nelle foreste.

Dicaeum hirundinaceum
chiamato Mistletoebird poichè si nutre dei frutti del vischio

Un primo censimento è stato svolto prima del trattamento (la rimozione del vischio) ed il secondo ha avuto atto 3 anni dopo.

Ecco i risultati: nelle aree in cui il vischio era assente non si è riscontrata nessuna differenza significativa, mostrando che non ci fosse in atto alcun declino dovuto ad altre cause; laddove invece il vischio era stato rimosso il censimento post-trattamento ha mostrato l’assenza del 20,9% delle specie presenti nel censimento precedente, la percentuale sale, raggiungendo il 26,5%, se si tiene conto solo di quelle specie dipendenti da ambienti boscati, e si impenna al 34,8% se, tra questi, si analizzano solamente le specie residenti. In contrasto a questo forte calo, nelle aree facenti parte il gruppo di controllo si è registrato un modesto aumento del numero di specie.

Va aggiunto che l’esperimento è stato svolto in annate di siccità in cui le precipitazioni sono state circa la metà delle medie abituali; sebbene sia difficile quantificare l’effetto della siccità sulla riduzione di specie in rapporto con altri fattori (cibo, possibilità di nidificare), ciò sembrerebbe confermare l’effetto del vischio come attenuante degli effetti di eventi avversi all’ecosistema.

Per il futuro, i ricercatori si augurano di poter approfondire e migliorare questo tipo di ricerca, magari calcolando il successo riproduttivo delle specie e non solamente il loro numero.

Uno studio, quindi, che offre un piccolo passo verso una migliore conoscenze dell’ecosistema, facendo luce su quelle specie che fungono da collante e favoriscono le interazioni tra i vari fattori, specie nei confronti delle quali, forse, è meglio tenere un occhio di riguardo nella sfida per la salvaguardia della natura.

Andrea Corti