Il caldo è servito

Coffea-arabicaIl comunicato stampa dell’acquisto, da parte della più grande catena di caffetterie Starbucks, di una piantagione di caffè in Costa Rica per farne un centro di ricerche, ci riporta ad una notizia apparsa alcuni mesi sulla rivista Plos One. Secondo i risultati di uno studio, condotto dai ricercatori del Royal Botanic Gardens di Kew (Gran Bretagna), la Coffea arabica, allo stato selvatico, potrebbe estinguersi nei prossimi settanta anni. La nefasta conseguenza di ciò sarebbe la scomparsa anche delle varietà utilizzate ai fini commerciali, per intenderci le miscele che finiscono nelle nostre tazze. Queste, infatti, derivano direttamente dalla specie selvatica, mediante selezione dei caratteri più idonei alla produzione.  Il solo pensiero che il caffè possa sparire, mi fa rabbrividire! Ma chi è il responsabile di quest’ orribile misfatto?

I ricercatori ci hanno anche consegnato il colpevole: il riscaldamento globale.

Quando si parla di riscaldamento globale, subito la mente corre ai ghiacciai che stanno lentamente sciogliendosi e agli animali legati a questo tipo di habitat. Ma, purtroppo, il riscaldamento globale, o per meglio dire il surriscaldamento, è colpevole anche di un altro genere di “delitti”, che potremmo definire gastronomici. Infatti molti prodotti, al pari degli animali, sono gravemente minacciati.

Nella lista dei “condannati a morte” notiamo alcune presenze eccellenti, il pane, ad esempio.

Genere di prima necessità, immancabile sulle nostre tavole, il pane rischia di diventare un bene prezioso e raro. Stando alle parole degli esperti, il suo prezzo potrebbe lievitare del 90% nei prossimi anni, a causa della siccità e dei disastri naturali che, dal 2011, hanno determinato il danneggiamento delle coltivazioni di grano ed il deperimento delle risorse.

Altra vittima potrebbe essere il cioccolato, il cibo degli dei, vera e propria delizia per i più golosi. I cambiamenti climatici e l’aumento delle temperature potrebbero rendere i terreni del Ghana e della Costa d’Avorio (paesi produttori della metà del cacao mondiale) non idonei alla coltivazione della pianta di cacao.

I primi impatti negativi del riscaldamento globale, sulle coltivazioni, si potranno avvertire già nel 2030, mentre la “scomparsa” della pianta di cacao, e di conseguenza del cioccolato, è prevista nel 2050, anno in cui le temperature potrebbero subire un incremento di 2 gradi e mezzo.

Anche il miele potrebbe non addolcire più le nostre giornate. Questo, perché le nostre api sono stressate. Infatti, i cambiamenti climatici influenzano le stagioni, provocando una primavera anticipata e un restringimento del periodo invernale. Tale sfasamento di 20-30 giorni si traduce in maggior lavoro per le api, la cui salute risulterebbe compromessa. Come compromessa è la produzione del miele, che pare rischi di estinguersi nei prossimi anni.

E se ora aveste bisogno di un “bicchierino” per buttar giù questi bocconi amari, mi duole informarvi che le bizzarrie del clima potrebbero non concedere neppure questa consolazione.

I ricercatori hanno, infatti, previsto un calo di un terzo della produzione nelle regioni vinicole più importanti del mondo, come la Toscana passando per la Francia fino ad arrivare in California. Diminuzione che dovrebbe verificarsi entro il 2040, visto che il riscaldamento globale e gli scompensi climatici rendono la raccolta dell’uva sempre più difficoltosa. Senza trascurare il fatto che, nell’immediato, gli effetti di tale fenomeno potrebbero riguardare la struttura dei vini.

Altra estinzione eccellente potrebbe essere quella del Kentucky Bourbon. Questo pregiato whiskey, invecchiato per almeno un anno, deve il suo particolare aroma e il colore ambrato al clima dello stato del Kentucky, in cui viene prodotto. Binomio che potrebbe essere presto spezzato dall’innalzamento delle temperature, che comporterebbero non solo un cambiamento nella modalità di conservazione, ma anche il trasferimento delle riserve di bourbon in altri territori degli Stati Uniti.

Ma se per il vino e per il bourbon, la “morte” sembra lontana, la fine della tequila è più vicina e la minaccia più incombente. In questi ultimi anni, le piantagioni nel nord del Messico di agave, pianta da cui si ricava il distillato, sono state fortemente colpite dalla siccità. E la situazione sembra irreversibile, tanto da spingere i coltivatori e il governo stesso a considerare l’ipotesi di abbandonare la coltivazione di agave in favore di quelle di mais.

Stilata questa lista di possibili estinzioni gastronomiche, non pensate che sia necessario trovare una soluzione al fenomeno del riscaldamento globale?

Io credo proprio di sì, perché l’unico peccato che voglio commettere è quello di gola!

Paola Pinto
13 aprile 2013