Il profilo delle coste rivela la nascita dell’Atlantico meridionale
- Leonardo Debbia
- 26 Giugno 2014
- Ambiente & Natura
- 0 Comments
Quando il continente sudamericano si separò dall’Africa, tra i 150 e i 200 milioni di anni fa, prese a formarsi il bacino che con il tempo avrebbe ospitato l’Atlantico Meridionale e che separa oggi le coste del Brasile da quelle dell’Angola.
I margini continentali originatisi da questa separazione sono sorprendentemente simili e altrettanto sorprendentemente diversi.
La somiglianza si riferisce all’andamento di queste coste che nella prima metà dell’Ottocento ispirò a Wegener la teoria della deriva dei continenti, ma questa corrispondenza era già stata notata addirittura già nel 1620 da Bacone, che la descrisse nel suo Novum Organum.
L’idea sviluppata da Wegener era che una frattura formatasi nel blocco continentale originario, la Pangea, si fosse progressivamente allargata, allontanando le zolle continentali in direzioni opposte.
A questa prima similitudine morfologica si accompagnano però diversità geologiche non facilmente interpretabili.
Da qui la sorprendente differenza, sulla cui genesi si iniziarono le discussioni e le deduzioni scientifiche.
Al largo dell’Angola, per 200 chilometri lungo il litorale africano, sono state infatti rilevate porzioni sottili di crosta continentale, mentre il margine omologo brasiliano mostra una brusca transizione tra crosta continentale e crosta oceanica.
Per decenni i geologi hanno faticato a spiegare non solo perché la distanza e le geometrie dei margini continentali tra l’America del Sud e l’Africa non sono proprio simmetriche, ma anche perché esistano spesso questi ampi margini alla base della crosta continentale, che appare molto assottigliata.
Ora i geologi del Centro di Ricerca Tedesco per le Geoscienze (GFZ), in collaborazione con studiosi delle Università di Sidney e di Londra, hanno trovato una spiegazione che è stata pubblicata qualche giorno fa sulla rivista scientifica Nature Communications.
Utilizzando modelli computerizzati ad alta risoluzione e dati geologici rilevati dalle coste atlantiche meridionali, gli studiosi hanno scoperto che l’asse della spaccatura (o rift), dove la crosta continentale è assottigliata per la presenza di faglie, non rimane fisso e costante lungo la frattura, ma si sposta di continuo lateralmente.
“Potremmo dimostrare che le fratture sono in grado di muoversi lateralmente per centinaia di chilometri”, spiega Sascha Brune del GFZ. “Durante lo spostamento della spaccatura la crosta di una parte è più cedevole, indebolita per la risalita di materiale caldo dal mantello, mentre l’altro lato, probabilmente meno plastico, rimane praticamente inattivo”.
Questo fenomeno porta ad un movimento laterale del sistema di fratture che equivale a convogliare dalla piastra sudamericana alla piastra africana il materiale crustale in risalita.
Il fondo marino si dilata e arriva ad estendersi molto lontano dalla frattura, provvedendo alla formazione delle enigmatiche porzioni di crosta sottile sul margine continentale africano.
La traslazione di una spaccatura di queste proporzioni necessita ovviamente di tempo: durante la formazione degli attuali margini angolano e brasiliano, l’asse della frattura è migrato di 200 chilometri verso ovest.
Si ritiene che l’intero processo di fratturazione continentale e di generazione di crosta oceanica abbia richiesto almeno 20 milioni di anni.
I nuovi modelli elaborati al computer rivelano che la velocità di estensione gioca un ruolo cruciale nella comprensione delle larghezze dei margini del Sud Atlantico.
Una estensione crustale più veloce porta ad una migrazione maggiore e quindi ad una asimmetria più marcata dei margini continentali corrispondenti.
Leonardo Debbia
26 giugno 2014