L’abito non fa il monaco… e neppure il sesso: come riconoscere “Riccio maschio” e “Riccio femmina”

Scritto da:
Andrea Bonifazi
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1 minuto

La nomenclatura zoologica non è solo un virtuosismo dialettico, è un mezzo che serve per fare ordine e chiarezza tanto nel linguaggio informale quanto in quello scientifico. Tuttavia è prassi comune identificare una specie affidandosi solo al suo nome comune, spesso identico in quelli che potrebbero essere comodamente definiti “colloquiali complex di differenti taxa”. Si ha quindi la specie “serpente”, la specie “orso”, la specie “chiocciola”, la specie “lucertola”, la specie “riccio di mare”. Nomi chiaramente molto generici e fuorvianti non in grado di identificare univocamente uno specifico taxon.
Proprio il caso del “riccio di mare” è particolarmente emblematico: nel linguaggio informale, questo nome comune identifica pressoché tutti gli Echinodermi Echinoidei che possiamo osservare lungo le nostre coste, da Arbacia lixula a Paracentrotus lividus, passando per Sphaerechinus granularis, Psammechinus microtuberculatus, Echinocardium cordatum e Cidaris cidaris, tutte specie nelle quali potremmo imbatterci tanto durante lo snorkeling quanto durante una tranquilla passeggiata in spiaggia.
A complicare ulteriormente la distinzione tra questi taxa contribuisce addirittura… il loro ciclo vitale!
Infatti è prassi comune considerare maschi i ricci di colore nero (Arbacia lixula) e femmine quelli di altro colore, dal violetto al marroncino (Paracentrotus lividus), entrambi molto comuni nell’infralitorale superiore.
In realtà si tratta di due specie differenti, entrambe a sessi separati, quindi esemplari femmine sono presenti anche nel “Riccio maschio” ed esemplari maschi nel “Riccio femmina”.
Una convinzione molto radicata in chi non è del settore, assumendo quasi i tratti di una vera e propria leggenda metropolitana. In realtà questo fraintendimento è puramente di natura alimentare: durante il periodo riproduttivo, infatti, P. lividus presenta uova di qualità più pregiata ed è molto più ricercato rispetto ad A. lixula, tanto da essere comunemente considerato l’unico in grado di produrle, venendo così associato esclusivamente al sesso femminile.

Esemplare aperto di Paracentrotus lividus con le gonadi mature ricolme di uova (© Marco Busdraghi)

Eppure riconoscerli non è difficile: il “Riccio maschio” ha aculei sempre neri, un dermascheletro leggermente depresso di un colore rosa disomogeneo, può raggiungere un diametro di 8 cm e ha un’apertura orale molto ampia; di norma lo si può trovare sino a 40 metri di profondità su superfici rocciose sia orizzontali che verticali generalmente prive di vegetazione in quanto esso stesso contribuisce a ripulirle, essendo un vorace brucatore. Una sua particolarità è l’avere pedicelli aborali privi di dischi adesivi, così che non è in grado du ricoprirsi di alghe, sassi e frammenti di Molluschi, come invece avviene in P. lividus. Ha un lungo periodo riproduttivo, con picchi riproduttivi nel periodo estivo.

Esemplare di Arbacia lixula , o “Riccio maschio”, fotografato in ambiente naturale (© Andrea Bonifazi)

Il “Riccio femmina”, invece, presenta aculei di color violetto scuro, brunastri o verdi, un dermascheletro subcoconico di un omogeneo colore verde chiaro, ha un diametro di circa 7 cm e ha una piccola apertura orale; lo si può trovare fino ad 80 m di profondità su fondali rocciosi ricoperti di alghe, ma anche nelle praterie di Posidonia oceanica. Si riproduce primariamente da Aprile a Settembre, con picchi estivi.
Differenze morfologiche e necessità ecologiche molto marcate che evidenziano come queste due specie raramente siano osservabili in uno stesso ambiente, implicitamente mostrando come non si tratti di divergenze causate solo dal sesso.

Esemplare di Paracentrotus lividus, o “Riccio femmina”, fotografato in ambiente naturale (© Andrea Bonifazi)

Per quanto riguarda l’Italia, la pesca del “Riccio di mare” attualmente è regolata dal decreto ministeriale del 12 gennaio 1995. Tale normativa, varata dall’allora Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali on. Adriana Poli Bortone, stabilisce che:
– La pesca del riccio di mare è consentita a pescatori subacquei professionisti e sportivi, che possono effettuarla solo per immersione e manualmente, utilizzando attrezzi da raccolta limitati all’asta a specchio e al rastrello;
– Il pescatore professionista non può catturare giornalmente più di 1000 esemplari; al contrario, il limite giornaliero per il pescatore sportivo è fissato in 50 ricci;
– La taglia minima di cattura del riccio di mare è non inferiore a 7 cm di diametro totale compresi gli aculei.
Inoltre, dal primo Maggio e fino al 30 Giugno è in vigore il fermo biologico della pesca al riccio di mare (art. 4 del D.M. 12 gennaio 1995), periodo in cui è vietato pescare, detenere, trasbordare, sbarcare, trasportare e commercializzare tali Echinodermi in qualunque stadio di crescita, fattispecie severamente sanzionate dal D.lgs n° 4 del 9 gennaio 2012.

Differenti dermascheletro di ricci di mare: da sinistra Arbacia lixula,Paracentrotus lividus ed Echinocardium cordatum (© Andrea Bonifazi)

Il rischio sanzioni è elevato e forse sarebbe meglio limitarsi ad ammirare questi animali vivi nel loro ambiente naturale piuttosto che tagliarli a metà e mangiarli da vivi. D’altronde sono chiamati “frutti di mare”, ma non sono mele o pere che vanno colte dall’albero, sono stupendi animali molto importanti nell’equilibrio dei nostri sistemi costieri.

Andrea Bonifazi

Bibliografia

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