Se pensate che il multiculturalismo non funzioni, date un’occhiata in strada

22 Marzo 2014 - di Daniel Iversen

“Tolleranza passiva”. Ne avranno sentito parlare in pochi, ed è un peccato perché, da quanto si evince in 7 studi effettuati nell’arco di 10 anni, si tratta di un messaggio positivo che ci aiuta a superare alcuni preconcetti comuni sulla multiculturalità.

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Cos’è la tolleranza passiva?
Immaginate una classica via affollata di una grande città, come Londra, Milano, o Los Angeles: il giornalaio, il negozietto di alimentari all’angolo, il corriere, il postino, un gruppo di amici che ridono, bambini che giocano al parco, un coppia di innamorati che si abbraccia.

Questa è tolleranza passiva.

Non bisogna per forza esserne parte per avere dei benefici,  anche solo assistervi è sufficiente ad avere un impatto significativo sul vostro grado di apertura verso altre etnie e culture.

Si potrebbe paragonare all’effetto del fumo passivo con accezione positiva.

Un team di psicologi sociali dell’University of Oxford ha effettuato sette studi nell’arco di 10 anni, negli Stati Uniti, in Europa e in Sud Africa, pubblicati sulla rivista “The United States National Academy of Sciences“[1] in marzo 2014.

Gli studiosi Miles Hewstone e Katharina Schmid riferiscono di aver fatto molta attenzione nell’escludere la spiegazione più ovvia, ossia che i livelli più alti di tolleranza nei quartieri misti siano dovuti semplicemente a persone mediamente più tolleranti che hanno scelto di vivere in quelle zone delle città.

Per assicurarsi che non ci fosse quindi nessun “bias di selezione”, due degli studi sono stati condotti monitorando le stesse persone per più anni, mostrando dei significativi cambiamenti delle loro abitudinii.

Anche persone con pregiudizi hanno manifestato nel tempo un grado più elevato di tolleranza vivendo in un quartiere multietnico.

Un altro studio, condotto dallo stesso team di Oxford, il più grande finora svolto in Inghilterra sulla fiducia e la diversità, rinforza ancora di più il messaggio positivo.

Ai cittadini britannici venne chiesto se avvertivano le minoranze etniche come una minaccia per il proprio stile di vita, per la propria occupazione e per l’incremento del tasso di criminalità. Le stesse domande vennero poste alle persone appartenenti alle minoranze etniche.

E’ stato chiesto poi a entrambi i gruppi come si interagivano con le altre etnie in situazioni quotidiane, come al negozietto all’angolo o al bar, e gli sono state fatte poi delle domande sul grado di fiducia nel proprio e negli altri gruppi etnici del quartiere.

Dallo studio è emerso che il grado di diffidenza si accresce giorno dopo giorno tra le diverse comunità, ma il contatto diretto tende ad annullare questa tendenza.

Questi due studi messi insieme quindi, danno una lettura più ottimistica sull’impatto della diversità culturale nei quartieri urbani, rendendo probabilmente fuorvianti lavori come quelli di Putnam, secondo il quale per esempio, in sintesi, le persone hanno un ripiegamento sul privato e tendono a ridurre al minimo l’impegno in relazioni con gli altri, anche all’interno del proprio gruppo. Vivere in un quartiere misto aiuterebbe ad aprirsi, e non a chiudersi in questo modo . Le aree della città con il pregiudizio e la paura più pronunciati sono infatti spesso i quartieri esclusivamente “bianchi” o “mono-etnici”.

E’ molto importante che queste nuove evidenze prendano parte del dibattito politico.

[1] http://www.pnas.org/content/early/2014/02/26/1320901111.abstract?sid=869cf6c9-5145-417a-aae3-a93b175bcd1e