La fame è in grado di acuire le potenzialità cognitive

Fino a che punto il cibo può incidere sulle nostre capacità cognitivecapacità cerebrali? Il cervello può rinvigorirsi attraverso un regime alimentare differente dal nostro solito?

La ricerca, effettuata da un gruppo di ricercatori dell’istituto di neuroscienze del CNR di Pisa guidati da Lamberto Maffei, che prende il nome di “Food restriction enhances visual cortex plasticity in adolthhod”, porterebbe a pensare che un moderato ridimensionamento dell’apporto calorico giornaliero sia in grado di ringiovanire il cervello. Un incremento della plasticità celebrale, caratteristica riscontrabile in un sistema nervoso giovane, verrebbe incrementata negli animali adulti in seguito ad una riduzione del cibo somministratogli.

Maria Spolidoro, una scienziata che ha partecipato alla ricerca, afferma che un debole decremento delle calorie assunte durante l’arco di una giornata produce un significativo impatto sulla plasticità cerebrale, qualità che favorisce la capacità di memorizzare, apprendere e facilitare il recupero e la remissione da danni cerebrali di varia natura.

Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications e realizzato focalizzandosi in particolar modo sulla plasticità di cui sarebbe capace il sistema visivo. È stato utilizzato, allo scopo di studiare questo tipo di qualità del nostro sistema ottico, la così detta deprivazione monoculare che è una procedura che, se effettuata durante le prime fasi dello sviluppo postnatale, apporta modificazioni funzionali ed anatomiche per ciò che concerne la corteccia visiva primari binoculare. Questo tipo di deprivazione è un modello sperimentare per valutare l’ambliopia, ovvero la sindrome dell’occhio pigro, che è una delle patologia più diffuse per la vista. L’ambliopia colpisce da uno a quattro persone su cento della popolazione umana e può essere dovuta esclusivamente ad alterazioni delle capacità visive in età molto precoce; i tentativi di trattamento possono risultare inutili se apportati in età adulta. Nonostante ciò, lo studio effettuato dagli studiosi toscani ha portato all’evidenza come una restrizione calorica possa indurre modificazioni molecolari correlate ad un’elevazione della plasticità cerebrale ed ha permesso, così, di agire sulla patologia dell’occhio pigro anche su ratti già adulti.

Diverse specie animali hanno giovamento da una diminuzione del cibo assunto giornalmente partendo dai vermi, passando per i roditori per arrivare alle scimmie. Una ristretta diminuzione di apporto calorico può avere incredibili conseguenze sull’aspettativa di vita media.

L’aumento dell’aspettativa di vita sarebbe collegato inversamente al processo di invecchiamento con una minore incidenza di malattie cardiovascolari, diabetiche, ipertensive e neoplasiche, per ciò che riguarda la salute in senso generale, e con un rallentamento delle perdite cognitive ed una diminuzione dei deficit di memoria dovuti alla degenerazione dell’ippocampo, per ciò che concerne la salute cerebrale.

Lamberto Mattei commenta così: “l’indagine dimostra che la natura ha dotato gli esseri viventi di un potente mezzo di sopravvivenza: la ricerca del cibo, che spinge gli animali a esplorare l’ambiente circostante, e la fame, altro fenomeno adattativo in grado di acuire le potenzialità cognitive. Tuttavia, bisogna fare attenzione: una deprivazione di cibo eccessiva o prolungata può avere effetti diametralmente opposti, causando un grave stress all’organismo”.