Polo Nord più caldo durante il penultimo interglaciale? No, semmai più freddo

Scritto da:
Leonardo Debbia
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Con l’acronimo AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation) si indica la porzione di circolazione marina che interessa l’Oceano Atlantico. La componente superficiale di questo sistema di correnti è meglio conosciuta come Corrente del Golfo che, guidata da gradienti di temperatura e salinità diverse, è una componente importante del clima, almeno per quanto riguarda l’Oceano Atlantico settentrionale.

La Corrente del Golfo trasferisce infatti una quantità enorme di acqua temperata dal Golfo del Messico alle alte latitudini settentrionali, fino al Mare del Nord e alle regioni polari, mitigando notevolmente il clima di tutti i Paesi europei che si affacciano sulla sponda occidentale dell’Atlantico settentrionale e che vengono a contatto con il suo ramo ascendente, dalla Spagna alla Francia, alla Gran Bretagna, su su fino alla penisola scandinava.

Secondo gli studiosi del clima, la Piccola Era glaciale del 19° secolo in Europa sarebbe stato il risultato di una diminuzione di questo flusso di calore a seguito di un eccessivo rallentamento della Corrente del Golfo.

I modelli climatici attuali prevedono che il trasferimento di calore dal Nord Atlantico al Mar Glaciale Artico possa aumentare durante il 21° secolo. Una serie di processi interconnessi nel Nord Atlantico, noto come “amplificazione polare”, potrebbe portare, in un prossimo futuro, ad una condizione di maggior riscaldamento dell’Artico rispetto agli attuali valori.

L’amplificazione polare sarebbe in stretto rapporto con l’aumento del carbonio ora intrappolato nel permafrost delle regioni polari e subpolari, che verrebbe rilasciato nell’atmosfera in maggior quantità in seguito al riscaldamento globale ed allo scioglimento del permafrost.

Alcuni studiosi ritengono che si possa persino giungere ad una regione artica priva di ghiacci.

Precedenti ricostruzioni paleoclimatiche indicano che la regione sub-artica potrebbe già essere stata, in passato, più calda di circa 5°C, con una scarsa copertura di ghiaccio estivo, nel periodo chiamato Eemiano, il penultimo periodo interglaciale, datato 125mila anni fa.

I modelli climatici favorevoli a questa amplificazione polare utilizzano l’Eemiano come modello di riferimento per il paragone con le condizioni attuali.

Non tutti, però, si trovano d’accordo con questa ipotesi.

In un nuovo studio, Bauch et alii hanno ricostruito e confrontato le temperature del passato esaminando tracce d’acqua in due campioni di sedimenti che erano venuti a contatto con il flusso di acqua di fusione nell’area sub-polare e in quella polare nord-atlantica nel corso degli ultimi 135mila anni, compreso quindi l’Eemiano.

Ebbene, non è stata trovata alcuna prova di un aumento importante di calore nell’area sub-artica durante il periodo interglaciale dell’Eemiano.

In realtà l’Artico, secondo Bauch, durante questa fase interglaciale, potrebbe essere stato, al contrario, più freddo, a causa di un mutamento di temperatura nelle acque profonde.

Bauch ritiene che si sarebbe verificato un trasferimento inverso di calore dall’Artico verso il Nord Atlantico, probabilmente indotto da variazioni della salinità, accresciutasi maggiormente alle latitudini nord-atlantiche. Secondo questo modello, le acque provenienti dall’Artico, meno ricche in sali e quindi più leggere, sarebbero state così convogliate verso Sud.

Questa ipotesi era già stata avanzata nel 2010 in uno studio sulla distribuzione degli isotopi prodotti dal decadimento naturale dell’uranio nelle acque dell’Atlantico. L’indagine venne condotta da ricercatori dell’Università Autonoma di Barcellona e delle Università di Siviglia, Oxford e Cardiff, sotto la guida di Rainer Zahn, ricercatore ICREA, e Pere Masque, della stessa UAB.

In quello studio si concluse che nell’Atlantico, attorno ai 20 mila anni fa, la circolazione delle acque profonde era stata invertita nel momento in cui il clima delle regioni del Nord Atlantico era divenuto sostanzialmente più freddo e la convezione profonda si era indebolita. L’equilibrio di densità delle acque tra Nord e Sud Atlantico in quel periodo risultava spostato in modo che la convezione di acque profonde era più forte nella parte Sud rispetto all’Artico.

L’Artico, in sostanza, perdeva calore, si raffreddava. Sulla base dello studio attuale, anche gli autori tedeschi presuppongono un Artico più freddo e suggeriscono di usare con cautela l’Eemiano come modello di riferimento con cui confrontare l’attuale situazione.

Questa ipotesi sfida anche i modelli climatici che prevedono per il 21° secolo un aumento di calore sulla Terra e un Artico senza ghiaccio come conseguenza del riscaldamento atmosferico e il relativo effetto serra.

Leonardo Debbia
9 novembre 2012