Le statue dell’Isola di Pasqua continuano a raccontare…!
- Leonardo Debbia
- 30 Aprile 2013
- Ricerca & Scienza
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A 3000 chilometri a ovest delle coste sudamericane, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, si trova l’Isola di Pasqua, che i suoi abitanti chiamano Rapa Nui o anche Te Pitò, cioè l’”ombelico del mondo”. Se si considera la collocazione, non si può non convenirne.
Scoperta dall’ammiraglio olandese Jacob Roggeveen il giorno di Pasqua del 1722, circostanza che dette il nome all’isola, è celebre per le enormi teste in tufo vulcanico, testimonianze uniche al mondo di un’antica e sconosciuta civiltà.
Non sappiamo infatti assolutamente nulla su quale popolazione abbia eretto i giganteschi busti, i moai, sul loro significato e sulle tecniche di costruzione utilizzate. Finora sono state avanzate molte ipotesi, ma purtroppo, ad oggi, la conoscenza sul passato degli antichi pasquensi è ancora ignota.
La popolazione indigena, già scarsa al momento dei primi contatti con i coloni europei nel 1864, fu ben presto decimata dalle malattie, dallo schiavismo dei colonizzatori e dalla emigrazione volontaria.
I pochi indigeni trovati dai primi navigatori giunti sull’isola non conservavano alcun ricordo dei loro antenati, se non piccole sculture in pietra lavica dai tratti emaciati che testimonierebbero, secondo alcuni, lo stato di perenne denutrizione degli indigeni o, secondo altri, l’incarnazione degli antenati. In alcune grotte sono stati ritrovati anche bassorilievi con pitture e incisioni di figure umane con teste di uccello. Le raffigurazioni sono più tondeggianti nelle immagini femminili, mentre nelle immagini maschili il motivo costante è la scarna ossatura e le posizioni incurvate dei corpi.
Ma le opere più famose restano comunque gli enigmatici, enormi busti con i loro “petroglifi” incisi sulla roccia.
L’isola, che oggi appartiene al Cile, costituisce un’affascinante méta per turisti. Ma per gli studiosi il mistero delle colossali statue e degli antichi abitanti rimane, con le teorie – anche le più fantasiose e strampalate – avanzate da più parti.
Sul significato dei moai, l’ipotesi oggi più diffusa è quella di monumenti innalzati in onore degli antenati allo scopo di ottenere la loro protezione.
Tuttavia, gli interrogativi rimangono e gli studiosi continuano le loro ricerche.
Di recente, un team di archeologi dell’Università di Southampton ha utilizzato la più moderna tecnologia di “digital imaging” disponibile per esaminare una di queste statue, quella di Hoa Hakananai’a.
James Miles, Hembo Pagi e il Dott. Graeme Earl dell’Archaelogical Computing Research Group presso l’Università di Southampton, hanno collaborato con Mike Pitts, archeologo e direttore della British Archaeology, per esaminare la statua, che si trova nella Wellcome Trust Gallery del British Museum, a Londra.
Il Dottor Earl spiega: “La statua di Hoa Hakananai’a è stata raramente studiata con accuratezza dagli archeologi, ma lo sviluppo della tecnologia di digital imaging ha consentito ora di effettuarne uno studio senza precedenti”.
La statua Hoa Hakananai’a fu portata in Inghilterra nel 1869 dall’equipaggio della HMS Topaze. La tradizione vuole che sia stata scolpita attorno al 1200. Sull’isola ci sono circa mille sculture simili, ma Hoa Hakananai’a è di particolare interesse per le intricate incisioni che presenta sul retro.
E’ una credenza popolare che all’incirca verso il 1600 gli abitanti dell’isola di Pasqua si siano trovati a fronteggiare una rilevante crisi ecologica ed abbiano così cessato di adorare le loro statue sacre, che anzi vennero abbattute.
I Rapa Nui – come sono stati chiamati – si sarebbero convertiti ad una nuova religione, il culto dell’Uomo-uccello (Tangata, in lingua polinesiana), un essere con la testa di uccello dal lungo becco su un corpo di uomo.
Questo nuovo culto includeva un rituale basato sulla raccolta del primo uovo deposto da una specie di rondine di mare, la Sterna fuscata, durante la prima migrazione che compie ogni anno dal vicino isolotto di Motu Nui.
Il vincitore era colui che, mediante una sorta di gara di nuoto, riusciva a prendere l’uovo per primo e portarlo indenne sull’isola. A questi restava uno status di sacralità fino all’anno successivo.
Si ritiene che la statua di Hoa Hakananai’a abbia superato indenne questo cambiamento di credenze religiose per il fatto di essere stata collocata in un riparo di pietra e sia stata quindi scolpita con “petroglifi” o incisioni rupestri raffiguranti motivi legati al culto dell’Uomo-uccello.
In tal modo, il busto potrebbe essere interpretato anche come rappresentativo della transizione dal culto delle statue al culto dell’Uomo-uccello.
Il team dell’Università di Southampton ha esaminato Hoa Hakananai’a utilizzando due tecniche diverse: una è la modellazione fotogrammetrica che si è basata su centinaia di foto riprese da diverse angolazioni per produrre un modello computerizzato della statua, che può ruotare di 360°; l’altra, chiamata Reflectance Transformation Imaging, è un processo che permette ad una sorgente di luce virtuale di essere movimentata lungo la superficie dell’immagine digitale della statua, sfruttando le differenze tra luci ed ombre per evidenziare dettagli mai visti prima.
Usando queste tecniche, Mike Pitts e il suo team hanno fatto alcune scoperte affascinanti, di cui forse la più significativa è la scoperta e il riconoscimento, apparentemente semplice, di un uccello che compare inciso con il becco corto e rotondo anzichè lungo e appuntito, come sopra descritto.
L’esame ha consentito di identificare le due figure di Uomo-uccello incise sul retro, distinguendole in una maschile e l’altra femminile, smontando quindi la leggenda che narrava del culto sull’Isola di Pasqua di un unico Uomo-uccello.
I due studiosi hanno anche osservato che la statua è una delle poche dell’isola a non essere stata sistemata su un basamento vicino alla spiaggia. Ora si ritiene che sia sempre rimasta nel luogo dove è stata trovata, in cima ad una rupe di 300 metri.
Mike Pitts commenta: “L’esame della base suggerisce che piuttosto che essere il risultato di una levigazione, di un adattamento per farla entrare in una buca, come è stato spesso ipotizzato, è più probabile che si tratti di una parte del masso originale, dello sperone roccioso in cui era stata scolpita. Questo può anche spiegare la posizione in cui noi oggi la vediamo al British Museum; una posizione in cui sembra pendere leggermente verso sinistra, risultato del fatto di essere stata collocata in un modo non propriamente corretto sulla sua base nel 19° secolo, forse durante il trasporto”.
Con la tecnica di digital imaging si sono potute fare le svariate osservazioni a seguito elencate:
a) Piccoli disegni che rappresentano i genitali femminili, noti come komari, compaiono scolpiti sulla parte posteriore della testa, forse mentre questa era per metà sepolta da terreno e detriti;
b) l’intera parte posteriore della statua è stata ricoperta in un secondo tempo da una scena che mostra un pulcino maschio nell’atto di lasciare il nido, mentre è assistito dai genitori, che appaiono per metà uccelli e per metà uomini: una chiara rappresentazione figurativa della cerimonia dell’Uomo-uccello, riportata nei racconti del 19° e degli inizi del 20° secolo;
c) la figura dell’Uomo-uccello di destra della scena descritta ha un becco di forma tondeggiante che può essere interpretato come un segno di genere femminile, a conferma che le due figure sono i genitori, il maschio e la femmina, del pulcino;
d) la figura femminile dell’Uomo-uccello si trova in corrispondenza del komari sull’orecchio destro della statua, mentre il maschio a sinistra è rappresentato sull’orecchio sinistro da una pagaia, simbolo d’autorità maschile;
e) una forma arrotondata vicino alla parte inferiore dell’Uomo-uccello a destra indica probabilmente l’uovo da cui è uscito il pulcino.
Si spera che l’esame di imaging effettuato dall’Archaelogical Computing Research Group dell’Università di Southampton possa sollevare un nuovo interesse sul significato delle incisioni della statua Hoa Hakananai’a in mostra al British Museum, che è visitato da circa sei milioni di persone all’anno.
Leonardo Debbia
30 aprile 2013