Faglia Tiberina e sistema estensionale Umbro-Marchigiano

Nella regione umbro-marchigiana la tettonica estensionale pliocenico-quaternaria trova la sua espressione geologica nella presenza di bacini continentali, allungati in direzione appenninica e bordati da faglie normali (fig. 1). In Umbria il più esteso è il Bacino Tiberino, il cui ramo principale, con una continuità assiale di oltre 100 km, comprende la Val Tiberina, tra San Sepolcro e Perugia, e la Val Umbra che prosegue verso SE fino a Spoleto. Ai bordi di tale depressione affiorano depositi del Pliocene inferiore per la zona settentrionale (Cattuto e al., 1995) e Pliocene superiore per la zona di Spoleto (Ambrosetti e al., 1995).

Figura 1 - Schema strutturale dell’Appennino Umbro (modificato da: BARCHI e al., 1999b); 1) Bacini neo-autoctoni pliocenico-quaternari; a) Gubbio; b) Gualdo Tadino; c) Colfiorito; d) Norcia; e) Cascia; f) Castelluccio; 2) Faglie dirette; 3) Sovrascorrimenti e faglie inverse; 4) Traccia della sezioni sismica-geologica riportata in figura 2.TF = Faglia Tiberina
Figura 1 – Schema strutturale dell’Appennino Umbro (modificato da: BARCHI e al., 1999b); 1) Bacini neo-autoctoni pliocenico-quaternari; a) Gubbio; b) Gualdo Tadino; c) Colfiorito; d) Norcia; e) Cascia; f) Castelluccio; 2) Faglie dirette; 3) Sovrascorrimenti e faglie inverse; 4) Traccia della sezioni sismica-geologica riportata in figura 2.TF = Faglia Tiberina

A sud di Perugia, la dorsale dei Monti Martani divide il bacino della Valle Umbra da quello della media Valle del Tevere, che rappresenta il ramo occidentale del Bacino Tiberino. I depositi che affioranti in questo ramo sono stati datati al Pliocene medio (Basilici, 1997).

Ad est del Bacino Tiberino sono presenti numerosi bacini minori descritti in letteratura come “conche intermontane”. Tra i più importanti ci sono quello di Gubbio, Gualdo Tadino, Colfiorito, Norcia, Cascia e Castelluccio (fig. 1).

Figura 2 – Sezioni sismotettoniche attraverso le aree di Gubbio (A), Colfiorito (B) e Norcia con ipocentri delle rispettive sequenze sismiche. Le principali strutture sismogenetiche: TF = Faglia Tiberina; GF = Faglia di Gubbio; CF = Faglia di Colfiorito; NPF = Faglia Nottoria-Preci. (Modificato da: LAVECCHIA e al., 2002).
Figura 2 – Sezioni sismotettoniche attraverso le aree di Gubbio (A), Colfiorito (B) e Norcia con ipocentri delle rispettive sequenze sismiche. Le principali strutture sismogenetiche: TF = Faglia Tiberina; GF = Faglia di Gubbio; CF = Faglia di Colfiorito; NPF = Faglia Nottoria-Preci. (Modificato da: LAVECCHIA e al., 2002).

Il Bacino della Val Tiberina e la Valle Umbra sono bordate ad ovest, da un’importante faglia diretta, con direzione NNW-SSE e immergente verso ENE, che giunge al di sotto della catena appenninica fino almeno alla profondità di 12 km (figg. 2 e 3). In letteratura è denominata come faglia Tiberina (Pialli e al., 1998; Barchi e al., 1999a; 1999b; Lavecchia e al., 1999) e rappresenta una master fault di un sistema estensionale di importanza regionale, individuata mediante i profili di sismica a riflessione, il CROP03 (Barchi e al., 1998).

Anche i bacini minori sono bordati da faglie dirette parallele alla faglia Tiberina e con immersione opposta. Esempi sono la faglia di Gubbio (Barchi e al., 1999a; 1999b; Bussolotto e al., 2005; Menichetti, 2005), quella di Colfiorito, e la Nottoria-Preci che borda ad est il Bacino di Norcia.

Gli studi sismotettonici di dettaglio (Boncio e al., 1998) hanno stabilito delle relazioni geometriche tra le faglie bordiere principali, ritenute tuttora attive, e la sismicità dell’area Umbro-Marchigiana(fig. 2), come quella di Gubbio (Haessler e al., 1988; Menichetti, Minelli, 1991), testimoniata anche dallo sciame sismico  del Dicembre 2013 (Balocchi e al., 2014).

Figura 3 – Blocco 3D del modello sismotettonico dell'Appennino Umbro-Marchigiano. In celeste viene rappresentato il blocco attivo al tetto della Faglia Altotiberina all'interno del quale si distribuisce in prevalenza la simicità. In bianco viene rappresentato il blocco asismico. In verde sono rappresentate le aree in sezione con maggiore microsismicità. In rosso soro rappresentate le aree sorgente dei maggiori terremoti. La freccia epsilon 3 indica il verso di allontanamento del blocco di tetto sismicamente e tettonicamente attivo. (Da: LAVECCHIA e al., 1999)
Figura 3 – Blocco 3D del modello sismotettonico dell’Appennino Umbro-Marchigiano. In celeste viene rappresentato il blocco attivo al tetto della Faglia Altotiberina all’interno del quale si distribuisce in prevalenza la simicità. In bianco viene rappresentato il blocco asismico. In verde sono rappresentate le aree in sezione con maggiore microsismicità. In rosso soro rappresentate le aree sorgente dei maggiori terremoti. La freccia epsilon 3 indica il verso di allontanamento del blocco di tetto sismicamente e tettonicamente attivo. (Da: LAVECCHIA e al., 1999)

Anche il campo di sforzi, ricavato dai meccanismi focali dei principali terremoti, è coerente con i dati mesostrutturali rilevati lungo i piani di faglia, che mostrano una estensionale con una direzione di massima tensione orientata ENE-WSW (Boncio e al., 1998; Balocchi e al., 2014).

L’analisi della sismicità strumentale e storica dell’Appennino Umbro-Marchigiano, evidenzia come la distribuzione dei terremoti sia sostanzialmente controllata dalla geometria della faglia Tiberina e delle strutture secondarie ed antitetiche ad essa associate.

La faglia Tiberina (fig. 3) delimita il blocco crostale di tetto rappresentato dal settore orientale di catena appenninica con maggiore sismicità, dal blocco di letto rappresentato dal settore toscano che sismicamente è pressoché asismico e stabile (Boncio e al., 1998). Analizzando le sequenze sismiche degli eventi di Colfiorito 1997, Norcia e quelli di Gubbio del 1984 (Boncio e al., 1998; 1999; Haessler e al., 1988) è possibile notare come la sismicità segue la geometria del piano di faglia delle strutture antitetiche che bordano il lato orientale dei bacini intermontani (fig. 2). Tale sismicità si distribuisce in profondità sino all’intersezione con il piano della faglia Tiberina (Boncio e al., 1998; 1999; Lavecchia e al., 1999; Lavecchia e al., 2002; Balocchi e al., 2014).

I movimenti crostali rilevati dai dati GPS, suggeriscono che la faglia Tiberina può accomodare la deformazione attraverso processi di creep asismico, alle profondità superiori ai 4 km (Hreinsdottir e al., 2009; Rick e al., 2014), con un tasso di scivolamento di circa 2 mm/a. Le faglie antitetiche (fig. 3) mostrano una sismicità con M>3 e con eventi anche forti (M>5). Questi movimenti lenti della faglia Tiberina formano una microsismicità (generalmente M<3), che con il tempo porta alla destabilizzazione del blocco crostale di tetto. A questo punto si ha la riattivazione delle faglie antitetiche secondarie (come la faglia di Gubbio, Gualdo Tadino, Colfiorito, Notoria-Preci), producendo una sismicità che può arrivare a magnitudo più elevata (Balocchi e al., 2014; Rick e al., 2014).

Figura 4 - Modello tettonico dell’area Val Tiberina-Umbra (modificato da: Mantovani e al., 2009; Balocchi e al., 2014) . Legenda: 1) Crosta superiore; 2) Crosta inferiore; 3) Copertura sedimentaria. 4) Cuneo di estrusione (extruding wedge); 5) depositi quaternari dei bacini intramontani; 6) Faglie inverse e di sovrascorrimento recenti; 7) Faglie inverse e di sovrascorrimento antiche; 8) Faglie dirette recenti: Faglia Tiberina (TF); Bacini intermontani minori: Gubbio, Colfiorito, Gualdo Tadino e Norcia.
Figura 4 – Modello tettonico dell’area Val Tiberina-Umbra (modificato da: Mantovani e al., 2009; Balocchi e al., 2014) . Legenda: 1) Crosta superiore; 2) Crosta inferiore; 3) Copertura sedimentaria. 4) Cuneo di estrusione (extruding wedge); 5) depositi quaternari dei bacini intramontani; 6) Faglie inverse e di sovrascorrimento recenti; 7) Faglie inverse e di sovrascorrimento antiche; 8) Faglie dirette recenti: Faglia Tiberina (TF); Bacini intermontani minori: Gubbio, Colfiorito, Gualdo Tadino e Norcia.

Il modello tettonico (fig. 4) più appropriato è quello del cuneo di estrusione (extruding wedge)(Mantovani e al., 2009; Balocchi e al., 2014), dove la faglia Tiberina con piano di taglio immergente a ENE, si estende in profondità al di sotto della catena appenninica (figg. 2 e 3).

L’arretramento  della  subduzione  per  roll-back,  determina  l’instaurarsi  di  un  regime distensivo  dell’area  Umbro-Marchigiana, con  direzione  NE-SW  (fig.  4). Tale  regime  tettonico  porta il blocco di tetto della  faglia  Tiberina  a muoversi per creep in direzione nord-est, ed eventualmente all’attivazione successiva delle faglie secondarie antitetiche come la  faglia  di  Gubbio, Colfiorito e la Notoria-Preci,  le  quali  giocano  un  ruolo  di  svincolo  cinematico,  accomodando  la deformazione tettonica tra i diversi blocchi.

Ringrazio Emanuele Maiorana e Matteo Autuori, appassionati di terremoti e geologia, per il confronto e lo scambio di opinioni sulla sequenza sismica di Gubbio del 2014.

Paolo Balocchi

Bibliografia

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Il terremoto del 25 aprile 2015 in Nepal

Figura 1 – Localizzazione dell’evento principale del 25 Aprile 2015 (stella rossa) e gli eventi storici più significativi. La linea con i triangoli rappresenta il sovrascorrimento frontale. La traccia della sezione a-a’ viene descritta in figura 2.
Figura 1 – Localizzazione dell’evento principale del 25 Aprile 2015 (stella rossa) e gli eventi storici più significativi. La linea con i triangoli rappresenta il sovrascorrimento frontale. La traccia della sezione a-a’ viene descritta in figura 2.

Il terremoto del 25 Aprile 2015 di magnitudo M 7.8 si è verificato in una delle regioni più sismiche della terra. L’elevato tasso di sismicità e forti terremoti sono causati principalmente dalla spinta frontale tra la placca indiana in subduzione verso nord e la placca euro-asiatica (figg. 1 e 2).

L’epicentro del terremoto è stato localizzato a circa 50 km a nord-ovest della capitale nepalese Kathmandu, dove le placche indiana ed euro-asiatica stanno convergendo ad una velocità media di 40-50 mm/anno, guidando il sollevamento della catena montuosa dell’Himalaya. Il meccanismo focale del terremoto è compatibile con una cinematica compressiva circa NNE-SSW e coerente con la collisione tra la placca Indiana ed euro-asiatica (Cina).

Esempi di terremoti significativi, in questa regione densamente popolata sono anche quelli del 1934 di M8.0 (Bihar), del 1905 di M7.5 (Kangra) e i terremoti M7.6 del Kashmir del 2005.

Figura 2 – Sezione localizzata lungo la traccia a-a’ in figura 1. Ipocentri della sequanza sismica e i due eventi di M 7.8 e M 6.7, localizzati entrambi sulla faglia suborizzontale che raccorda il thrust frontale (MFT) e altre faglie.
Figura 2 – Sezione localizzata lungo la traccia a-a’ in figura 1. Ipocentri della sequanza sismica e i due eventi di M 7.8 e M 6.7, localizzati entrambi sulla faglia suborizzontale che raccorda il thrust frontale (MFT) e altre faglie.

E’ noto che i terremoti della fascia pedemontana dell’Himalaya sono dovuti al movimento della placca indiana verso nord-est, iniziato decine di milioni di anni fa (fig. 3a). Dopo che l’oceano che separava la placca indiana e quella euro-asiatica è scomparso al di sotto della seconda (un processo noto come subduzione) con la conseguente formazione della catena himalayana, le due placche continentali si sono scontrate e oggi continuano a fronteggiarsi. Oggi la placca indiana si muove verso nord a una velocità di 40-50 mm/anno infilandosi sotto la catena montuosa e contribuendo così al suo innalzamento. Il movimento geologico è lento ma la deformazione che si accumula anno dopo anno lungo le faglie che bordano la catena montuosa viene rilasciato a scatti, quando la resistenza delle faglie stesse viene superata. Ogni scatto è un terremoto. Fortunatamente questo sistema di faglie, lungo circa 2000 chilometri, è segmentato: ciò comporta che esso si attivi generalmente per tratti estesi da qualche decina a qualche centinaio di chilometri, corrispondenti a terremoti di magnitudo tra 7.5 e 8.5 circa. Il modello tettonico è quello dell’indentatura, il movimento con il quale la placca indiana si scontra con quella euro-asiatica, portando ad una intensa deformazione di quest’ultima e al conseguente innalzamento della catena himalayana e all’estrusione di un’ampia area orientale, formata dalla Cina e Indonesia (fig.3b).

Figura 3 – a) Schema paleogeografico del movimento della placca indiana verso NE; b) Modello della collisione tra placca indiana ed euro-asiatica (1) con la deformazione del Nepal e Tibet. Lo scontro porta all’estrusione dell’area della Cina orientale (2) e dell’Indonesia (3).
Figura 3 – a) Schema paleogeografico del movimento della placca indiana verso NE; b) Modello della collisione tra placca indiana ed euro-asiatica (1) con la deformazione del Nepal e Tibet. Lo scontro porta all’estrusione dell’area della Cina orientale (2) e dell’Indonesia (3).

Per il terremoto del 25 aprile, l’U.S. Geological Survey (USGS) ha stimato che la faglia si estende parallelamente al fronte della catena per oltre 150 km, principalmente dall’epicentro verso sud-est (figg. 2 e 4). La zona con lo spostamento più significativo si estende per circa 100 km verso SE, rispetto all’epicentro dell’evento principale. Guardando il meccanismo focale si nota che l’inclinazione di questo piano di faglia è molto bassa, circa 10° verso nord-est.

Figura 4 – Struttura sismogenetica che ha generato il terremoto di M 7.8 (stella rossa); con la scala colorata è indicato lo scivolamento (slip in metri) e le frecce rosse indicano i vettori di velocità; isolinee a tratto indicano la propagazione del fronte della faglia in secondi.
Figura 4 – Struttura sismogenetica che ha generato il terremoto di M 7.8 (stella rossa); con la scala colorata è indicato lo scivolamento (slip in metri) e le frecce rosse indicano i vettori di velocità; isolinee a tratto indicano la propagazione del fronte della faglia in secondi.

Dai dati interferometrici, ricavati analizzando le immagini radar provenienti dai satelliti SAR, è stato possibile determinare la deformazione del suolo causata dal terremoto di M 7.8 (deformazione co-sismica). La “frangia di interferenza” mostrata nell’interferometria (fig. 5), è un insieme di misure confrontabili alle curve di livello che nelle normali mappe sono utilizzate per rappresentare l’altitudine. Nella zona attorno a Kathmandu si sono individuate più di una trentina di queste curve, ognuna delle quali indica una deformazione del suolo di circa tre centimetri. Sommando quindi queste singole frange di spostamento si ottiene una misura complessiva di circa 1 metro di sollevamento nell’area prossima alla capitale. Dal modello della deformazione verticale (fig. 6), è possibile evidenziare come l’area a nord della capitale, rappresentato dalla catena himalayana abbia subito un abbassamento a causa del rilassamento crostale post-sismico. Inoltre in accordo ai dati di deformazione, si è registrato uno spostamento orizzontale verso sud dell’area di Kathmandu di circa 2 metri.

Figura 5 – Interferometria ricavata da immagini satellitari dove sono mostrate le frange interferometriche.
Figura 5 – Interferometria ricavata da immagini satellitari dove sono mostrate le frange interferometriche.
Figura 6 – Modello della deformazione verticale. Con colori azzurro-blu sono indicati le aree in sollevamento (valori negativi) mentre con colori giallo-rossi le aree in abbassamento (valori positivi); in verde le aree non deformate verticalmente.
Figura 6 – Modello della deformazione verticale. Con colori azzurro-blu sono indicati le aree in sollevamento (valori negativi) mentre con colori giallo-rossi le aree in abbassamento (valori positivi); in verde le aree non deformate verticalmente.

Paolo Balocchi

Bibliografia

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Paolo Balocchi   Geologo, GeoResearch Center Italy – sito Internet: www.georcit.blogspot.com; e-mail: georcit@gmail.com