Una proteina virale contro la degenerazione del Parkinson

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Redazione
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Direttamente dall’Università di Cambridge (Gran Bretagna) arriva una nuova terapia per contrastare gli effetti del Parkinson. Il trattamento si basa su una proteina virale soprannominata Beta 2.7 che gioca un ruolo chiave a favore dei mitocondri contrastandone la degenerazione.

La ricerca, guidata da John Sinclair e Roger Barker, è stata pubblicata sul Journal of Experimental Medicine.

Il morbo di Parkiinson si sviluppa in seguito ad una diminuzione, all’interno del sistema nervoso, della concentrazione di dopamina soprattutto quando, quest’ultima, viene a mancare nell’area conosciuta come “sostanza nigra”. In quest’area la respirazione cellulare, il processo in grado di garantire l’energia alla cellula mediante una molecola di ATP, e quindi i mitocondri stessi, gli organelli cellulari che svolgono il processo soprannominato “respirazione cellulare”, sono sottoposti ad un processo degenerativo.

Questo processo, che si ripercuote sui mitocondri, ha origine dall’insufficente produzione di dopamina che, rapidamente, porta ad un decorso degli organelli noto come “degenerazione dei mitocondri”. Secondo quanto asserito dalla ricerca questo tipo di decorso potrebbe essere fermato attraverso una specifica proteina ottenuta da un virus: la Beta 2.7.

Lo studio è stato effettuato iniettando la proteina di origine virale “Beta 2.7” in topi aventi delle malattie molto simili. Già nota per le sue funzioni protettive nei confronti dei mitocondri, la proteina Beta 2.7, ha sin da subito dato prova di interessanti risultati. I topi, dopo il trattamento, dimostravano nette migliorie nelle funzioni motorie e, all’interno del loro cervello, era presente una quantità maggiore di neuroni dopaminergici.

Il professore dell’ateneo a capo della ricerca, il Dr. Sinclair, ha annunciato. “I risultati ottenuti con i topi hanno dimostrato la validità della ricerca e, sicuramente, ne incoraggiano il suo futuro. Sarà in ogni caso di vitale importanza raffinare e migliorare la terapia prima di poterla realmente testare su pazienti umani. Ancora indefinito, è per esempio, la quantità espressa in termini di dosaggio e frequenza della quale un paziente dovrebbe fare uso .”

Il Dr. Barker ha sottolineato l’importanza dei vantaggi che, la nuova terapia, potrebbe apportare rispetto ai trattamenti attualmente in uso. “La terapia potrà, molto probabilmente, essere iniettata in forma endovenosa con una semplice puntura, ad esempio, nel braccio del paziente. Questo, oltre che semplificare il processo rispetto alle terapie attuali che richiedono invece un iniezione nel cervello, sembra non provocare alcuna reazione immunitaria svantaggio fino ad ora presentato dalle terapie attuali. Infine, ma non per ultimo, la dose sembra dirigersi esclusivamente nel cervello senza raggiungere altre parti.”