È possibile ricordare meglio e vivere più felici con i funghi allucinogeni?

Scritto da:
Antonella Tramacere
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1 minuto

Taumazein era la parola usata nell’antica grecia per indicare lo stupore. Esperienza importantissima secondo alcuni pensatori, perchè proprio da essa prendeva vita la pulsione e la ricerca della  verità  che ha dato avvio alla filosofia, intesa in questo caso nella sua accezione orginale e letterale di amore per la conoscenza.

Il valore positivo dello stupore genuino nei confronti dei fenomeni della natura è stato spesso sostenuto, non solo nella culla della cività occidentale, ma anche in altre etnie (ad esempio i Maya, gli Inca, gli Aztechi, molte popolazioni asiatiche, gli sciamani tutti e alcune popolazioni dell’attuale Messico), per cui anche attraverso riti e assunzioni di sostanze psicoattive, si poteva raggiungere lo stato di benessere correlato all’intuizione di una verità superiore

Questa posizione sembra oggi ritornare alla ribalta con gli studi di un gruppo di ricercatori inglesi sugli effetti della psiloocibina, la sostanza psicoattiva presente nei funghi allucinogeni, appartenenti alla famiglia delle Strophariaceae.

I consumatori dei funghetti magici, abituali o meno, informati o meno dei segreti svelati da testi cult sull’argomento, come Le porte della percezione di Aldous Huxley, lo hanno sempre saputo e sostenuto: la psilocibina è in grado di portare ad uno stato di soddisfazione di sè, di felicità e apprezzamento per il mondo circostante e di consapevolezza del proprio ruolo all’interno della natura, tali da lasciare un segno positivo per il resto dell’esistenza.

Certo il rischio di bad trip, letteralmente di viaggio cattivo, paranoico e spaventoso è sempre in agguato, ma i consumatori di funghetti o del corrispondente sintetico Lsd, non se ne sono mai preoccupati, affermando che in tutto c’è un possibile risvolto negativo o un pericolo, l’importante è non averne timore e non esagerarne le conseguenze.

Comunque, gli autori dello studio si sono concentrati sugli effetti ansiolitici e antidepressivi della psilocibina, che hanno confermato una disattivazione di centri nervosi deputati al controllo del Default Mode Network, il dispositivo di connessione tra diverse aree cerebrali che si occupa di dirci chi siamo e che tipo di approccio abbiamo alla realtà, per capirci, quali sono i nostri valori, le ambizioni, il modo di provare emozioni, etc.

Non è però solo sugli effetti antidepressivi di tale sostanza che i ricercatori hanno indagato, anche perchè gli studi in questo senso sono ormai confermati da diverse equipe di studiosi, sebbene a causa dei pregiudizi legati all’approccio proibizionista ed economicamente ambiguo (per ciò che riguarda gli interessi delle multinazionali farmaceutiche) dei governi europei, le terapie contenenti i principi dei funghi allucinogeni non siano disponibili ai pazienti affetti da disturbi depressivi.

La novità sembra riguardare il fatto che la psilocibina abbia un effetto opposto a quello che si pensava in precendenza, cioè invece di aumentare l’attività cerebrale, la riduce, aiutando lo storaggio delle informazioni e avendo quindi positivi riscontri sulle attività mnemoniche del cervello.

Che i funghi allucinogeni siano un possibile ausilo per la memoria sembra proprio un fatto sconcertante, forse anche per gli hippie che di queste piante ne hanno sempre cantato le lodi, ma i ricercatori dell’Imperial College di Londra non hanno dubbi e anzi, il coordinatore dello studio David Nutt ha affermato “quando si ottiene esattamente l’opposto di quello che si prevedeva, sai che è un risultato giusto, perché non c’è parzialità”.

Molti scienziati nutrono diversi dubbi su quest’ultimo punto e certamente ci sarà modo di verificarne la plausibilità.

Quello che però vogliono sottlineare i ricercatori di questo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences e sul British Journal of Psychiatry, è che l’elevata capacità terapeutica della psilocibina potrebbe essere efficacemente utilizzata per, seguendo la suggestiva metafora di Nutt, aprire la porta davanti al paziente e fargli comprendere che non c’è soltanto un modo di essere.

Antonella Tramacere