Anidride carbonica in eccesso? L’esperienza del riccio di mare

Scritto da:
Leonardo Debbia
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ricci-di-mareOgni anno le attività antropiche producono 33,4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, una quantità enorme, il 45% della quale rimane nell’atmosfera, costituendo la causa principale dell’aumento della temperatura media terrestre.

Per arginare il riscaldamento globale gli obbiettivi da porsi sono essenzialmente due: si deve drasticamente diminuire l’immissione di CO2 nell’atmosfera e, al tempo stesso, cercare di rimuovere la quantità di CO2 in eccesso.

Se il primo obbiettivo è chiaro per tutti i Paesi, industrializzati e non, ma sembra rimanere niente più che una buona intenzione, priva in realtà di una volontà di interventi decisivi, il secondo obbiettivo appare invece aver indotto, in questi ultimi anni, a produrre qualche tentativo di soluzione.

E’ notizia di questi giorni che un team di ricercatori britannici dell’Università di Newcastle, condotto da Lidjia Siller, esperta in nano-tecnologie, ha scoperto che in presenza di nichel, che agisce da catalizzatore, l’anidride carbonica può di fatto essere rimossa e trasformata con il processo chimico che produce carbonato di calcio.

Sembrerebbe trattarsi, a prima vista, dell’uovo di Colombo.

In passato, infatti, le enormi quantità di CO2 presenti nell’atmosfera furono rimosse attraverso processi chimici che vedevano coinvolti gli ioni calcio e magnesio disciolti nelle acque marine: la reazione con questi ioni produceva carbonati. Il carbonato di calcio è un costituente della crosta terrestre nella misura del 4% ed è , talvolta il componente essenziale di organismi marini (gusci, valve, chele di crostacei) e terrestri.

I tempi di reazione erano però lunghissimi, dell’ordine di migliaia di anni. E’ attraverso questi processi che si sono avuti, ad esempio, imponenti accumuli di calcite come le scogliere di Dover.

 Echinoidi, comunemente noti come “ricci di mare” (da Wikipedia). In basso, immagine 3, il Paracentrotus lividus
Echinoidi, comunemente noti come “ricci di mare” (da Wikipedia). In basso, immagine 3, il Paracentrotus lividus

Il problema fondamentale è quindi il tempo di reazione.

Gli Echinodermi (e i ricci di mare, in proposito) è proprio quello di cui hanno bisogno per costruire il loro guscio e produrre le loro spine.

La ricerca ha visto coinvolti proprio questi organismi.

I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Catalysis Science and Technology e potrebbero rivoluzionare le tecnologie, molto costose, del “Carbon capture and storage” (Ccs), già proposte per intrappolare la quantità eccessiva di CO2 atmosferica.

Lidija Siller spiega che la scoperta è avvenuta per caso.

“Stavamo studiando in dettaglio la produzione di acido carbonico, risultato della reazione di anidride carbonica con acqua e avevamo bisogno di un catalizzatore per accelerare il processo.   Stavo osservando il modo in cui il riccio di mare converte la CO2 per suo uso e consumo e come stesse assorbendo la quantità necessaria per lo sviluppo del suo scheletro. Analizzando e studiando le larve del riccio, abbiamo trovato sugli esoscheletri una grande concentrazione di nichel. Prelevando nano-particelle di nichel le abbiamo aggiunte alle nostre prove sull’acido carbonico e come risultato si è avuta il completo assorbimento dell’anidride carbonica”.

I ricci di mare potrebbero quindi costituire una valida alternativa all’attuale tecnologia dei sistemi Ccs: anziché stoccarla in qualche sito, da cui potrebbe in seguito fuoriuscire, i vantaggi della sua reazione con il calcio o il carbonato di magnesio sarebbero palesi.

Paracentrotus lividus
Paracentrotus lividus

“Un modo per procedere su questa strada è quello di utilizzare un enzima, l’anidrasi carbonica”, afferma Gaurav Bhaduri, ricercatore alla “School of chemical engineering and advanced materials” di Newcastle e co-autore della ricerca. “Tuttavia, l’enzima è inattivo in ambiente acido e dato che uno dei sottoprodotti di questo processo è l’acido carbonico, l’effetto dell’enzima richiede tempi rapidi, dopo cui perde di efficacia. Il vantaggio di un catalizzatore come il nichel è indipendente dal pH dell’ambiente e, in virtù delle sue proprietà magnetiche, può essere utilizzato più volte. Ha costi mille volte inferiori all’enzima e il vantaggio per le centrali elettriche, le industrie chimiche e tutte quelle che comunque immettono anidride carbonica nell’atmosfera è enorme ed indiscutibile”.

Il processo studiato dai ricercatori di Newcastle avviene, invece, facendo passare i gas di scarico attraverso condotte o ciminiere in cui siano stati predisposti filtri a nano-particelle di nichel. Attraverso il filtraggio, si recupera poi il carbonato di calcio che precipita sul fondo.

“Si tratta di un sistema semplice”, assicura la Siller. “Facendo passare acqua ricca in CO2 attraverso nano-particelle di nichel, queste intrappolano molto più carbonio di quanto normalmente avviene, dando quindi luogo alla formazione di carbonato di calcio”.

Il processo chimico così “accelerato” è stato brevettato ed è ora in attesa di un finanziamento per l’applicazione.

Leonardo Debbia
16 febbraio 2013