I pazienti in stato vegetativo riescono a prestare attenzione

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Redazione
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Un nuovo studio rivela che un paziente in uno stato apparentemente vegetativo, incapace di muoversi e di parlare, ha mostrato segni di consapevolezza ed attenzione mai riscontrati prima.

In questa scansione si evidenzia l'attività di un paziente in stato vegetativo quando richiamati da parole designate e da parole irrilevanti dalla lettura di romanzi.
In questa scansione si evidenzia l’attività celebrale elettrica di un paziente in stato vegetativo quando richiamati da parole designate (sinistra) e da parole casuali ed irrilevanti prese dalla lettura di un romanzo.

Se si riuscisse a sviluppare questa abilità in modo specifico per alcuni pazienti vegetativi, in futuro si potrebbero mettere a punto dispositivi specializzati per consentire loro di interagire con il mondo esterno.

I ricercatori hanno usato l’elettroencefalografia – una tecnica che misura in modo non invasivo l’attività elettrica del cuoio capelluto – per testare 21 pazienti diagnosticati in stato vegetativo o di minima coscienza, e 8 volontari sani.
I partecipanti hanno ascoltato una serie di parole diverse, riprodotte ogni secondo per 90 secondi, ai quali gli esperti avevano poi detto di contare quante volte le parola “” e “no” erano presenti in quel flusso ascoltato.
L’esperimento è stato ripetuto più volte nell’arco di 30 minuti, ed il risultato è stato che uno dei pazienti in stato vegetativo è stato in grado di filtrare le informazioni irrilevanti e focalizzarsi sulle parole a cui bisognava prestare attenzione, riuscendo a concentrarsi sulle parole segnalate dagli sperimentatori così come riuscivano a fare gli individui sani.

Anche altri tre pazienti in stato di minima coscienza hanno reagito positivamente agli stimoli sonori, il che suggerisce che alcuni individui in questa condizione potrebbero essere in grado di dirigere la propria attenzione verso i suoni del mondo che li circonda e di interagire con questo tramite comandi provenienti direttamente dal cervello e grazie all’ausilio di macchinari specifici.

I risultati della ricerca, eseguita dagli scienziati del Medical Research Council Cognition and Brain Science Unit con l’Università di Cambridge, sono stati pubblicati il 31 Ottobre sulla rivista Neuroimage: Clinica.

Redazione
12 novembre 2013