L’Expo 2015 e la Carta di Milano

Si sono già spese spese tante parole a proposito dell’Expo di Milano, sia a favore che contro. È però un dato di fatto che rispetto alle carte iniziali, molti progetti che hanno valso la vittoria di Milano su Smirne, sono sfumati. Il progetto Vie d’acqua prevedeva percorsi ciclabili immersi nel verde lungo le sponde dei famosi Navigli milanesi, fino a collegarli al sito espositivo. Le riqualifiche non sono state fatte, i nuovi canali sono stati bloccati dalla cittadinanza milanese dal momento che prevedevano lo stravolgimento di diversi aree verdi metropolitane, nonché un grande esborso di denaro pubblico che meglio poteva essere investito per mettere in sicurezza idrogeologica i fiumi Seveso e Lambro. L’unico risultato è stato la riqualifica della Darsena, simbolo storico della grandezza artistica e commerciale di Milano.

La linea 4 della metropolitana, promessa per l’inizio di Expo, che doveva servire proprio quella zona, non è ancora ultimata. Inoltre sono noti gli scandali economici, i ritardi dei cantieri e i mancati collaudi di sicurezza di alcuni padiglioni. Fortuna che la pubblicità di Expo ci domandava: “Noi siamo pronti. E tu?”

logo_expo_

Ad ogni modo, il titolo di Expo Milano 2015 è: ‘Nutrire il pianeta. Energia per la vita’. Il sito espositivo è stato allestito direttamente dai Paesi partecipanti secondo il loro gusto in base a questo tema. Per realizzare i padiglioni, sono state chiamate in causa le tecnologie, le innovazioni, la cultura e le tradizioni legate al settore alimentazione e cibo. Analizzando il punto di vista di una persona normale che, attraverso riviste, televisione e social network viene informato delle tematiche proposte all’Expo, difficilmente si è imbattuto in tematiche di sostenibilità, ambiente e sviluppo sostenibile. Eppure dovrebbero essere argomenti cardine, per il tema che si sono prefissati!

Dalle immagini di queste prime settimane di apertura, si nota soprattutto una overdose di tecnologia e un eccessivo utilizzo di materiali plastici. Manca una matrice verde che invece dovrebbe permeare l’intero sito espositivo, il cui simbolo è un albero di legno e acciaio che meraviglia gli spettatori con giochi d’acqua, effetti pirotecnici e luci artificiali. Negli ultimi anni si parla tanto di pareti vegetali e verde urbano; Milano si vanta del suo recente capolavoro, il Bosco Verticale in città dell’architetto Stefano Boeri, ma non sfrutta l’innovazione sul sito di Expo che avrebbe invece dovuto amplificare il concetto di armonia tra uomo e ambiente. Dallo skyline il verde è impercettibile, seppur presente su diversi padiglioni.

L’esposizione universale è però, senza dubbio, un momento di incontro e di scambio culturale tra diverse culture, spesso anche in guerra tra loro. È quindi anche un momento di raccoglimento quasi spirituale dal quale possono nascere nuovi sentimenti, idee e progetti per il futuro del nostro pianeta. Inerente al tema del cibo, della sana alimentazione e dei problemi legati alla malnutrizione, è stata stipulata la Carta di Milano (www.protocollodimilano.it). Questo documento sarà l’eredità culturale di Expo Milano, ed è la prima volta che accade nella storia delle Esposizioni Universali. Una sorta di protocollo di Kyoto per il cibo, firmato da chiunque voglia sottoscriverlo. In ottobre, poco prima della chiusura dei cancelli di Expo, la Carta di Milano verrà consegnato a Ban Ki Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite. Questo documento si propone di combattere gli sprechi alimentari, la fame e l’obesità con misure concrete.

Tante belle parole, tanti ottimi propositi. Profondo e di impatto il fine ultimo: sconfiggere la fame nel mondo entro il 2030. Sono solo 15 anni per risolvere un problema mondiale che è andato, di anno in anno, sempre più intensificandosi. Però, un volta letto il documento, e magari dopo averlo sottoscritto, nasce la speranza di potercela fare! Ma da dove partire? Oltre a indicare cosa fare, purtroppo, non si fa nessun riferimento a come agire davvero! I pochi metodi suggeriti, sono poco più di raccomandazioni che conosciamo da una vita: non far andare a male il cibo, riciclare e fare la raccolta differenziata, non sprecare risorse… Consigli utili e che devono essere sempre ribaditi, ma non certo nuovi o maggiormente incisivi. Sembra quasi di leggere una letterina di un bambino che, in occasione della festa della mamma, le presenta un bigliettino di questo genere:

Cara mamma, con questo biglietto per la tua festa, mi impegno a fare le seguenti cose:

– dopo ogni pasto, prometto di mangiare un frutto, perché le vitamine fanno bene;

– non ti chiederò di prepararmi le verdure, ma se me le troverò nel piatto, storcendo il naso, proverò a mangiarne il più possibile;

– se mi preparerai una merendina sana da portare a scuola, prometto che non la butterò, anzi cercherò di apprezzarla, però fallo al massimo un paio di volte a settimana, perché le merendine confezionate mi piacciono un sacco;

– se vuoi puoi iscrivermi a un corso sportivo: ci andrò ma non aspettarti che mi faccia anche prendere dall’entusiasmo.

Perciò, mamma, ti faccio tanti auguri con questo biglietto di buoni propositi e promesse e ti giuro che diventerò un adulto sano e forte entro il 2030!

Al di là della satira, nella Carta di Milano mancano riferimenti a molti temi importanti e che sono di centrale importanza nella distribuzione mondiale di cibo sano. Colture estensive, allevamenti intensivi, OGM, utilizzo di fitofarmaci, esaurimento delle risorse ittiche, bonifica del territorio, percezione del prezzo dei prodotti alimentari. Non ci sono riferimenti a nuovi strumenti di controllo, ad obblighi e divieti da imporre alle imprese sulla gestione ambientale e sociale. Ponendosi degli obbiettivi così grandi a così breve termine, possibile che non ci sia nessuna presa di posizione ferma e decisa, per esempio, contro lo sfruttamento del territorio per le colture estensive e gli allevamenti intensivi, magari dichiarandoli illegali? Perché non si chiede alle multinazionali di rivedere la loro posizione nei confronti degli OGM? È troppo chiedere ai governi di imporre regole ferree sulle condizioni di pesca, sulle etichettature del cibo, sull’abolizione di certi fitofarmaci? Non è forse arrivato il momento di chiedere con forza severe penali a chi inquina consapevolmente il territorio?

Molti possono obiettare che una imposizione di questo genere sia una azione dittatoriale ed eticamente sbagliata, perché le scelte di marketing e strategia aziendale devono essere libere. Si continua a far prevalere il sistema economico sui sistemi sociali e ambientali? Inoltre, già il protocollo di Kyoto imponeva regolamenti e limiti ai governi e alle imprese nel rispetto dell’ambiente, ma con carattere volontario. Gli obblighi venivano imposti dopo che i governi avessero deciso di firmare il protocollo. Anche la Carta di Milano è un documento di sottoscrizione volontaria e, al momento, non ancora riferita ai governi, ma solo come richieste da parte dei cittadini. Poteva perciò adottare toni più severi e autoritari, per rimarcare l’importanza delle tematiche e il dovere di non perdere tempo ulteriore.

Si potrebbe anche pensare che per una esposizione universale siano comunque obbiettivi troppo esigenti, si tratta comunque di una semplice e tradizionale fiera internazionale con tematica il cibo. Obiettivamente però, sta tutto nel titolo della manifestazione: era sufficiente chiamarla, per esempio, “Sapori del mondo. Culture a confronto” e in pochi avrebbero avuto da obiettare su prezzi, sprechi e sponsor. Sarebbe stato uno scenario prevedibile. Ma con un titolo altisonante come “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” e diversi anni a disposizione di preparazione, era auspicabile mirare ad obbiettivi più concreti, più audaci.

La Carta di Milano rappresenterà, quindi, un documento internazionale che parte dal basso, dai popoli, per essere trasmesso alle alte sfere, quali sono le Nazioni Unite. Finito Expo, l’ONU discuterà i Sustainable Delevopment Goals, gli obiettivi di sviluppo sostenibile, da dove dovrebbero uscire davvero dei nuovi indici ed indicatori di priorità mondiale per un benessere economico, sociale e ambientale, mentre a fine anno si terrà la 21esima Conferenza delle Parti a Parigi per discutere, come ogni anno (nel silenzio mediatico), le problematiche sempre più incalzanti dei cambiamenti climatici, criticità connesse in modo inscindibile all’alimentazione e alla produzione di cibo. Sarà probabilmente una delle ultime occasioni politiche per raggiungere accordi decisivi e importanti per ottenere dei risultati futuri sostenibili, prima che sia davvero tardi. Da questo prossimo incontro si spera ne uscirà un vero protocollo sulla produzione alimentare, come fu il protocollo di Kyoto per l’ambiente. Ma ci sarà bisogno di decisioni e parole forti, non belle ed eleganti.

Massimo Gigliotti
17 giugno 2015

Prepariamoci, Luca Mercalli

Prepariamoci_MercalliLa crisi economica è sempre in prima pagina sui nostri quotidiani dal 2008 a questa parte; l’opinione pubblica sembra non interessarsi, o almeno non con la stessa intensità, della crisi energetica, ambientale e climatica che perdura da più tempo. Eppure sono emergenze di carattere planetario reali e non artefatte come quella finanziaria! Questo libro, lontano dall’essere un saggio catastrofista, vuole dare semplici consigli per arrivare a vivere meglio la vita di tutti i giorni con meno sprechi e meno consumi. La decrescita felice è possibile, basta arrivare a comprendere i limiti fisici del sistema Terra e convivere con essi. Non possiamo più permetterci di vivere e comportarci come se le materie prime fossero infinite e trascurando il problema dei rifiuti prodotti e scaricati in ambiente.

Luca Mercalli, meteorologo e divulgatore scientifico di fama nazionale, ci fornisce i suoi consigli partendo da esperienze di vita personali. Dai profitti ricavati con l’installazione dei pannelli solari sul tetto di casa sua, alla raccolta dell’acqua piovana; dalla produzione orticola, all’incentivazione del telelavoro. Uno dei concetti probabilmente più significativi che passa tra le pagine del libro, è quello riguardante il superamento del concetto di “competitività” industriale ed economica tra i Paesi, per arrivare ad una “cooperazione internazionale”, volta non più ad una crescita costante (utopistica) ma al mantenimento del benessere raggiunto. Nella nuova edizione del 2013 di Prepariamoci, è compresa anche una sezione dedicata al programma politico che l’autore voterebbe per un futuro sostenibile e basato sulla green economy.

Una sezione del libro è dedicata alle vicende dell’alta velocità e del movimento “no-tav”, sopratutto dal punto di vista di una comunità scientifica che, come l’autore, vive in Val di Susa. Lettere, articoli e critiche alla pubblica amministrazione che, nonostante le evidenze di un progetto fallimentare, resta sorda ad ogni tipo di protesta, che sia violenta o pacifica.

Dello stesso autore, tra i suoi ultimi libri: Filosofia delle nuvole (2008), Che tempo che farà (2009), Viaggi nel tempo che fa (2010).

di Massimo Gigliotti

Il futuro dei rifiuti in città

La raccolta differenziata, e dei rifiuti in genere, è da sempre un tormento per cittadini e amministrazioni. Per quanto tuttavia possa risultare sgradevole, è un compito al quale ognuno è tenuto a regalare la dovuta attenzione. Solitamente, più una cosa è sgradita e più si tende a non volerla vedere. Forse con i rifiuti è proprio questo il problema: nessuno li vuole vedere. Peccato che abbandonarli in giro oppure non prestare attenzione alla differenziata non è certo il migliore dei modi per disfarsi davvero dei rifiuti.

Le colonnine dei rifiuti di Romainville

Forse però in futuro avremo un modo per “celare” i rifiuti urbani dalle strade delle nostre città.

La soluzione arriva dal nord Europa, dove si è diffuso lo smaltimento e la raccolta dei rifiuti tramite l’utilizzo di tubi sotterranei che trasportano automaticamente il differenziato all’interno dei centri di raccolta. All’interno di condomini e strade verrebbero collocate delle bocchette con apertura automatica e collocate a dei tubi sotterranei all’interno dei quali i rifiuti verrebbero compattati e spinti con l’energia pneumatica verso le zone di raccolta. In questo modo si creerebbe un vero e proprio intestino all’interno delle aree urbane. I vantaggi derivanti della raccolta sotterranea dei rifiuti tramite l’energia pneumatica sarebbero molteplici, come la diminuzione del traffico pesante, l’abbattimento delle emissioni, la riduzione dell’inquinamento acustico oltre al favorire la raccolta differenziata.

La cittadina di Romainville, a est di Parigi, ha avviato questo sistema dal 2011. Collocate a coppie di due, un centinaio di colonnine sostituiscono i ben conosciuti cassonetti: una è dedicata alla raccolta dell’umido, mentre l’altra accoglie tutti i materiali riciclabili. Una volta che le colonnine hanno raggiunto il peso massimo di contenimento dei rifiuti, i sacchetti vengono aspirati da una corrente d’aria e un elaborato sistema di tubi sotterraneo li trasporta per quattro chilometri a una velocità di 70 km/h. Giunta al collettore centrale, la spazzatura viene ulteriormente differenziata grazie a dispositivi meccanici, compattata e caricata su camion per essere trasportata, una volta al giorno, verso i centri di trattamento per i materiali riciclabili e gli inceneritori.

In altre parti d’Europa si inventano diverse strategie anche per favorire il riuso. Nel Belgio, invece di nascondere, si sta decidendo di mettere in mostra alcuni rifiuti. Si pensi a libri, alle decorazioni, agli articoli per la tavola, ai giocattoli, ai soprammobili. Maarten Heijltjes e Simon Akkaya, due laureati in Design nei Paesi Bassi e dipendenti dell’agenzia Waarmakers, hanno inventato ‘Goedzak’, un sacco della spazzatura più resistente di altri, con una parte trasparente che permette ai passanti di vedere che cosa contiene, in modo che eventualmente possono prelevare gli oggetti che gli interessano.

Quando si parla di gestione dei rifiuti in Europa, i paesi che possono considerarsi senza dubbio i più avanzati sono quelli del nord: non stupisce affatto, quindi, che il buon esempio venga dalla Danimarca la quale, già nel 2007, era il primo paese europeo per recupero energetico da rifiuti. Uno degli impianti che permette alla Danimarca di essere così virtuosa è quello di Amagerforbrænding, nella periferia di Copenaghen: in funzione dal 1970, ha acquisito, nel corso degli anni, prestazioni tali da consentire il riciclo o l’incenerimento di ben il 97% dei rifiuti prodotti nella capitale. Il calore che si genera permette di scaldare l’acqua contenuta in caldaie ad alta pressione, acqua che viene poi pompata in un sistema di depurazione in modo da abbattere le emissioni, che risultano, infatti, nettamente inferiori a quelle prodotte da un impianto a carbone. Infine, il vapore viene utilizzato per produrre energia elettrica mediante l’azionamento di una turbina, mentre il calore è sfruttato per riscaldare le abitazioni. Anche per il problema delle scorie è stata trovata una soluzione: vengono riutilizzate nei processi produttivi delle imprese di costruzione.

Massimo Gigliotti
27 ottobre 2013

Nord Italia: terremoto di magnitudo 5.2

terremoto-LunigianaNuovo fenomeno sismico nel Nord Italia, in questo solstizio estivo del 2013. Secondo i rilievi registrati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia il sisma è stato registrato alle ore 12.33 con magnitudo 5.2 a una profondità di circa 5 chilometri. L’epicentro è localizzato tra i comuni di Fivizzano e Casola in Lunigiana in provincia di Lucca e Minucciano in provincia di Massa. La scossa è stata avvertita nelle città del Nord e Centro Italia. Torna la paura soprattutto in Emilia, nelle zone terremotate poco più di un anno fa da una sorta di sciame sismico durato circa due mesi.

Le scosse di assestamento di questo evento odierno sono già numerose, e diverse quelle sopra i 3.5 gradi di magnitudo. È presto per determinare i danni e se ci siano feriti. Quel che è certo è che sono subito intervenuti gli uomini dei vigili del fuoco e delle protezioni civile locali. Molti edifici pubblici sono stati evacuati per tempo.

Sembra che l’inizio dell’estate sarà marcato dai dibattiti su questo nuovo caso, con tutti i possibili risvolti dei “se” e dei “ma”. Ancora una volta è allora il caso di ribadire immediatamente che non è possibile prevedere per tempo le scosse sismiche, né la loro entità.

Analizzando i dati rilevati dall’INGV di quest’ultima settimana, si può notare come nel territorio della Lunigiana non vi siano eventi sismici prima della scossa di magnitudo 5.2 di oggi, se non una scossa di 3.4 con epicentro a Equi Terme, a pochi chilometri di distanza, cinque giorni prima. Nel frattempo però sono stato registrati anche scosse superiori ai 3 gradi in altre località del centro-nord nei giorni seguenti: a Perugia, Modena e Verona. Ciononostante l’evento sismico che ha portato all’eccezione è stato solo uno.

Ampliando l’analisi dei dati a due mesi, l’attività sismica, costante ma di bassa entità, si concentra tra l’Umbria e le Marche, e tra la Sicilia e la Calabria. Nulla che potesse funzionare da campanello di allarme per un nuovo sisma di grande forza.

L’avvertimento perciò è quello di non incappare, anche questa volta, nell’errore di pensiero che si sarebbe dovuto avvertire per tempo la popolazione locale e correre ai ripari con evacuazioni preventive. Un terremoto non è un’alluvione e nemmeno una frana: non si hanno elementi certi di previsione.

Massimo Gigliotti
21 giugno 2013

Eternit: il problema della bonifica

L’asbesto o amianto è un insieme di minerali del gruppo dei silicati appartenente alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli, che in natura è molto abbondante.

Le sue proprietà di resistenza al calore e la struttura fibrosa resero adatto questo materiale per numero scopi. Nei tempi antichi si credeva che l’amianto fosse la “lana della salamandra” per le sue proprietà di resistenza al fuoco. Romani e Persiani lo utilizzavano nei riti funebri per avvolgere i cadaveri da cremare.

Addetti alla bonifica di lastre d'amianto.
Addetti alla bonifica di lastre d’amianto

Fu un materiale rivoluzionario che nel XX secolo venne impiegato nella coibentazione delle carrozze ferroviarie e delle navi, come isolante nei tetti di abitazioni, scuole, ospedali, edifici pubblici e privati. Venne usato anche come isolante termico in elettrodomestici, nelle guarnizioni, nelle vernici, nei tessuti ignifughi, nelle caldaie e negli acquedotti. Perfino in teatro venne usato come simulatore di neve o come protezione in scene con il fuoco.

La sua pericolosità è data dalle fibre di cui l’amianto è composto. Una fibra di asbesto può essere mille volte più piccola di un capello. L’esposizione alle polveri di amianto possono causare, se inalate, malattie polmonarie e principalmente asbestosi, mesotelioma pleurico e carcinoma polmonare. La beffa sta nel fatto che l’intossicazione da amianto può restare latente anche per 30 anni in modo asintomatico per poi manifestarsi all’improvviso.

Dopo più di vent’anni dall’entrata in vigore della legge 257/92 che mise al bando l’amianto nel nostro Paese, le bonifiche sono troppo lente e i dati relativi ai siti da bonificare non ancora definitivi. La legge prevedeva che entro 180 giorni ogni Regione dovesse predisporre uno specifico piano per il censimento e la rimozione dell’amianto. Ma questo non è avvenuto e in molti casi la legge è stata totalmente disattesa.

E se l’Italia ha una legge scritta in cui si bandisce l’uso dell’amianto e che in Europa l’Eternit sia stato messo al bando, sono solo 44 le Nazioni che l’hanno bandito, mentre ci sono Paesi dove viene ancora utilizzato, come Russia, Canada, Cina, India, Brasile, Thailandia. Gli Stati Uniti, per aggirare il problema, hanno pensato bene di trasferire le industrie di amianto in Messico dove gli operai non vengono informati sul pericolo o vengono tranquillizzati; il Canada produce e vende all’estero l’amianto guardandosi bene dalle pratiche di utilizzo all’interno dei propri confini nazionali.

Per legge, in Italia, lo smantellamento di tetti o altri manufatti che contengono amianto è d’obbligo solo se si trovano in uno stato di degrado tale da poter formare delle particelle che possono essere inalate. Per questo motivo, molti siti non sono nemmeno presi in considerazione come problematici. In ogni caso la legge vieta di abbandonare nell’ambiente oggetti in fibrocemento a base di amianto o di smaltirli con i normali rifiuti.

Un esempio di discarica abusiva di amianto
Un esempio di discarica abusiva di amianto

Il lavoro di smaltimento può essere svolto solo da ditte autorizzate, le quali, innanzitutto sono chiamate a verificare la presenza di amianto con test di laboratorio su un campione di materiale. Se accertata la presenza di amianto, si procede all’incapsulamento, una tecnica di bonifica in cui le superfici delle lastre esposte agli agenti atmosferici vengono trattate con sostanze sintetiche che impediscono il rilascio di polveri. Per poi procedere con la rimozione e lo smaltimento definitivo in apposite discariche.

Ma nel frattempo, in centinaia si ammalano e muoiono a causa dell’asbesto, ed il picco di decessi è previsto fra pochi anni. E ancora una volta nel panorama politico, che sia italiano, europeo o mondiale, risulta fondamentale concentrarsi sulla salvaguardia del territorio, come punto nevralgico per un futuro possibile. La “partita” per il pianeta e per l’umanità, passa anche attraverso il problema amianto.

Massimo Gigliotti
7 giugno 2013

Speciale Eternit:
Eternit: cronistoria di una azienda ancora attiva (Parte I)
Eternit: chi sono Stephan Schmidheiny e il barone Louis De Cartier (Parte II)
Eternit: il problema della bonifica (Parte III)

Eternit: chi sono Stephan Schmidheiny e il barone Louis De Cartier

Partecipanti al processo Eternit.
Partecipanti al processo Eternit.

Stephan Ernest Schmidheiny, classe 1947, è membro della quarta generazione della più importante famiglia industriale in Svizzera. Dopo gli studi in Giurisprudenza all’Università di Zurigo eredita dal padre la Eternit di Niederurnen e nel 1976 diviene Amministratore Delegato del Gruppo Eternit Svizzera. La famiglia Schmidheiny ha commercializzato amianto per tre generazioni. Nel momento di maggiore espansione, controllava fabbriche in Svizzera, Italia, Germania, Grecia, Sud Africa, Asia e America Latina.

Dopo la tragedia dell’amianto in Italia, conclusasi nel 1986, Stephan variò i suoi investimenti in diversi settori tra cui quello della silvicultura, della produzione di energia e delle apparecchiature elettriche ed ottiche, nonché nel settore bancario e dei beni di consumo. In questo periodo divenne un famoso architetto industriale e, come riconoscimento divenne membro del consiglio di amministrazione di aziende leader come ABB Group, Nestlé, Swatch e UBS AG.

Nel 1980 ha creato Fundes, un’organizzazione che sostiene lo sviluppo delle piccole e medie imprese in diversi paesi dell’America Latina. Nel 1982 Schmidheiny ha cominciato ad acquistare terreni forestali nel Cile, possedendo ora più di 120.000 ettari nel sud del Paese, vicino a Concepción. Parte di questi terreni sono contesi con alcune popolazioni locali per via della confusione creatasi in seguito alla dittatura di Pinochet.

Nel 1990 è stato nominato consigliere capo per gli affari e l’industria, per la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo (UNCED), meglio noto come Summit della Terra a Rio de Janeiro del 1992.

Il Barone belga Jean Louis de Cartier de Marchienne.
Il Barone belga Jean Louis de Cartier de Marchienne.

Ha poi creato un forum in cui gli uomini d’affari più importanti di tutte le parti del mondo hanno sviluppato una prospettiva di business sulle sfide tra ambiente e sviluppo. Questo forum più tardi divenne il World Business Council per lo Sviluppo Sostenibile, un’organizzazione che oggi conta 160 aziende tra le più importanti del mondo, come suoi membri. Schmidheiny è stato eletto Presidente Onorario. Nel 1990 ha inoltre istituito la Fondazione AVINA, che contribuisce allo sviluppo sostenibile in America Latina, favorendo alleanze produttive tra i leader sociali e commerciali.

Nel 2003, Stephan Schmidheiny si è ritirato da tutte le sue funzioni esecutive. È tutt’oggi considerato una degli uomini più ricchi del mondo.

Il Barone belga Jean Louis de Cartier de Marchienne, classe 1921, è il terzo di cinque figli del pilota-colonnello Roul de Cartier. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il ventenne Jean Louis fu catturato dai nazisti dopo l’invasione del Belgio e fu mandato al campo di concentramento di Sachsenhausen. Riuscì a fuggire per miracolo, finendo però tra le mani dei Russi ai quali si dovette unire entrando nell’Armata Rossa, dove divenne tenente. Dopo la guerra, tornò in Belgio. Al suo ritorno, venne ricevuto da un lontano parente, l’ambasciatore Emile de Cartier de Marchienne, il quale lo adottò ufficialmente e Luois prese il suo cognome. Nel 1968 fu poi nominato Barone ereditario.

Nel 1950 sposò la figlia di un importante industriale, Viviane Emsens. Il matrimonio fu all’origine della sua attività professionale all’interno della multinazionale Eternit, di cui la famiglia Emsens era una dei principali azionisti. Infatti, dal ’66 al ’78 è stato amministratore delegato e poi presidente del consiglio di amministrazione fino al 1986.

Durante gli anni settanta le proteste nei confronti dell’uso di amianto divennero sempre più numerose finché la legislazione che ne vietasse l’utilizzo fu votata nella maggior parte dei Paesi industriali, ordinando inoltre la rimozione dell’amianto dagli oggetti in cui era stato utilizzato.

Stephan Schmidheiny e Jean Louis de Cartier de Marchienne sono stati accusati di presunto comportamento negligente per aver esposto lavoratori di Eternit e cittadini attigui alle fabbriche  alle polveri di amianto, dopo che questa legge era entrata in vigore, ignorando quindi ogni tipo di sistema di sicurezza.

L'industriale svizzero Stephan Schmidheiny
L’industriale svizzero Stephan Schmidheiny

Il procedimento legale è iniziata al Palazzo di Giustizia di Torino il 10 dicembre 2009. Il processo è stato una causa civile di massa, in cui circa 6.000 persone hanno chiesto un risarcimento danni per la morte di circa 3.000 persone che hanno lavorato o vissuto in prossimità di impianti della Eternit in Italia. Dopo anni di indagini, il procuratore Raffaele Guariniello e il suo team hanno agito per conto di 2.619 ex Eternit dipendenti delle fabbriche italiane a Casale Monferrato (AL), Cavagnolo (TO), Rubiera (RE) e Bagnoli (NA) e 270 membri della famiglia o residenti locali. L’indagine della procura di cinque anni ha stabilito che i due dirigenti sono stati effettivamente i responsabili dei mancati sistemi di sicurezza e informazione nelle attività italiane di Eternit, al momento delle contaminazioni nel 1970.

Essi sono stati entrambi condannati a 16 anni di reclusione il 13 febbraio 2012. Si tratta di una sentenza storica, in cui i dirigenti di una azienda vengono condannati per un disastro ambientale e di salute ad estensione mondiale. È curioso che un tale processo si sia svolto e concluso, nell’unico modo possibile, in Italia, mentre in Svizzera la causa civile ha perso e in Belgio erano state avviate diverse cause legali, di cui però si sa poco.

Oggi, 3 giugno 2013, la Corte di appello ha condannato Stephan Schmidheiny a 18 anni per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di misure di sicurezza; due anni in più rispetto al primo grado. Per Louis De Cartier, deceduto lo scorso 21 maggio all’età di 92 anni, la Corte ha deciso il non luogo a procedere.

Il risarcimento riconosciuto al Comune di Casale Monferrato è di 30,9 milioni, più 20 milioni alla Regione Piemonte.

Massimo Gigliotti
3 giugno 2013

Eternit: cronistoria di una azienda ancora attiva

Una tipica copertura in lastre di Eternit
Una tipica copertura in lastre di Eternit

La storia del cemento-amianto o fibrocemento comincia nel 1901, con il deposito del brevetto da parte dell’austriaco Ludwig Hatschek, materiale che diverrà poi famoso come Eternit, derivante dal latino aeternitas, eternità. Il prodotto è resistente alle intemperie e al fuoco ed è utilizzato fra le altre cose per creare abiti di protezione contro le fiamme e come materiale di isolamento ed impermeabilizzazione.

L’industriale Hatschek concesse le licenze del suo brevetto, una per ogni Paese interessato, e i concessionari erano obbligati ad utilizzare il nome di “Eternit” nelle loro aziende e nei loro prodotti.

Un anno dopo il brevetto, l’industriale Alois Steinmann acquistò la licenza per la produzione e aprì nel 1903 a Niederurnen, in Svizzera, la Schweizerische Eternitwerke AG. Le aspettative del nuovo prodotto erano ampie e, infatti, nel 1911 la produzione era in funzione a pieno regime. I prodotti venivano esportati anche in Africa, Asia e Sud America.

Nel 1907 nacque il primo stabilimento italiano in Piemonte, a Casale Monferrato. La struttura venne fondata dall’ingegnere italiano Adolfo Mazza, lo stesso che ha costruito nel 1912 la prima macchina per la produzione di tubi a pressione in cemento-amianto. Un’altra fabbrica venne aperta a Cavagnolo (Torino).

Nel 1913 l’ente di protezione ambientale del Cantone dei Grigioni lanciò una campagna contro la Eternit, per la presunta rovina del paesaggio locale. Questa non fece che giovare all’azienda, aumentandone la popolarità e le vendite anche nel suo stesso territorio.

La scarsità di materia prima durante gli anni della Prima Guerra Mondiale, costrinse la società a cercare attività alternative in modo da evitare il licenziamento del personale di produzione; così nel 1916 furono edificate una segheria ed un impianto di produzione di mattoni refrattari. Dopo la guerra, la produzione venne riavviata e le vendite salirono ad un massimo storico nel 1919.

La fabbrica Eternit (Schweiz) AG in Svizzera, attualmente
La fabbrica Eternit (Schweiz) AG in Svizzera, attualmente

Nel 1920 Ernst Schmidheiny assume la presidenza al consiglio di amministrazione. La crisi economica degli anni Venti risparmiò la Eternit, anzi, un incendio nel Comune di Sent, mise in luce le proprietà dei tetti in Eternit, i soli che furono capaci di sopportare il calore del fuoco.

Nel 1923 la  Schweizerische Eternitwerke AG diventa la società holding Amiantus SA. La filiale di Niederurnen prosegue l’attività con il nome di Eternit AG.

Nel 1928 iniziò la produzione di tubi in fibrocemento, che fino agli anni settanta rappresentarono lo standard nella costruzione di acquedotti. Nel 1933 fecero la loro comparsa le lastre ondulate, in seguito usate per tetti e capannoni. Venne impiegato anche in scuole, ospedali, palestre, cinema, oltre che in tutti i settori industriali. Nello stesso anno, Max Schmidheiny venne eletto membro del consiglio d’amministrazione.

Dopo il successo durante l’Esposizione Nazionale a Zurigo nel 1939, l’amianto venne considerato come materiale strategico durante la Seconda Guerra Mondiale, anche se l’azienda dovette ricorrere ad opere di ristrutturazione  per mantenere il proprio personale durante quei difficili anni.

Con la ripresa economica ed elaborate ricerche, la Eternit cominciò a dare importanza anche all’estetica e nel 1948, per la felicità degli architetti, furono disponibili lastre ondulate di colori diversi. Negli anni cinquanta l’Eternit trova impiego in parecchi oggetti di uso quotidiano; il più famoso è probabilmente la sedia da spiaggia del primo Desiner industriale svizzero Willy Guhl.

Ludwig Hatschek, l'industriale che brevettò il fibrocemento e che ribattezzò con il nome di Eternit.
Ludwig Hatschek, l’industriale che brevettò il fibrocemento e che ribattezzò con il nome di Eternit.

All’Esposizione Nazionale del 1964 a Losanna la Eternit AG ancora una volta mostrò una presenza di primo piano nonostante che già a partire dagli Anni ’60 era noto in tutto il mondo che la polvere di amianto generata dall’usura dei tetti provocasse una grave forma di cancro polmonare, oltre che asbestosi dovuta all’inalazione delle fibre. La prima rivista medica che menzionò l’asbestosi come nuova malattia polmonare risale addirittura al 1924; nel 1939 viene anche già riconosciuta come malattia sul lavoro. Nel 1943 la Germania fu la prima nazione a riconoscere il cancro ai polmoni e il mesotelioma come conseguenza dell’inalazione di asbesto e a prevedere un risarcimento per i lavoratori colpiti.

Nell’apparente indifferenza, dopo che il padre divenne responsabile dell’azienda nel 1967, Stefan Schmidheiny entra a far parte del consiglio di amministrazione nel 1975. A partire dalla seconda metà degli anni ’70 cambia la modalità di produzione delle lastre ondulate e migliora la qualità del materiale.

In Italia la famiglia Mazza, fondatrice delle fabbriche Eternit italiane, vendette nel 1952 la propria parte alle società Eternit belga e francese, così come ad Amiantus AG, la quale negli Anni ’70 aumenta progressivamente la partecipazione nella società Eternit S.p.a Genova (sede legale della filiale), poiché né i francesi né i belgi vogliono finanziare i cambiamenti del metodo di produzione dell’amianto, la produzione a secco viene rimpiazzata da quella ad umido, meno pericolosa. Nel 1973 gli svizzeri diventano gli azionisti di maggioranza della Eternit italiana. Alla fine del decennio posseggono il 76% del capitale. Nonostante il cambiamento nei metodi di produzione, molti lavoratori e abitanti della zona si ammalano.

La Svezia vieta l’utilizzo dell’amianto a partire dal 1975, mentre gli Stati Uniti vietano il cosiddetto amianto floccato. In Svizzera si comincia a prendere atto in minima parte del problema e seguirà l’esempio americano due anni più tardi. A partire dal 1984-85 gli edifici svizzeri isolati con l’amianto floccato verranno bonificati.

Nel 1986 fallisce la società holding Eternit S.p.a. Italia. La procedura fallimentare terminerà nel 2009.

Sempre come se nulla fosse, nel 1987 viene concesso per la prima volta il premio Eternit; da quel momento il premio è stato assegnato ogni due anni per tutti gli studenti di architettura delle università svizzere e il premio attirò grande attenzione.

Dal 1989 Stephan Schmidheiny vende le fabbriche di Niederurnen e Payerne al fratello Thomas, che le integrerà nel 1996 alla società Holderbank. Stephan Schmidheiny conserva solo le partecipazioni nelle società Eternit straniere (Italia compresa) e solo nel 1993 viene avviata in Svizzera la produzione sostenibile, in cui materiali e flussi energetici vengono integrati con compensazioni ecologiche e i prodotti diventano riciclabili. Nel 1994 termina l’era dell’amianto.

Le vendite in calo costante a partire dagli Anni ’70 portarono alla scissione dell’azienda in nuove società-figlie come la Etertub AG per la distribuzione in fibra di cemento e tubi in plastica in Germania, e la società ESAL in Slovenia per la produzione dei pannelli ondulati.

L’Italia vieta l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione  di amianto nel 1992. Nello stesso anno cominciano i processi per la morte degli operai delle fabbriche Eternit. Diversi responsabili locali sono condannati a Casale Monferrato.

Publicità della sedia da spiaggia disegnata da Willy Guhl, prodotta dalla Eternit
Publicità della sedia da spiaggia disegnata da Willy Guhl, prodotta dalla Eternit

A partire dal 1994 il fibrocemento ha continuato ad essere prodotto, senza però utilizzare l’amianto come materiale di rinforzo. Al posto dell’amianto vengono usate fibre organiche, naturali e sintetiche. Il materiale è stato ribattezzato in Italia come “fibrocemento ecologico”: mantiene le caratteristiche di resistenza originali, ma non è cancerogeno né nella produzione, né nell’utilizzo, né nello smaltimento.

Con l’enorme peso di morte e danno ambientale che l’amianto porta sul suo nome, durante l’anno del centenario della Eternit, il 2003, si sono svolte celebrazioni con eventi speciali per i clienti e vantaggi per i dipendenti. L’istituto per l’architettura storica della Università Federale di Zurigo ha stampato una pubblicazione denominata “Eternit Svizzera – Architettura e cultura aziendale dal 1903”. Unica nota positiva e lodevole è che nel 2006 la Eternit AG con la fondazione Eternit-Werke Schweiz, fornisce principalmente un sostegno finanziario per  gli  attuali ed ex dipendenti ed ai loro parenti che sono stati colpiti da malattie legate all’esposizione all’amianto durante la storica produzione degli impianti.

Il 27 agosto 2008, il Tribunale Federale respinge le accuse contro i fratelli Schmidheiny relative a 3 diversi processi di vittime dell’amianto, morte di cancro dopo aver lavorato nella fabbrica di Niederurnen. Secondo i giudici di Losanna i fatti cadono in prescrizione dopo 10 anni dall’inizio dell’esposizione a sostanze tossiche.

Diversa però è la sorte del processo in Italia, dove, il 13 febbraio 2012 il Tribunale di Torino rende noto il verdetto sul processo delle vittime dell’amianto (2100 morti e 800 ammalati) condannando a 16 anni di carcere ciascuno il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier. I due rispondevano di disastro doloso e rimozione di cautele.

Massimo Gigliotti
1 giugno 2013