L’enigma giraffe: sono 4 specie

Le nuove scoperte spesso smentiscono o confermano le teorie scientifiche.

E’ quello che è successo alle giraffe. Fino a poco tempo fa si credeva che ne esistesse una sola specie, con diverse sottospecie diffuse in tutta l’Africa. Ma le nuove rivelazioni, basate su indagini genetiche, smentiscono questa teoria e affermano che esistono ben quattro specie distinte di giraffe.

Giraffa reticulata presso Pilansberg National Park, Sudafrica. Foto di M.C.Giuditta e E.Lorenzo
Giraffa reticulata presso Pilansberg National Park, Sudafrica. Foto di M.C.Giuditta e E.Lorenzo

Lo studio è stato condotto dai ricercatori del Senckenberg Biodiversità e centro di ricerca sul clima in collaborazione con la Goethe University in Germania. I sorprendenti risultati sono stati pubblicati sulla rivista Current Biology l’8 settembre scorso.

Il primo passo verso la scoperta è stato constatare che alcune sottospecie di giraffa in natura non si accoppiavano.  Il fatto che individui appartenenti a diverse sottospecie di una stessa specie non si accoppiassero tra di loro, ha destato molta curiosità. Essendo perciò in natura un comportamento insolito, tali sottospecie sono state studiate anche sotto il profilo genetico. Da queste analisi è emerso che non si trattava di sottospecie, come precedentemente si pensasse, bensì di specie distinte.

Esemplare maschio di Giraffa reticulata  presso Pilansberg National Park, Sudafrica. Foto di M.C. Giuditta e E. Lorenzo
Esemplare maschio di Giraffa reticulata presso Pilansberg National Park, Sudafrica. Foto di M.C. Giuditta e E. Lorenzo

Le quattro specie di giraffa sono:

  • Giraffa meridionale (Giraffa giraffa);
  • Masai giraffa (Giraffa tippelskirchi);
  • Giraffa reticolata (Giraffa reticolata);
  • Giraffa settentrionale (Giraffa camelopardalis);
Masai giraffa (Giraffa tippelskirchi)
Masai giraffa (Giraffa tippelskirchi)

Cosa può aver determinato tale differenziazione? Affinchè si originano nuove specie si deve interrompere il flusso genetico tra gli individui delle varie popolazioni, cioè questi sono impossibilitate ad accoppiarsi. La natura di tali impedimenti è quasi sempre fisica. Solitamente sono i cambiamenti ambientali a sconvolgere le carte in gioco. Complici i mutamenti geologici, che spesso rappresentano  delle barriere o vie di dispersione per alcune specie. I più noti sono la nascita di nuove montagne, di  deserti e di mari. Talvolta, la presenza di tali barriere impedisce il flusso genetico tra gi individui delle popolazioni che vivono da un lato all’altro della barriera. Se la barriera persiste a lungo nel tempo, le popolazioni che prima appartenevano alla stessa specie, private di scambio genetico, diverranno specie distinte. L’Africa, essendo un continente molto antico e perciò soggetto a diversi e drammatici cambiamenti ambientali, è la culla molte specie animali. Inoltre, non bisogna sottovalutare l’impatto antropico, che dal momento della colonizzazione dell’ Africa, ha determinato la distruzione degli habitat naturali costringendo la fauna selvatica a vivere confinata nelle riserve naturali.

 Semplice esempio di come avviene la speciazione, cioè l’origine di nuove specie
Semplice esempio di come avviene la speciazione, cioè l’origine di nuove specie

Semplice esempio di come avviene la speciazione, cioè l’origine di nuove specie

Probabilmente l’errore di ritenere che in Africa esistesse una sola specie di giraffa, sarà dipeso dal fatto che in passato questi animali non sono stati studiati come altri mammiferi africani.

Giraffa settentrionale (Giraffa camelopardalis)
Giraffa settentrionale (Giraffa camelopardalis)

Dal punto di vista della conservazione, la scoperta ha notevoli implicazioni. Di recente l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) ha inserito la giraffa e l’Okapi nella lista rossa, considerato il declino negli utlimi decenni.

“ Adesso con quattro specie distinte,si può definire meglio lo stato di conservazione di ognuna di esse e dare il via a maggiori sforzi di tutela delle specie in declino” dice Fennessy coautore della ricerca.

Giraffa meridionale (Giraffa giraffa)
Giraffa meridionale (Giraffa giraffa)

Infine i ricercatori hanno dichiarato di voler studiare meglio i siti di distribuzione delle varie specie e sottospecie e ricercare le eventuali cause dell’interruzione del flusso genitico, che ha dato origine alle quattro specie.

M.Carmen Giuditta

Giraffe: nuove scoperte sulla loro distribuzione

La giraffa è uno degli animali più affascinanti dall’Africa, un simbolo della savana ed elemento fisso dell’agenda di un safari.Poiché esistono pochi studi a riguardo, la sua storia evolutiva è rimasta per lungo tempo misteriosa.

Esemplari di giraffa sudafricana presso Kruger park in Sudafrica. Foto di M.C.Giuditta ed E. Lorenzo
Esemplari di giraffa sudafricana presso Kruger park in Sudafrica. Foto di M.C.Giuditta ed E. Lorenzo

Si conosce che in Africa è presente una sola specie di giraffa, Giraffa camelopardalis, alla quale appartengono nove sottospecie distribuite nel continente africano. Uno studio condotto da un team di ricercatori del Senckenberg Research Institute and Natural History Museum dà alla luce nuove conoscenze riguardo il loro genoma e la loro distribuzione.

Particolarmente studiate sono state le due sottospecie più meridionali: la giraffa dell’Angola (Giraffa camelopardalis angolensis) e la giraffa sudafricana (Giraffa camelopardalis giraffa). Riguardo la distribuzione delle due sottospecie, si era a conoscenza che la giraffa dell’Angola fosse diffusa nelle zone del confine meridionale fra Angola e Zambia, nel Botswana settentrionale e in gran parte del nord est della Namibia; mentre si era consapevoli che la giraffa sudafricana fosse presente nella parte meridionale del Botswana, in Zimbawe e a sud del Mozambico.

Giraffe sudafricane presso Kruger park in  Sudafrica. Foto di M.C.Giuditta ed  E. Lorenzo.
Giraffe sudafricane presso Kruger park in Sudafrica. Foto di M.C.Giuditta ed E. Lorenzo.

Alla luce del nuovo studio, le aree di distribuzione risultano essere molto più complesse. Sorprendentemente si è scoperto che la giraffa sudafricana è presente più a nord di quanto si pensasse. Infatti vive anche nel nord est della Namibia e nel nord del Botswana. Mentre la giraffa dell’Angola è presente anche nel nord ovest della Namibia e nella parte meridionale del Botswana. Ancora più sorprendente, a detta da Friederike Bock, autore dello studio e ricercatore del Biodiversity and Climate Research Centre (Bik-F) è la presenza di entrambe le sottospecie nel Kalahari game reserve, dove entrambi vivono da un lato all’altro della riserva.

Secondo i ricercatori, il fatto che due sottospecie distinte geneticamente possono vivere insieme nella stessa regione geografica, potrebbe essere dipeso da una separazione geografica precoce. Ciò può essere spiegato dalle condizioni geografiche che prevalsero approssimativamente da 500000 a 2 milioni di anni fa, quando la catena montuosa ad est della Rift Valley stava affondando e creava vaste zone umide e laghi, come il paleolago Makgadikgadi. In accordo con il prof. Dr. Axel Janke del Bik-F “ questi larghi corpi d’acqua possono aver separato le popolazioni per lunghi periodi di tempo. Inoltre, le femmine delle giraffe probabilmente non migrarono su lunghe distanze, contribuendo così ad una chiara separazione delle linee materne.” Oggi, non esistono più barriere geografiche che impediscono la mescolanza di entrambe le sottospecie. Un’indagine di questi processi è comunque oggetto di ulteriori analisi genetiche.

Esemplare di giraffa dell’Angola.
Esemplare di giraffa dell’Angola.

Al fine di potenziare le misure di protezione per le giraffe, è stato creato un profilo del DNA mitocondriale delle sottospecie usando campioni di tessuti di 160 giraffe di varie popolazioni lungo l’intero continente africano. Tale profilo del DNA mitocondriale, ereditato dalla linea materna, spiegherebbe le relazioni genetiche che esistono tra le varie sottospecie di giraffa. Inoltre, la raccolta di ulteriori dati sulla loro distribuzione e nuove analisi genetiche permetterebbero di mettere in atto le dovute misure per la conservazione della specie.

Maria Carmen Giuditta
2 dicembre 2014

La dieta a base di insetti aiutò i primi uomini a sviluppare un cervello più grande

Savana sudafricana (foto di M.C. Giuditta)
Savana sudafricana (foto di M.C. Giuditta)

Solo quando si cammina nella Savana si capisce perché ci siamo evoluti! Un ambiente pieno di predatori e talmente inospitale per l’uomo, contraddistinto dall’alternarsi di una stagione umida e generosa con una lunga stagione secca ed angusta. Le caratteristiche di questo ambiente non avrebbero consentito la sopravvivenza di una specie “speciale” come la nostra.

Eppure è proprio in questi ambienti così aspri che gli ominidi fecero la loro prima comparsa. Fu proprio l’ambiente della Savana che mise a dura prova la loro sopravvivenza. La sfida degli ominidi a superare gli ostacoli della Savana, soprattutto durante i periodi in cui il cibo scarseggiava, ha consentito di selezionare le caratteristiche vincenti per evoluzione della nostra specie.

Ipotetica vita degli ominidi nella savana.
Ipotetica vita degli ominidi nella savana.

Ma cosa può aver determinato tale evoluzione? Da cosa è dipeso possedere una massa cerebrale maggiore rispetto ad altre specie, tale da sviluppare la capacità di utilizzare degli utensili per svolgere determinate attività e successivamente per modificare l’ambiente a nostro piacimento?

Le risposte a tali domande vengono fornite da un recente studio condotto da ricercatori dell’Università di Washington in S. Louis, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Calgary, Canada.

Lo studio è stato pubblicato a giugno sul Journal of Human Evolution ed è il primo studio che fornisce prove dettagliate su come i cambiamenti stagionali influenzano la disponibilità di cibo, sviluppando capacità per le specie più evolute di utilizzare utensili per la ricerca di cibo alternativo, il quale sembrerebbe giocare un ruolo chiave nello sviluppo di un cervello più grande.

“Sfide associate alla ricerca del cibo sono state a lungo riconosciute come fattori determinanti nel plasmare l’evoluzione del cervello e delle conoscenze cognitive nei primati, inclusi gli uomini” dice Amanda D. Melin, PhD assistente di antropologia in Arte e Scienze dell’Università di Washington in S. Louis e autrice della ricerca.

“Il nostro lavoro suggerisce che molto probabilmente quando il cibo preferito dagli ominidi scarseggiava durante la stagione secca, questi si siano dedicati al consumo di cibi alternativi quali insetti sotterranei e lumache e per catturarli dovevano in qualche modo scavare nel terreno. Ciò può aver contribuito a memorizzare il beneficio ottenuto dall’utilizzo di utensili ampliando le conoscenze cognitive degli ominidi portandoli in seguito ad un uso avanzato degli strumenti.”

Esemplari del genere Cebus
Esemplari del genere Cebus.

Quindi la necessità di cambiare alimentazione durante la stagione secca, passando da una dieta prettamente frugivora ad una dieta onnivora, sembra che abbia favorito l’aumento delle dimensioni del cervello degli ominidi e la conseguente destrezza e manualità nell’ utilizzo di utensili.

Per dimostrare ciò, gli scienziati hanno condotto uno studio di 5 anni sul campo osservando i comportamenti alimentari di esemplari appartenenti a due generi diversi di scimmie Cappuccino che vivono in ambienti differenti del Sud America: scimmie del genere Cebus e scimmie del genere Sapajus.

Le scimmie Cappuccino del genere Cebus vivono nelle foreste pluviali tropicali, caratterizzate da un clima piuttosto costante, mentre le scimmie Cappucino del genere Sapajus vivono nelle foreste pluviali atlantiche, caratterizzate da un clima temperato – secco con variazioni stagionali.

Esemplari del genere Sapajus
Esemplari del genere Sapajus

È stato osservato che le scimmie Cappucino di entrambi i generi consumano insetti sotterranei durante tutto l’anno, ma ne intensificano il consumo durante il periodo in cui la frutta matura, che rappresenta il loro cibo preferito, scarseggia. Questi risultati, come dice Melin, suggeriscono che gli insetti sotterranei costituiscono un’importante fonte alimentare alternativa. La ricerca di tale cibo alternativo, malgrado comporti un compito cognitivamente impegnativo, offre una ricompensa di alta qualità: grassi e proteine che sono necessari per alimentare grandi cervelli.

Ma i comportamenti alimentari nei due generi di scimmie Cappuccino sono diversi!

Sebbene entrambi consumino insetti sotterranei, solo il genere Sapajus è in grado di destreggiare utensili per la ricerca e cattura di questi. Ciò, come afferma Melin, dipenderebbe appunto dalle variazioni stagionali degli ambienti in cui vivono i Sapajus, caratterizzati appunto da una stagione secca più lunga rispetto agli ambienti originari dei Cebus.

Cervello di Sapajus
Cervello di Sapajus

“ I Primati che estraggono alimenti negli ambienti caratterizzati da variazioni stagionali sono spinti, a causa della minore disponibilità di cibo, a sperimentare nuove tecniche di cattura. Queste tecniche costituiscono un maggiore dominio nella conoscenza dell’uso di utensili” dice Melin “ ciò potrebbe spiegare perché alcuni ceppi di cappuccini sono in grado di utilizzare utensili ed altri no.”

Quindi , la necessità di alimentarsi con cibi alternativi, negli ambienti caratterizzati da variazioni stagionali, favorirebbe l’evoluzione dell’intelligenza senso motoria.

Che cosa significa tutto questo nell’evoluzione umana?
Le scimmie Cappuccino rappresentano eccezionali modelli per studiare l’evoluzione delle conoscenze acquisite. Ciò potrebbe aiutare a spiegare come si sia sviluppata l’intelligenza senso motoria negli ominidi, in virtù delle analogie tra gli ambienti originari dei Sapajus e le Savane.

Termitaio e termiti
Termitaio e termiti

Analisi sugli isotopi stabili effettuate su resti di ominidi, dimostrano che ci siano stati dei cambiamenti nelle diete in almeno una specie di ominide sud africano, Paranthropus robustus.

Altre ricerche sugli isotopi segnalano che presto le diete umane possono avere incluso un range di cibo estraibile dal terreno, come termiti, radici di piante e tuberi. La necessità, durante la stagione secca, di consumare tali alimenti, avrebbe stimolato a perfezionare l’uso di utensili.

Questo studio suggerisce che l’ingegno necessario per sopravvivere con una dieta di insetti sotterranei sia stato un fattore chiave nello sviluppo delle competenze unicamente umane. Molto probabilmente il consumo di insetti sotterranei ha contribuito a costruire il nostro cervello.

Reperto fossile del teschio di Paranthropus robustus (a sinistra). Ricostruzione del teschio e ipotetiche sembianze di Paranthropus robustus (a destra).
Reperto fossile del teschio di Paranthropus robustus (a sinistra). Ricostruzione del teschio e ipotetiche sembianze di Paranthropus robustus (a destra).

Maria Carmen Giuditta
12 luglio 2014

Chi vince e chi perde nell’era del global warming

Pinguini di Adelia
Pinguini di Adelia

Il riscaldamento globale non sempre rappresenta una minaccia per la sopravvivenza delle specie.

Un recente studio dimostra che il riscaldamento climatico, avvenuto alla fine dell’ultima era glaciale (11000 anni fa), abbia favorito la crescita demografica delle popolazioni di pinguini antartici.

Pinguini di Adelia
Pinguini di Adelia

Lo scioglimento progressivo dei ghiacci ha concesso ai pinguini maggiori estensioni di terra libera, facilitando loro sia l’accesso in oceano per la ricerca di cibo, sia la costruzione di nidi per crescere ed allevare i piccoli.

L’attuale riscaldamento climatico potrebbe nuovamente favorire le popolazioni di pinguini antartici?

Pinguini Adelia
Pinguini di Adelia

Secondo lo studio condotto da Gemma Clucas e colleghi dell’università di Southampton e di Oxford e della Wood Hole Oceanographic Institution, sembra che i pinguini avessero già superato brillantemente periodi di riscaldamento naturali. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata solo su tre specie: pinguini di Adelia (Pygoscelis adeliae), pinguini dal collare (Pygoscelis antarticus) e pinguini Papua (Pygoscelis papua), le uniche specie insieme al pinguino imperatore in grado di vivere tra i ghiacci e, quindi maggiormente vulnerabili agli effetti del riscaldamento. Dal sequenziamento del DNA, effettuato su campioni di sangue e penne di 537 pinguini delle tre specie, è stato confermato che in passato ci sono stati una crescita delle popolazioni e un aumento di diversità genetica, che ha consentito loro di sopravvivere durante i drastici cambiamenti climatici.

Pinguini dal collare
Pinguini dal collare

“ Di solito pensiamo che i pinguini facciano affidamento sul ghiaccio, ma questa ricerca dimostra che durante l’ultima era glaciale probabilmente c’era troppo ghiaccio intorno all’Antartide per sostenere grandi popolazioni” ha spiegato Gemma Clucas “Così, quando il ghiaccio ha cominciato a sciogliersi circa 11000 anni fa, sono diventati disponibili nuovi siti di nidificazione con accesso al mare, consentendo un’espansione delle popolazioni di tutte e tre le specie.”

Pinguini dal collare
Pinguini dal collare

Attualmente il rapido innalzamento delle temperature, che donerebbe loro ulteriori possibilità di crescita demografica, non sembrerebbe favorirli. Infatti, i rapidi cambiamenti climatici incidono sulle loro risorse alimentari. Il principale alimento dei pinguini è rappresentato dal krill, costituito da piccolissimi crostacei dalle dimensioni di 1-2 cm che vivono in tutti gli oceani, ma che sono maggiormente presenti nelle acque polari. In particolare il krill antartico, nutrendosi delle alghe che vivono sotto la superficie del ghiaccio, risulta in declino a causa dello scioglimento dei ghiacci. Ad aggravare ulteriormente la situazione è la massiccia pesca commerciale del krill, praticata per fornire mangimi per gli allevamenti in acquacoltura e in acquario, per fornire esche per la pesca e di recente viene anche impiegato nelle industrie farmaceutiche.

Pinguini Papua
Pinguini Papua
Pinguini Papua
Pinguini Papua

“Tuttavia, nonostante il riscaldamento attuale apra anch’esso nuove opportunità, il rapido riscaldamento causato dalle attività umane sta creando tra i pinguini un sacco di perdenti e pochi vincitori.” dice Gemma Clucas. In particolare, i pinguini di Adelia e i pinguini dal collare, che si nutrono esclusivamente di krill, stanno diminuendo rapidamente. Solo i pinguini Papua hanno popolazioni stabili. Ciò sicuramente dipende dal fatto che, a differenza delle altre due specie, si nutrono anche di pesci e di cefalopodi. Quindi una dieta diversificata potrebbe garantire la sopravvivenza di questa specie in un ambiente soggetto a drastici mutamenti.

Krill: il principale alimento dei pinguini costituito da piccoli crostacei simili a gamberetti dalle dimensioni di 1- 2 cm.
Krill: il principale alimento dei pinguini costituito da piccoli crostacei simili a gamberetti dalle dimensioni di 1- 2 cm.

Maria Carmen Giuditta
29 giugno 2014

Scoperta una speciale struttura sessuale negli insetti del genere Neotrogla

Le stravaganze del mondo animale continuano a stupirci!

Recente è la scoperta di speciali strutture sessuali negli insetti del genere Neotrogla. Le specie appartenenti al suddetto genere sono state scoperte nel 2010. I Neotrogla sono insetti dalle dimensioni dei 3,3 mm, appartenenti all’ordine dei Psocotteri che vivono nelle grotte aride del Brasile. Il biologo brasiliano Rodrigo Ferreira dell’università di Lauras, ritrovò degli esemplari delle specie in una grotta e li inviò all’entomologo svizzero Charles Lienhard del museo di storia naturale di Ginevra, affinché se ne occupasse della descrizione.

Esemplare di Neotrogla nel suo ambiente.
Esemplare di Neotrogla nel suo ambiente.

Lienhard nel descrivere le specie, scoprì che le femmine sono dotate di una sorta di pene, chiamato gynosoma, e i maschi sono muniti di una cavità simile ad una vagina. Si potrebbe trattare di un caso di sessualità invertita?

Nel regno animale ci sono specie in cui le femmine presentano delle strutture chiamate pseudo – peni , come nelle iene e nelle scimmie ragno, ma in questi animali sono sempre i maschi a penetrare le femmine.

Singolare è invece il caso delle Neotrogla, in cui sono proprio le femmine a penetrare i maschi per mezzo del Gynosoma.

Per far luce sul comportamento di accoppiamento delle specie di Neotrogla e sulla complessa struttura del gynosoma, Ferreira e Leinhard, con la collaborazione dei colleghi giapponesi Kazunori Yoshizawa e Yoshitaka Kamimura, hanno condotto uno studio in merito e pubblicato i risultati su Current Biology.

Femmina di Neotrogla che penetra un maschio.
Femmina di Neotrogla che penetra un maschio.

Durante le osservazioni, i ricercatori hanno avuto modo di constatare che le femmine vanno alla ricerca dei maschi. Ogni femmina durante la ricerca del maschio si dimostra piuttosto aggressiva e, quando riesce a trovare un maschio disponibile, lo penetra per mezzo del gynosoma.

Il gynosoma ha una struttura complessa: contiene protuberanze appuntite, simili a spine, mediante le quali le femmine riescono ad ancorare a sé i maschi e far in modo che essi non fuggono durante un rapporto che dura dalle 40 alle 70 ore. Le protuberanze aderiscono a delle tasche nelle camere genitali maschili e riescono a prelevare grandi quantità di sperma che, canalizzandosi nelle protuberanze e successivamente nel gynosoma, arriva dentro il corpo femminile e feconda le uova. Quindi il gynosoma funziona come una sorta di siringa che preleva materiale spermatico direttamente dal corpo dei maschi, senza che essi abbiano un’eiaculazione, e lo invia alle gonadi femminili. Oltre a materiale spermatico, le femmine riescono a prelevare dai maschi fonti di nutrimento, dette “doni seminali”, che le aiutano a sopravvivere negli ambienti estremi delle grotte dove il cibo scarseggia.

Sembrerebbe che i maschi potrebbero perdere la vita dopo l’accoppiamento. I ricercatori, infatti, nel tentativo di separarli dalle femmine durante la copula, hanno osservato che metà del corpo maschile restava ancorato alla femmina, che indisturbata continuava a prelevare le sue cellule germinative. Secondo Yoshizawa Karuzory è probabile che tali processi di accoppiamento siano controllati dalle femmine, mentre i maschi restano passivi.

Anatomia delle strutture maschili  e femminili di Neotrogla durante la copula.
Anatomia delle strutture maschili e femminili di Neotrogla durante la copula.

Secondo i ricercatori è probabile che i Neotrogla si siano evoluti attraverso una selezione sessuale invertita: “in questo ambiente la selezione naturale potrebbe aver operato per invertire i soliti schemi, facendo competere le femmine dei Neotrogla l’un l’altra per l’accesso ai maschi, che mettono un bel po’ della loro energia nell’alimentazione delle femmine grazie ai loro “doni seminali””.

La competizione tra le femmine avrebbe potuto portare all’evoluzione del gynosoma. Finora si tratta soltanto di un’ ipotesi. Occorrerebbe uno studio più approfondito per comprendere meglio tali meccanismi. In ogni caso questa è un’importante scoperta che contribuisce a far luce sul significato delle strategie riproduttive degli animali.

Maria Carmen Giuditta
26 aprile 2014

La scoperta di una nuova specie di medusa in adriatico preoccupa gli esperti

È stata scoperta una nuova specie di medusa nel mar Adriatico. La specie appartiene al genere Pelagia e sarà dedicata al biologo marino croato Adam Benovic, recentemente scomparso. Ancora ci sono poche conoscenze riguardo la specie, ma si segnala una rapida crescita della popolazione.

medusa

L’incremento di meduse, e l’eventuale comparsa di nuove specie, nel Mar Mediterraneo non è affatto rassicurante! È un evidente segnale di quanto l’ecosistema marino stia risentendo degli effetti del riscaldamento globale, conseguente alle attività antropiche.

Il prof. Ferdinando Boero dell’ università del Salento, durante il convegno “Gestione sostenibile del Mar Mediterraneo” tenutosi presso l’Accademia dei Lincei a Roma nei giorni scorsi, ha annunciato la scoperta della nuova specie e ha esposto le sue preoccupazioni a riguardo.

Il riscaldamento globale delle acquee marine favorisce la proliferazione delle meduse. L’incremento di temperatura, infatti, allunga la durata della stagione riproduttiva, permettendo ad esse di mettere al mondo più figli. Che cosa comporta l’aumento di meduse oltre a rendere una balneazione poco gradevole?

"...da un mare pieno di pesci"
“…da un mare pieno di pesci”

La massiccia presenza di meduse potrebbe determinare una perdita di risorse ittiche. Le meduse, infatti, si nutrono anche delle uova dei pesci, soprattutto di quelli pescati per contribuire all’alimentazione umana. Perciò le nascite non bilanciano le catture e, se non si provvederà a praticare una pesca più sostenibile,in futuro ci sarà meno pesce di cui nutrirci. Inoltre, alcuni predatori naturali delle meduse, come le tartarughe marine, sono a rischio. Molte tartarughe marine o vengono catturate o soffocano poiché ingeriscono sacchetti di plastica che galleggiano in mare, scambiandoli per meduse. Chi trae vantaggio da questa situazione è il pesce luna, che avendo maggiore disponibilità di meduse è sempre più abbondante in mare. Peccato che non sia un pesce commestibile per l’uomo!

Quindi come, giustamente, afferma il prof. Boero :” con un eccesso di pesca abbiamo tolto i pesci grandi del mare, e ora peschiamo i pesci più piccoli per farne mangime per l’ittiocoltura. La natura non ama il vuoto, che è stato riempito dalle meduse. In pratica siamo passati da un mare pieno di pesci ad un mare pieno di meduse!”

"...ad un mare pieno di meduse!"
“…ad un mare pieno di meduse!”

Maria Carmen Giuditta
27 marzo 2014

Svelati i segreti dei pesci antartici

Tutte italiane sono le recenti scoperte sulla vita dei pesci antartici. I risultati di due importanti ricerche sono stati pubblicati in due riviste scientifiche.

Pleurogramma antarcticum
Pleurogramma antarcticum

La prima ricerca è stata condotta dall’istituto di scienze marine (Ismar) e dal Centro Nazionale delle Ricerche (Cnr) durante la XXIX spedizione in Antartide, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista New scientist.

L’attenzione dei ricercatori è stata riposta sui pesci antartici appartenenti alla specie Pleurogramma antarcticum. La caratteristica di questi pesciolini è di assumere una colorazione metallica dopo la morte. Perciò vengono chiamati “silverfish”. Durante la vita sono rosati con sfumature argentate. Per sopravvivere ad ambienti estremi, quali le acque antartiche, questi pesci producono proteine antigelo come strategia di adattamento. Le proteine antigelo impediscono la crescita di piccoli cristalli di ghiaccio che si formano nelle cellule dei pesci antartici, permettendo così di affrontare le rigide temperature e quindi di sopravvivere in tali condizioni.

Il silverfish è una specie importantissima in Artartide, soprattutto perché costituisce, insieme al krill, la dieta dei pinguini Adelia (Pygoscelis adeliae) e delle foche di Weddel (Leptonychotes weddellii). La sua presenza sembrerebbe ridotta in alcune aree del polo sud, probabilmente a causa dei cambiamenti climatici. Ben poco si sa sul loro ciclo vitale.

Pesce di ghiaccio
Pesce di ghiaccio

Per approfondire le conoscenze riguardo la specie, il Cnr di Venezia ha inviato degli studiosi in Antartide. I ricercatori hanno utilizzato il Rov nelle acquee antartiche, un dispositivo subacqueo dotato di telecamere e bracci meccanici, e hanno scoperto che i Pleurogramma antarcticum depositano le uova sotto il ghiaccio. A quelle profondità e sotto il ghiaccio le uova non vengono avvistate dai predatori, e ciò garantisce un maggior successo riproduttivo della specie.

La seconda ricerca italiana sui pesci antartici è stata condotta dai ricercatori dell’università di Genova, in collaborazione con l’acquario di Genova e dell’Ispra/Ismar del Cnr di Genova ed è stata pubblicata su PlosOne. Questa ricerca ha portato alla luce i particolari comportamenti di due specie di pesci di ghiaccio (Chionodraco hamatus e Chionodraco rastrospinosus). Lo studio è stato condotto presso l’acquario di Genova, che ospita le suddette specie, dove straordinariamente si riproducono, grazie all’ ottimo lavoro dei ricercatori dell’acquario che hanno ricreato le condizioni del loro ambiente originario.

I ricercatori hanno osservato che durante il periodo degli amori, i maschi delle due specie modificano la pinna anale. La pinna anale si trova nella regione ventrale dei pesci, molto vicina all’ano, e serve per stabilizzare i pesci mentre nuotano.

pesSecondo indagini istologiche su maschi adulti, si tratta di un ispessimento dell’epitelio della pinna anale, che diventando più spessa acquisisce i connotati di una nuova struttura.

A cosa serve in realtà questa particolare struttura che compare soltanto nel periodo degli amori? Le osservazioni condotte in acquario chiariscono la funzione delle pinne anali modificate: servono per preparare i nidi. Grazie alle particolari strutture che i maschi hanno sul ventre, spazzolano via gli eventuali residui di sabbia e appiattiscono le superfici dei futuri nidi, dove le femmine deporranno e coveranno le uova.

Questa è un’importante scoperta poiché dimostra l’esistenza di cure parentali nei pesci antartici.

Entrambe le scoperte sono straordinarie poiché dimostrano come le strategie di adattamento messe in atto dai pesci antartici assicurano il loro successo riproduttivo.

Maria Carmen Giuditta
14 marzo 2014