Anomalie e anomalie

anomalia difetto genetico
Le anomalie di origine genetica, un loro sguardo nella storia e nel tempo.

Verso la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo in America, soprattutto a New York si ha un particolare risveglio verso un “teatro” che non dava solo spazio agli acrobati ma anche a tutte quelle persone affette da patologie congenite, facendole divenire una grande attrazione popolare.

L’interesse per questi spettacoli aumentò con l’invenzione della fotografia, verso la metà del 1800 era alla portata di tutti, si facevano ritrarre con tutta la loro famiglia, padre, madre, fratelli e sorelle, o con i loro relativi consorti e prole al seguito; le fotografie aumentavano la notorietà e le immagini stesse erano fonti di guadagno, venivano vendute a persone del pubblico dopo lo spettacolo e spesso anche autografate, infine erano riposte in appositi album.

Questi “fenomeni da baraccone” individui con tre seni, alti più di due metri, con la pelle da elefante, barbuti, ecc. suscitavano un certa attrazione verso tutte quelle persone etichettate “normali”, non solo all’ora ma anche nella nostra epoca con il best-seller sui Guinnes dei primati che vede l’uomo più alto del mondo accanto alla donna più bassa del mondo, perché fanno leva sul fascino viscerale insito in ognuno di noi. Le persone sono sempre attratte dall’eccezionale. Le cause delle anomalie, sono ereditarie, e verso la fine del 1800 erano gli stessi studiosi che spiegvano come ciò avvenisse, esponendo sia il “paziente” che la teoria scientifica nelle sale dei musei ritenedola alquanto educativa, e, come tutto ciò rientrasse nella sfera naturale delle cose.

Vi erano due teorie popolari, la prima era di considerare l’anomalia come derivante dalla ricerca della diversità, mentre la seconda, consisteva nella dimostrazione che la “razza” umana stava degenerando, ovviamente erano prive di fondameto scientifico, seppur comprensibili.

Le persone affette da queste malformazioni, non avevano e non hanno tutt’oggi una vita facile, attirano molto l’attenzione e spesso non sono autosufficienti, vivono meno a lungo rispetto alle persone comuni, e in un ambiente alquanto ostile verso di loro e al quale si adattano forzatamente.

Spesso quello che si intravvede è solo la punta dell’icebearg, ciò che  non si vede in realtà racchiude sindromi patologiche più diffuse che provocano loro altre sofferenze fisiche, anche se oggi molte malattie possono esser curate e dignosticate in tempi alquanto brevi.

La società odierna è ossessionata dalla perfezione fisica più di quando non lo fosse un tempo, così attualmente le anomalie saltano maggiormente all’occhio, ma non solo, vi era anche una pressione sociale, le persone affette da tali patologie venivano assistite in casa e non venivano mandate negli istituti come accade oggigiorno, e il fatto che una volta si esibivano in pubblico evitava loro un isolamento sociale e garantiva una certa stabilità economica, una vita decorosa senza esser per forza costretti a esser poveri, il più delle volte si sposavano ed avevano a loro volta dei figli del tutto “normali” salvo eccezioni come per l’uomo o donna con il viso da “leone, cane, o ricoperto da un vello tipo pecora”, in quanto malattie trasmesse geneticamente.

Non vendevano il proprio corpo ma la loro immagine e il “gruzzolo” ricavato, spesso lo reinvestivano in se stessi, studiando, e laureandosi a pieni voti, facendo percepire come il loro stato fisico non aveva nulla a che fare con la mente, ma era solo un problema di chi li guardava in un determinato modo.

Capita anche alle persone “normali” di sentirsi brutte; essere messi a confronto con lo stereotipo che vede una “Mannequin” in una copertina di una rivista di alta moda, non è facile e fa sentire brutti chi in realtà è un cigno di eleganza, nel portamento, nella grazia di muoversi, creando non poche fobie, paure e insicurezze.

 Luna Herrera

Rosa e celeste: una suddivisione di genere

Celeste/Rosa

Il grande magazzino di Hamleys, in Gran Bretagna, ha messo la parola fine allo “apartheid” eliminando i reparti bamnina/bambino che erano contrassegnati dal colore rosa per le femmine e celeste per i maschi.

Facciamo un passo a ritroso, la differenza di genere affonda le sue radici verso la fine del XVII secolo e si è affermata verso la fine del XVIII, quando si doveva sbaragliare il vecchio concetto ellenico sul quale si basava la società, dove esisteva un unico sesso che si realizzava in due forme, in forza del maggiore o minore “calore” dell’individuo, cio`significava che l’uomo e donna avevano gli stessi genitali ma che in quest’ultima,  siccome non aveva abbastanza “riscadamento”, venivano trattenuti all’interno.

L’ appartenenza ad uno o all’altro sesso era quindi stabilita dalla morfologia del medesimo, il quale e`un marchio di “status”, una classificazione del sistema sociale che ha imposto, visto che agli inizi del settecento il concetto non era ancora chiaro, che esistesse una rigida suddivisione sociale dettata dal sesso anatomico, il marcatore di genere.

Tutta la discussione girava attorno al corpo della donna poichè era importante definire la sua  “natura” e non il suo sesso, far notare la fragilità, l’indolenza, la passività, mentre al contrario, l’uomo era più energico, impaziente, appassionato.

Quindi il ruolo delle donne nelle varie culture non è deciso da ciò che esse fanno, ma come la loro attività significa ed entra a far parte nella concreta interazione sociale, e ciò che viene determinata dal sesso non è la natura a determinarlo, ma è la società.

Con la differenza di genere cerchiamo di creare quella identità che appartiene sia al mondo maschile sia a quello femminile creando un confine intellettuale ben chiaro e definito.

Partendo dalla base che ogni individuo ha una sua identità e che le personalità sono multilple e insite in ogni essere umano, è l’uomo stesso a doverle classificare e dividere in modo da creare un’ identita` di gruppo ben divise le une dalle altre. Ecco quindi, l’appartenenza di colore rosa per le femminucce e azzuro per i maschietti, per stabilire a livello sociale un gruppo di appartenenza creando a sua volta la percezione visiva e il richiamo mentale quando vediamo giocattoli rosa o celesti.

Garantendo allo stesso modo un mondo attorno ad essi che non si limita solo ai giocattoli ma si estende a macchia d’olio, alla scelta del colore della camera, dei vestiti per i neonati, dei confetti nel momento del battesimo come rito di passaggio, per poi prolungarsi nel tempo con la scelta nel periodo scolastco di zaini e astucci fino ad arrivare a loro volta nell’imporre tali colori ai loro figli; rimanendo scandalizzati e rimproverando il bambino o bambina che per istinto e per percezione voglia prendere un oggetto che appartiene all’altro sesso semplicemente perché gli aggrada il colore.

Quello che impone la società rimane il capostipite che, in un certo senso mette il giogo a quelli che sono gli istinti naturali degli esseri umani, creando un conflitto che spesso porta all’esclusione dal gruppo di apparteneza.

Sia il colore rosa che quello azzurro, utilizzando un termine antropologico, determinano una “acculturazione “, che pone delle etichette che non nascono “spontaneamente” ma che vengono imposte, creando quello che viene chiamato “l’uniformità”, una forza attorno ad essa, difficile, ma non impossibile, da sbaragliare.

Luna Herrera